Sullo sfondo dei magici tetti di Parigi, il candore della luna si apre una difficoltosa via fra le nubi notturne che avvolgono la città di un’oscurità densa. Fiati struggenti di sax accompagnano il calore della voce di Billie Holiday, mentre la notte diventa movimento di figure. La sublime grazia felina di Nico, ladro acrobata e gentiluomo, gli occhi incuranti del buio dello splendido gatto nero con striature rosse al suo fianco, Dino. Il sole inizia a fare capolino dai tetti, alba di un nuovo giorno. Dino segue il solito percorso per tornare a casa da Zoe, innocente bambina traumatizzata dall’omicidio del padre. Con lei, l’impegnatissima madre Jeanne, commissario di polizia a capo della sicurezza per il trasporto di una statua, e la (poco) fidata baby sitter Claudine. Un vie de chat sta finalmente per trovare il buio delle sale italiane. Il film di animazione del duo francese Alain Gagnol e Jean-Loup Felicioli, presentato alla Berlinale 2010 e candidato all’Oscar 2011, sarà distribuito dall’indipendente PFA con il titolo Un gatto a Parigi, uscita fissata giovedì 18 dicembre 2014.
Un vie de chat è tanto semplice e lineare nella trama, cinefilo omaggio al noir non esente da richiami hitchcockiani, quanto splendidamente curato nella forma. Appare subito evidente come il tratto voglia tendere al cubismo di Picasso e Braque: lo stile dei disegni animati a mano è deciso, spigoloso, asimmetrico, definito nei chiaroscuri e nelle ombre quanto semplificato negli sfondi. La prospettiva viene sfondata, i colori tendono al monocromatico, la profondità viene spesso negata: la chiara ispirazione pittorica punta all’abbandono del realismo in favore di un tratto che sappia efficacemente simulare i movimenti felini, fantasticamente agili e scattosi. Un tratto originale e fresco nella sua apparente essenzialità, che si eleva ben al di sopra della produzione media ‘per bambini’. Una modalità di animazione che rifiuta il digitale e la computer grafica, riscoprendo la mano, la matita e la china. Una modalità di animazione che riscopre il disegno, e il lavoro certosino dell’essere umano.
Un gatto a Parigi è un intelligente film d’animazione per bambini, scorrevole nella sceneggiatura, fluido come i personaggi che volteggiano sui tetti. Delicato ma non patetico nel rivolgersi al giovane pubblico, messo di fronte al mutismo post-trauma della protagonista Zoe, non privo di ironia e di interessanti spunti cinefili, fra la continua dichiarazione d’amore al noir e al mafia movie e le citazioni più o meno esplicite di Goodfellas, Gli Intoccabili e Le Iene, gangster cattivi che sorridono a La Carica dei 101 contro l’acume de Gli Aristogatti. Fino al richiamo a Ferro 3, con la sparizione del ladro dietro alla guardia.
Un vie de chat è acuto anche nell’affrontare l’eterna lotta fra bene e male, con i ruoli ribaltati per i quali il ladro diventa il salvatore della bambina, e la bambinaia si scopre traditrice in combutta con il perfido criminale Costa, assassino del padre di Zoe. Non mancano la follia, le allucinazioni, i sentimenti, le tracce da seguire, il pathos, né le copiose risate per un cagnolino fastidioso che abbaia a Dino durante le sue scorribande feline.
L’unico difetto di Un vie de chat, se di difetto si può parlare in un film per un target così giovane, è la semplicità a tratti eccessivamente ingenua che accompagna l’intreccio: mi riferisco in particolare al movente di Costa, ottimo ed esilarante cattivo, che vuole rubare la statua difesa dalla madre di Zoe solo perchè ne aveva una foto appesa sul letto da bambino, o alle ultimissime battute, intrise di un buonismo forse esagerato ma perdonabile in un film per bambini. Si tratta di errori veniali, che non minano né la tenuta, né l’interesse di un buonissimo prodotto, che merita di essere visto.
La spettacolarità delle scene di corsa sui tetti di Parigi infiamma lo schermo, cristallizzandosi nel meraviglioso finale ambientato sulle guglie di Notre Dame. Non è però Il Gobbo disneyano il riferimento, ma piuttosto un parallelismo fra le punte gotiche della cattedrale parigina e le lancette del Big Ben di Basil l’Investigatopo. Le figure appese, la fatica nelle loro braccia, l’inquadratura che si fa sempre più sbilenca, gargolle che iniziano a sgretolarsi, la magia di un’animazione interessante ed originale. Assoluta perla del film rimane però la scena al buio, apice della sottrazione, con i contorni bianchi delle figure che si muovono sullo schermo nero. Il gatto-gatto e l’uomo-gatto danzano in silenzio fra ignari cattivi, eroi antieroi, alla ricerca di giustizia. Un gatto a Parigi è cubismo, è noir, è una città di notte, è la superiorità manifesta dei felini su qualsiasi altra forma animale. Un gatto a Parigi è il film di Natale.
Marco Romagna