VERSO CASA (2017), di Claudio Romano
Ben pochi registi hanno lo stesso fuoco istintivo che rende grande e palpitante il piccolo e drammaticamente sottovalutato cinema di Claudio Romano e Betty L’Innocente. Verso casa, il nuovo cortometraggio presentato in Satellite alla 53ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, è una passeggiata, è contemplazione, ma soprattutto è una riappropriazione, è la vitalità incontenibile che può stare uno sguardo. Già, lo sguardo, la capacità di osservare e restituire le emozioni in immagini, di saper costruire una poetica senza scrittura e con una telecamerina da pochi spiccioli, di saper trasformare persino le aberrazioni d’immagine e gli spixelamenti dello zoom digitale in pennellate sullo schermo intrise di una vitalità crepitante, spasmodica, lirica, impressionista, incontenibilmente umana nel suo 4/3 brullo, saturo, (im)puro, caldo come una brace. Quando si guarda qualcosa attraverso l’occhio di Claudio Romano, si ritorna a uno stato di percezione primigenia, fanciullesca, come se quelle immagini che spiano il mondo lo mostrassero per la primissima volta. Si torna bambini alla scoperta di ciò che c’è intorno, si torna sinceri e ingenui, ci si torna a stupire della normalità, e tutto diventa straordinario. Ci si torna a intenerire di fronte a un anziano che aiuta la moglie ad attraversare la strada, ci si torna a emozionare nella ricerca di volti alla finestra incorniciati dal verde, si torna a empatizzare con chi cerca qualche minuto di ristoro dopo una dura giornata di lavoro, ci si torna a immergere nella natura, ci si ritrova a bocca aperta di fronte ai giunchi al vento, si tornano a sgranare gli occhi per un fiume, per un animale che riposa, per l’acqua che scorre come il sangue, come la linfa, come la vita. È un’acqua fresca nella quale specchiarsi e sulla cui superficie guardare la propria ombra: quella dell’uomo (eternamente) con la macchina da presa che cerca se stesso e il proprio cinema, e che proprio qui lo trova fino a lasciarsi portare via, fino alla dissolvenza incrociata che è completa dissoluzione della sua immagine nella natura, fino a diventare natura, fino a diventare immagine, fino a diventare quegli stessi pixel del suo diritto/dovere/necessità di osservare.
Prima di tutto c’è Alba Adriatica, il piccolo borghetto sul mare abruzzese in cui vivono Claudio e Betty, c’è il suo territorio, c’è la sua morfologia geografica, animale e umana. Ci sono gli anziani alla finestra, ci sono i lavoratori immigrati che si riposano al fiume, ci sono le strade, c’è la progressiva rarefazione di case che diventano ruderi e poi canne di bambù, ci sono i “ti amo” sui muri, c’è il fiume con i suoi aironi e con le sue papere, c’è l’acqua come fosse viva. Verso casa è un (nuovo) momento di sospensione, è un istante di un giorno qualsiasi, è l’affermazione definitiva del diritto autoriale di guardare, è il ritrovare la propria pace interiore e cinematografica dopo i drammi produttivi di Ananke, magnifico eppure ingiustamente fantasmatico, scomparso, quasi invisibile, mai scansionato dal suo Super16 e disponibile solo in un telecinema di dubbia qualità. Lì era la pura finzione, il set, la pellicola, la dilatazione di un film di genere in una magnifica cura formale, la distopia di chi è in fuga da un mondo corrotto e distrutto e non può che isolarsi in una casa/rifugio; ora la forma è ostinatamente anti-formale, il meno possibile definita, digitale e a volte tremolante, perché ciò che conta è semplicemente l’atto stesso del tornare a osservare, la centralità dello sguardo, la contemplazione degli istanti e la magnifica e ossessionata (im)precisione del mezzo cinema nel documentarli. È un ritorno, appunto, Verso casa, a quel circondario in cui si dipana la quotidianità, a quella lingua filmica che sempre ama profondamente chi si ritrova di fronte, a quegli Human beings che l’obiettivo di Claudio Romano ormai da diversi anni riesce a catturare nell’eterno e nei loro piccoli frammenti di vita, a quella natura che già lo scorso anno era ritornata come luogo nel quale immergersi e perdersi Con il vento. Ma laddove, in Con il vento, l’identificazione idilliaca con la natura portava alla memoria dei vecchi super8 sbiaditi, la lirica di Verso casa è apparentemente ancor più semplice e liminale, in realtà splendidamente stratificata nella sua ostinata sincerità, nella sua libertà assoluta, nel suo saper seguire il vento e gli elementi naturali quando indicano la strada.
Quello di cui, camminando Verso casa, si sono riappropriati Claudio Romano e Betty L’Innocente è un cinema intimo e personalissimo; un cinema semplice e lirico, che cerca di declinare nella pura contemplazione e nel minimalismo la propria necessità assoluta di esprimersi, di produrre immagini e suoni, ma ancor prima di fermarsi a osservare i luoghi e gli esseri viventi, i boschi e la civiltà, il mare e le montagne, sempre alla ricerca di un Incanto forse (im)possibile. Un Incanto che per ora è drammaticamente invisibile, relegato in un cassetto in attesa che qualcuno apra gli occhi sulla sua ancestrale e inafferrabile bellezza. Perché Incanto, il secondo lungometraggio di Claudio Romano e Betty L’Innocente del quale Verso Casa è una sorta di prefazione/appendice poetica, è pronto e magnifico, probabilmente il loro miglior lavoro, ma per ora è forzatamente fermo, in attesa che non sia solo l’oasi felice – quasi miracolosa – della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro a rendersi conto dell’importanza del percorso autoriale e umano della coppia di autori abruzzesi. Il loro talento, ben al di là dell’amicizia nata dopo esserci innamorati del loro sguardo perché abbiamo scoperto anche persone adorabili, è indiscutibile, e pare impossibile che non possa essere mostrato anche altrove e anche altrove giustamente celebrato. C’è una cecità inspiegabile, intorno al cinema di Claudio e Betty, la cui unica colpa è forse quella di essere troppo indipendente e sincero per poter competere con gli interessi economici e politici. Sempre di più, quello di Claudio e Betty è un talento che va oltre i confini del fisico, un talento che si fa respiro sfuggente, costante anelito d’infinito. Un talento che nasce da un’umanità profonda, da un occhio direttamente collegato al cuore, da una necessità bruciante, crepitante. Da una magnifica ossessione.
Verso casa è un occhio che mai smette di guardare, ed è un orecchio – come sempre sorprendente il mixaggio audio di Claudio Romano, vero e proprio percorso immersivo che si concentra sui suoni quanto sulle immagini, sinfonia sonora e visiva di vento, acqua e animali – che non smette mai di ascoltare, attento alla natura e a ogni sua negazione del silenzio. È una passeggiata che non ha bisogno di forme precostituite né di preparazioni d’alcun tipo per farsi cinema, arte, perché Verso casa è un non-istante, è un ponte fra il presente, il passato e il futuro, è la folgorazione del quotidiano, è una progressiva e costante scossa tellurica, è un vagito di quiete e d’amore purissimo, è un ben preciso atto di Resistenza che rimette al centro la libera autodeterminazione e lo sguardo dell’autore contro un mondo-cinema sempre più industria e sempre meno arte. È un occhio puro e prezioso, quello di Claudio Romano e Betty L’Innocente. È un occhio che unisce la tenerezza di Franco Piavoli alla pacatezza di Mauro Santini, è un occhio profondamente cinefilo e fortissimamente umano, è un occhio che rilassa, emoziona, prende per mano e porta via. È un occhio che parte dalla fisicità della realtà per tendere progressivamente verso al metafisico e all’infinito, è un occhio che si commuove con i volti, con la natura, con il territorio, con le ombre, con i riflessi, fino alla radice più intima dell’immagine, al colore, allo scorrere eterno di un soffio vitale: Verso casa. Quello di Claudio Romano e Betty L’Innocente è un occhio all’origine e in fondo al quale, citando Alberto Grifi, “non può che esserci una lacrima”: è un occhio di cui il cinema, non solo italiano, ha assoluto bisogno. Basta saperlo cogliere, basta saper tornare bambini, basta lasciarsi portare via, come l’acqua, come un fiume, Verso casa, o forse ancor più in là, verso il sentimento, verso le percezioni, verso l’infinito, verso la quiete. Verso il Cinema.
Marco Romagna