29 Ottobre 2018 -

YOL (The full version) (1982-2017)
di Yilmaz Güney (e Serif Gören)

Al DocLisboa 2018, nella geniale retrospettiva Foco: Navegar o Eufrates, viajar o tempo do mundo, è stato presentato un nuovo montaggio del capolavoro che Yılmaz Güney, come quasi tutti i suoi film, realizzò con l’aiuto dei collaboratori mentre si trovava in carcere. Un film che ha fatto la storia del cinema, sia per la storia personale del regista sia perché è stato uno dei primi film a parlare di tutti gli aspetti della tragedia del popolo kurdo. Yol, letteralmente “La strada”, fu immediatamente messo al bando in Turchia a causa del suo ritratto negativo del Paese, all’epoca sotto il controllo di una dittatura militare, e fu possibile mostrarlo solo dopo averlo clandestinamente introdotto in Europa per montarlo e presentarlo al Festival di Cannes del 1982, dove vinse la Palma d’oro ad ex-equo con Missing di Costa-Gavras.
C’è subito da dire che questa nuova versione, chiamata Yol: The Full Version, è controversa se non altro perché, oltre alla copia presentata qui a Lisbona, ne esiste anche un altro cut in cui molte parti sul Kurdistan sono state eliminate per rendere il film adatto all’uscita in Turchia, proiettato anche al mercato di Cannes e foriero di molte polemiche in patria e nell’entourage di Güney, che se fosse ancora in vita avrebbe probabilmente gridato la parola “censura”.
Prima di dire qualcosa su questa controversia è utile ricordare chi fu Yılmaz Güney, forse il più importante cineasta turco della storia, nato nel villaggio di Siverek vicino ad Adana figlio di una semplice famiglia contadina. Fin da giovane scrive, poi diventa attore e aiuto regista, e con il suo volto particolare e diverso dal classico turco diventa ben presto un idolo del pubblico.
Sono gli anni ’60, gli anni che hanno visto i militari intervenire più volte con colpi di stato e politiche repressive, e Güney si mette nei guai fin da giovane a causa di una frase da lui scritta: «Se fossimo tutti uguali vivremmo in paradiso». Un semplice pensiero di poche parole, ma sufficiente perché un pubblico ministero lo accusi di propaganda comunista. Da una prima condanna a 7 anni, con l’aiuto di buoni avvocati riesce a ridurre il verdetto a 1 anno e mezzo. In carcere Güney ha molto tempo per leggere e si educa politicamente con Lenin, Mao e Marx. Dopo la liberazione nel 1963, Güney continua con il cinema e parallelamente con l’attività politica. Inizia a dirigere film e scrive quasi tutte le sue sceneggiature, nel 1970 gira Umut (Speranza), il primo film turco invitato al Festival di Cannes, ma bandito dalla censura turca. Solo nel 1995 il film verrà mostrato legalmente nei cinema turchi, dopo che molti (tele)spettatori l’avevano già visto illegalmente.

Le ostilità politiche in Turchia presto si accentuano e portano al nuovo colpo di stato militare del 1971, con il quale iniziano soprusi di ogni genere verso chi si ribella: arresti arbitrari, minacce, tensioni, persino uccisioni per strada. Güney viene nuovamente arrestato e condannato a 7 anni e mezzo per aver nascosto dei ribelli alla polizia turca, l’accusa è “tentativo di rovesciare lo Stato”. Va in prigione e da lì continua il suo attivismo politico. Grazie a un’amnistia generale viene rilasciato nel maggio 1974 e inizia a girare tre film quasi in contemporanea, ma già in quell’anno capita un controverso episodio dell’assassinio di un giudice per il quale, probabilmente innocente, sarà condannato ad altri 17 anni. Sostanzialmente passerà più tempo in galera che da uomo libero. Nel frattempo i suoi film iniziati (Endişe, Zavallilar e Arkadaş) sono completati e distribuiti nei cinema. Güney continua a lavorare alle sue sceneggiature dal carcere e fino al 1981 ne scrive ben sette, oltre a quattro romanzi. Con Sürü (Il gregge) vince il Pardo d’oro a Locarno nel 1978, mentre Düşman (The enemy) riceve l’Orso d’argento alla Berlinale nel 1980. Ogni film che realizza e ogni romanzo provocano nuove accuse contro di lui, che viene condannato a più di 100 anni di reclusione. Ma dal momento che è un detenuto esemplare, dal 1978 gli sono riconosciuti diversi permessi: sono i momenti in cui organizza le riprese con i suoi collaboratori, spiega nel dettaglio come immagina le parti e include le indicazioni di scena per i suoi assistenti nelle sceneggiature, che poi eseguono sul set.
Nel 1981 il pubblico ministero turco condanna Güney ad altri sette anni, perché usa la parola proibita “Kurdistan” in una lettera aperta al Festival di San Sebastian. Questo fa scattare qualcosa nella testa di Güney, che aveva già scritto Yol nel frattempo girato dai suoi collaboratori, e doveva iniziarne il montaggio. Approfittando dei permessi premio arriva l’evasione dal carcere, il suo produttore svizzero Donat Keusch la organizza facendolo passare prima da Antalya, poi in Grecia su una barca da pesca, e dà lì in Francia dove otterrà l’asilo politico. Pochi giorni dopo il suo arrivo inizia a montare Yol con la montatrice svizzera Elisabeth Waelchli. Dopo tre mesi di lavoro intenso, il film ha la sua anteprima mondiale a Cannes. L’attenzione dei media è enorme perché Güney è ancora ricercato dalla polizia turca e dall’interpol. Come detto, il film vincerà la Palma d’oro e diventerà un grande successo al botteghino in Francia, Germania e in molti altri paesi.
Güney girerà poi La rivolta, altro film leggendario in cui ha ricostruito il set di una prigione turca a Parigi, ma si ammalerà presto e morirà a soli 47 anni. Oggi è sepolto al Père Lachaise.
È stato utile ricordare la sua vita perché la trama di Yol parla proprio di cinque detenuti, che dopo anni di prigionia riescono finalmente a ottenere il sospirato permesso-licenza di otto giorni. Possono così poter uscire dal carcere e tornare a visitare le proprie famiglie. Il film si dipana così nel loro viaggio verso l’Anatolia e il Kurdistan evocato nelle stesse didascalie quando viene toccato. I detenuti si fermano a Konya, Adana, Diyarbakir (la capitale del Kurdistan turco), Birecik e Gaziantep. Dei cinque, il più giovane, un po’ svanito, non termina neppure il suo viaggio d’andata. Ha smarrito le sue carte, fermato a un posto di controllo, finisce in carcere e la sua avventura si conclude miseramente. Gli altri quattro raggiungono le loro famiglie: Omer giunge nel suo villaggio del Kurdistan, dove i partigiani sono sempre in lotta contro i militari, la frontiera con la Siria è vicina. Melvüt ritrova la sua fidanzata e i suoi genitori e vive una vita sorvegliata quasi peggio di quella in prigione. Mehemet invece deve riconciliarsi con la famiglia della moglie dopo che ha causato la morte di un parente per vigliaccheria. Infine Seyit, nella storia più straziante del film, ritrova la moglie che l’ha tradito mentre era in prigione e ora dovrebbe, secondo la legge della famiglia, ucciderla per riparare l’onore perduto.

Il film, tradotto in immagini dall’aiuto regista Serif Gören, permette a Güney di realizzare un viaggio nella Turchia di ieri e di oggi attraverso le vite di uomini alle prese con delle scelte importanti che segneranno sicuramente il loro percorso umano e sociale: c’è chi sceglie l’onore con tutte le conseguenze del caso, chi sceglie il disonore e la vergogna facendosi così uccidere, chi sceglie di scappare invece di rimanere imprigionato, ma c’è anche chi non sceglie nulla e fa vincere la sua codardia. Metafore e frammenti di vita che fanno capire molto dell’agonia turca e soprattutto del popolo kurdo. Güney rappresenta la Turchia come una grande prigione, oppressa non solo dalla tirannia politica, ma anche dalla superstizione e dalla ipocrisia del popolo stesso. Il regista turco alterna le storie con un montaggio che attenua in parte la sua rabbia, così si passa dalla bellezza quasi pittorica di certe scene alla claustrofobia di altre, fra campagne immacolate che però vengono raccontate con i colpi di mitra in sottofondo e le città che invece sono gabbie dove non si riesce quasi a vivere. Un film fatto di occhi e di sguardi, ellissi improvvise e stupefacenti, paesaggi tra il sublime e l’inquietante che simboleggiano le paure e speranze dei prigionieri, di Güney e di tutta la Turchia.
Ma cosa aggiunge alla grandezza del film questa nuova versione? Uno dei montatori presente a Lisbona ha sostenuto che per la versione fatta in fretta e furia nel 1982 a Cannes siano stati tagliati più di 25 minuti da Güney stesso su indicazione di Gilles Jacob, l’allora direttore del Festival che glielo quasi impose per poter prendere il film in selezione. In questo rimontaggio sono stati ripristinati alcuni dei minuti tagliati basandosi sulla sceneggiatura originale, e vediamo così delle scene di gioco d’azzardo e di prostituzione abbastanza inquietanti per la Turchia dell’epoca. Il film dura adesso un’ora e 56 minuti e c’è forse qualche pausa e lentezza in più rispetto alla versione conosciuta, oltre a una “ripulitura generale” su alcuni tagli e una nuova color che aggiunge però poco alla grandezza del film.
Questa nuova versione è stata possibile perché i diritti di Yol sono contestati da molto tempo. Anche durante la vita di Yilmaz Güney ci sono stati grandi conflitti sulla proprietà del film tra Güney e lo svizzero Donat Keusch. Dopo la morte del regista, la disputa provocò numerose cause legali in Svizzera e Francia. Ci sono ancora numerosi venditori sul mercato che sostengono di essere gli unici proprietari dei diritti mondiali di Yol, e il film è offerto in diverse versioni attraverso diversi canali di distribuzione.
Come per tanti film del passato è difficile capire dove stia la verità. Quel che è certo è che ogni volta che lo vediamo assistiamo a un film meraviglioso, pieno di libertà e di coraggio, che dovrebbe essere da esempio per molto pavido cinema contemporaneo. La stessa cultura turca dall’avvento di Erdogan e della sua sostanziale dittatura non ha dato vere risposte di opposizione, e da Pamuk e Ceylan, per fare solo due esempi di grandi intellettuali contemporanei, non si sono mai levate reali opere di ribellione o di contrasto, e per la verità neanche molte parole. Forse ci vorrebbero più Güney in questo mondo che sta vedendo i fascismi tornare al potere nel quasi silenzio generale. Rivedere i suoi film e ripensare a un uomo che ha sacrificato la propria libertà per le sue idee ci deve dare quella forza e quel coraggio per batterci per un mondo più giusto. Giorno dopo giorno. A pugno chiuso.

Claudio Casazza

“Yol” (1982)
114 min | Drama, Romance | Turkey / Switzerland / France
Regista Serif Gören, Yilmaz Güney
Sceneggiatori Yilmaz Güney
Attori principali Tarik Akan, Serif Sezer, Halil Ergün, Meral Orhonsay
IMDb Rating 8.2
“Yol: The Full Version” (2017)
112 min | Drama | Switzerland / Turkey
Regista Serif Gören
Sceneggiatori Yilmaz Güney
Attori principali Tarik Akan, Halil Ergün, Necmettin Çobanoglu, Hikmet Çelik
IMDb Rating N/A

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