Il californiano Don Hertzfeldt è probabilmente uno dei principali e più interessanti autori del cinema contemporaneo ma tendiamo troppo facilmente a dimenticarci della sua esistenza per il semplice fatto che i suoi film non escono nelle sale italiane e partecipano quasi solo ai festival esteri. It’s such a beautiful day (2012), per esempio, è uno dei più complessi lungometraggi d’animazione di tutti i tempi, un film che lavora costantemente sull’unione tra minimalismo e sperimentalismo, lavorando sulla pellicola 35mm con buchi cartacei che sformano il nero puro per diventare ricordi, pezzi di vita, costruendo attorno al personaggio protagonista, Bill, una specie di macro-universo narrativo, una piccola mitologia individuale, delicata, poetica, tragicomica. Altri suoi lavori passati appartenevano di più a un sottogenere di umorismo grottesco, spesso spinto verso la meta-fiction e la meta-animazione, con i fogli che stropicciandosi eliminano i personaggi come in Rejected, che fu nominato agli Oscar come miglior cortometraggio d’animazione nel 2000. La seconda nomination agli Oscar di Hertzfeldt, nella stessa categoria, è giunta nel 2015 con World of Tomorrow, un corto di 16 minuti che, quando uscì, è stato probabilmente molto sottovalutato. Strettamente da un punto di vista di valore stilistico, World of Tomorrow marca un distacco rispetto a tutte le opere precedenti del regista poiché è la prima a essere stata eseguita con animazione digitalizzata. Nello stesso periodo, Hertzfeldt stava lavorando a una satirica e terrificante “gag del divano” per una sigla de I Simpson che gli è servita anche come palestra per la lavorazione in digitale di World of Tomorrow, che fu poi inserito da Rolling Stone al decimo posto tra i migliori film d’animazione di tutti i tempi. Ciò non toglie che i personaggi, con un design volontariamente infantile (dicesi ‘stickmen’), sono stati disegnati e animati in maniera tradizionale a mano, ma per la prima volta non su carta. Parte della trama è legata all’unica graphic novel di Hertzfeldt, The end of the world, ricalcata anche stilisticamente nella sequenza del museo. L’idea di base di World of Tomorrow è nel contempo semplice e affascinante: il regista ha registrato la voce della propria nipotina di 5 anni, Winona Mae, e ha costruito una storia fantascientifica attorno alle cose che ha detto. Così, la piccola Winona è diventata Emily Prime, ingenua e tenera infante che, quando crescerà, rimarrà incinta di un clone perfetto di sé, un corpo sano in cui impianterà i propri ricordi. Questo processo si ripeterà più volte, in un flusso di Emily perpetuo creato per dare speranza a Emily di vivere all’infinito, portando infine a una terza generazione di Emily: una di queste va a trovare la Emily bambina attraverso un computer, con una specie di viaggio nel tempo digitalizzato che parte da più di 200 anni nel futuro, per raccontarle il mondo del futuro ed estrarre dalla sua corteccia cerebrale un ricordo importantissimo.
Ispirandosi, forse, alle teorie del saggista israeliano Yuval Noah Harari (Da animali a déi. Breve storia dell’umanità, 2014, e Homo Deus. Breve storia del futuro, 2016) basate sul fatto che l’uomo può diventare Dio annullando, nel percorso della Storia del mondo, l’idea di conflitto e di guerra, cominciando a basare interamente il proprio percorso evolutivo sulla tecnologia e sulla preservazione della memoria e dell’identità attraverso la tecnologia, Hertzfeldt procede nella narrazione in maniera anticonvenzionale e poetica. La sua ‘historie’ del futuro è un continuo ripetersi di excursus, attraverso i quali la Emily del futuro si confronta con quella del passato non comprendendola e non comprendendosi, raccontando storie d’amore impossibili e contemplando la propria tristezza, evidenziando i segni di deterioramento giunti con il procedere della vecchiaia di clone in clone. Alla vigilia della fine del mondo, la coscienza degli uomini è lasciata all’interno di cubi che volano nello spazio, mentre i cadaveri dei proletari che vogliono viaggiare nel passato per continuare a vivere rimangono nella volta celeste, come stelle cadenti. Internet non diventa la realtà, ma la realtà diventa “Outernet”, piattaforma in cui l’inventiva dell’uomo può esprimersi attraverso linee e codici, superfici robotiche, colori. I ricordi umani vengono cristallizzati in video distorti, che Hertzfeldt sovrappone ai dialoghi tra le due Emily, come creando una mostra di memorie che si susseguono, piccoli momenti insignificanti che tuttavia costituiscono in un modo o nell’altro una bellezza sostanziale e universale, che va oltre i limiti culturali ed entra immediatamente nel reame dell’inspiegabile. Lo aveva fatto anche in una delle più belle sequenze di It’s such a beautiful day, in cui Bill, dopo aver scoperto di avere un mese di vita, ri-percorre luoghi che conosce perfettamente e che ha già visitato con un occhio diverso, vedendoli a colori e vedendoli a tratti addirittura in live action, percependo per la prima volta cos’è la bellezza e cosa vuol dire essere vivi. In egual modo, il ricordo migliore che Emily ha trovato nella corteccia cerebrale del marito defunto è un’immagine pura e semplicissima, priva di fronzoli: una pianta che, mossa dal vento, sembra applaudire. E il ricordo che Emily vuole estrarre da Emily Prime è un ricordo altrettanto banale: è la bambina che cammina con sua madre. Se la tristezza ci rende vivi, e se il vento della tristezza è la cosa più bella che noi abbiamo, come diceva Anton Perich nel documentario di Claudio Romano e Mauro John Capece In the Fabulous Underground (2012), allora Emily Prime, con la sua ingenuità naturale e spontanea che deriva appunto da un’innocenza che è davvero naturale e spontanea, è un prototipo perfetto di umanità; il clone, con i suoi difetti genetici, porta con sé il valore di un’umanità imperfetta. La depressione rimane integrata nel DNA dell’uomo ma si evolve, riflettendo in sé il rapporto con l’altro, anche attraverso stacchi umoristici che si riferiscono al mondo attuale. La Emily clone può «ascoltare la morte» quando pensa al cadavere del marito, clone deteriorato creato dallo stesso canale di nascita che ha partorito David, uomo che viveva in un tubo in un museo, ideato unicamente per essere visitato, visto, come un’opera d’arte moderna, studiato come un corpo anatomico. E la Emily clone sentiva di averlo conosciuto per una vita intera. Ma dell’uomo del tubo non rimane niente, neanche i ricordi. In compenso è il museo stesso a essere diventato spazio geografico che rinchiude i ricordi, li propone come arte: forse l’arte unisce, quanto e più di qualsiasi altra forma fisica, perché pone sulla stessa linea d’onda i vissuti, gli spazi, i tempi su cui scorrono le immagini.
Negli ultimi giorni del 2017, Hertzfeldt ha pubblicato su Vimeo a pagamento il sequel di World of Tomorrow, suo terzo lavoro in animazione digitale, con la seguente descrizione (tradotta, lasciando nel primo paragrafo le interessanti considerazioni sulla creatività dietro il progetto e nel secondo paragrafo delle considerazioni più semplici e tecniche sul lavoro del regista d’animazione indipendente):
«Evidentemente scrivere una storia attorno alle registrazioni audio improvvisate di una bambina di 4 anni è abbastanza facile paragonato a scrivere attorno alle registrazioni audio improvvisate di una bambina di 5 anni. Dove una volta avevo brevi reazioni espressive che potevano essere montate con grazie, improvvisamente stavo confrontando lunghi monologhi irregolari da una piccola persona folle. I nuovi audio con mia nipote sono stati registrati durante il dicembre del 2014, giusto un mese prima della premiere di World of Tomorrow, e sono uscito dalle nuove sessioni sentendomi scoraggiato. Semplicemente non riuscivo a trovarci un senso. Tutto quello che lei ha detto durante quella settimana era meraviglioso e mi aveva riempito con una profonda nostalgia che mi faceva venire voglia di rivivere quell’età, colta con visioni immaginarie di terre lontane, la pazzia dell’infanzia che mi spingeva in ogni direzione, ma non riuscivo a capire come inserire i suoi dialoghi selvaggi con quello che pensavo che avrei voluto scrivere. Quello che si è sviluppato durante il successivo anno e mezzo è stato il progetto più riscritto e sperimentale che io abbia mai visto. La mia improvvisatasi attrice quattrenne lentamente è diventata una specie di co-pilota cinquenne. E quando tutti quei folli pezzi di puzzle senza posto finalmente hanno trovato una maniera di connettersi l’uno all’altro mi sono sentito attonito di fronte all’immagine che si è formata. È una storia che non si sarebbe potuta scrivere in nessun’altra maniera. È uno di quei film che, a produzione conclusa, ci si stupisce che possano esistere.
Montagne d’amore e di gratitudine a Julia e a Winona per essere cadute con me in questo buco del bianconiglio di nuovo – e a tutti voi per essere saltati dopo di noi alla stessa maniera. Al di fuori dei cinema, ho deciso di rilasciare questo lavoro esclusivamente su Vimeo di nuovo per rendere il film disponibile a tutti allo stesso tempo. Questo è anche l’unico sito in cui 90% del prezzo del biglietto finisce direttamente a finanziare le nostre nuove produzioni. Non ci sono momentaneamente piani per rilasciare il film su Netflix, Hulu, iTunes, etc. (anzi, mi sa che il primo World of Tomorrow verrà tolto da Netflix durante questa primavera). Il vostro supporto continua a fondare ogni film, senza grandi distribuzioni, studio o pubblicisti nel mix. Faccio anche le mie acrobazie da solo. Per tutti questi anni siamo stati solo io e voi e penso che sia una cosa molto bella.»
Il secondo capitolo di World of Tomorrow si chiama Episode Two: The Burden of Other People’s Thoughts. Il 2017 ci ha regalato una triade di punti di non ritorno nel cinema mondiale:
In quest’ottica, World of Tomorrow Episode Two è probabilmente la cosa che di più, in quest’annata particolarissima, si può minimamente avvicinare a questo podio di oggetti alieni e assoluti, insieme a Mrs. Fang, Coco, La telenovela errante, Outrage Coda, Mektoub my Love e Visages Villages. E tutti e 4 questi lavori, tra i quali uno solo è un tradizionale lungometraggio di finzione (First Reformed), sono, in fondo, dei profondi atti sentimentali. Verso la finzione (e il sogno) per Lynch, verso il cinema (e la vita) per Kiarostami, verso l’uomo (e la sua imperfezione) per Schrader, verso i ricordi (e le aspirazioni, il futuro, la tecnologia) per Hertzfeldt. Emily Prime, cresciuta, riceve una visita da un’altra Emily futura, una degenerazione deteriorata, una “Emily n.6” che non riesce a controllare le proprie emozioni e il proprio rapporto con se stessa e con le altre versioni di sé. In un rapporto extratemporale fuori dagli schemi, si assiste a un confronto costante tra diversi tipi di serietà e di assenza di serietà, diversi tipi di mentalità, di temporalità, di approccio nei confronti del mondo. È un perpetuo specchiarsi e riflettersi di passato nel futuro e viceversa, come in Twin Peaks. Ogni immagine sprizza vita e vuole essere vita, per superare il blocco in fotogrammi, per trascendere l’irreale e andare oltre il timore del nulla, dell’assenza di direzione, riconnettendosi con l’esperienza personale, in un testamento, in una vita, e qua ci viene in mente 24 Frames. Mentre la tecnologia che crea e forse distrugge, in un confronto col passato che diventa sempre più invadente e superficiale, si riavvicina ai discorsi pseudo-ecologisti di First Reformed ma soprattutto al bisogno di Schrader di accatastare sopra al peso del caos del mondo il ricordo dell’importanza dell’amore, che sconfigge qualsiasi paura. E tutto ciò in un cartone animato di 20 minuti, in cui la crescita di una bambina causa mille coincidenze e mille convergenze in uno stesso spazio, in cui l’immaginazione prima condanna l’uomo e poi lo salva, con forme geometriche che invece di essere pulsioni matematiche chiuse in se stesse sono espressioni massime di una vitalità interiore, che nasce, cresce ed esplode.
Hertzfeldt probabilmente tra i registi contemporanei è quello che meglio conosce e sa usare la musica classica, con una capacità innata di sfruttare, con un effetto insolitamente epico o nostalgico, Beethoven e Burgmüller con la stessa coerenza. Ma in Episode Two è superata la tradizionale concezione di musica classica come colonna sonora e sottofondo umorale, bensì essa giunge all’interno della narrazione in una costruzione narrativa che funge solo secondo una logica emotiva. Tchaikovsky diventa il sogno, la proiezione di un qualcosa che non esiste più in quel mondo, e che si può riproiettare mentre si svanisce, mentre il corpo (che però è disegno, è oggetto pittorico infantile in un mondo digitale) scompare per diventare ricordo. E alla fine anche il corpo diventa bambino, e tutto è ironico. Resta il disegno, unico piccolo oggetto che crea se stesso, ripete se stesso, forma informe di quella bellissima tristezza da cui nasce tutto. E il principale lascito che rimane dal significante, come diceva Paul Valery, è che il guaio del nostro tempo è che il futuro non è più quello di una volta. Ed è difficile proiettarsi in un mondo del futuro.
Nicola Settis