TRENQUE LAUQUEN (PARTE I & PARTE II) (2022), di Laura Citarella
«Forse abbiamo sempre voluto che la persona amata avesse un’esistenza di fantasma»
[Adolfo Bioy Casares, L’invenzione di Morel]
A sud-ovest rispetto a Buenos Aires, nella “llanura pampana”, c’è la cittadina di Trenque Lauquen, di neanche 50mila abitanti. È qui, in questo ‘paesaggio radicale’, che è cresciuta la regista Laura Citarella, uno dei membri fondanti di El Pampero Cine, collettivo di cineasti e casa di produzione indipendente esistente dal 2002, i cui altri fondatori includono Mariano Llinás, Alejo Moguillansky e Agustín Mendilaharzu. Il motto del Pampero è «El fervor de filmar como se te canta», il fervore di filmare, riprendere, come si canta – con poesia, con spirito e/di improvvisazione, ma anche con abbastanza conoscenza del mezzo da non sbagliare mai nota, rispettando quello che fanno gli altri strumenti (o, nel cinema, tutti i reparti). Llinás, qui assistente di sceneggiatura e montaggio, è sine dubio il più celebre dei quattro, e da Historias Extraordinarias fino alle 14 ore di La Flor ha solidificato la visione comune e interiore intuibile nel sistema produttivo del modo di far cinema di molti lavori del Pampero Cine: opere fatte tra amici, con grande flessibilità e creatività nell’affrontare costi di produzione ridotti, in periodi dalla gestazione lunghissima. Come La Flor è stato girato in più di un decennio, Trenque Lauquen è una produzione cominciata 6 anni fa, le cui riprese sono state sviluppate prevalentemente nella cittadina titolare. Perlopiù produttrice e organizzatrice all’interno de El Pampero Cine e non solo, la Citarella è qui alla sua quarta regia per un lungometraggio – oppure, si potrebbe dire alla sua quarta e quinta regia, perché Trenque Lauquen è diviso in due parti ben distinte, che anche qui al festival di Venezia sono state proiettate separatamente (con un breve intervallo in mezzo), scisse in base alla suddivisione in capitoli netti e a causa di una durata fluviale di quasi 4 ore e mezza nel totale. Tra i titoli più impressionanti e complessi nella sezione Orizzonti degli ultimi anni, Trenque Lauquen parte da un’idea scritta da Laura Citarella insieme all’attrice protagonista Laura Paredes, compagna di Llinás, che fa parte del collettivo di quattro attrici chiamato Piel de Lava che riempie ogni inquadratura de La Flor, delle protagoniste che sono tele bianche su cui si può scrivere, dipingere di tutto. Citarella e Paredes uniscono i loro sforzi nella stesura del personaggio principale che, come loro, si chiama Laura: è una studentessa di biologia di Buenos Aires che si è trasferita a Trenque Lauquen temporaneamente, per studiare e per lavorare a una stazione radio dove tiene una trasmissione sulle “donne della Storia”. Ma all’inizio del film, lei è già scomparsa misteriosamente, e noi la scopriamo e conosciamo tramite gli sforzi per trovarla da parte dei due uomini della sua vita, ovvero Rafael, suo compagno della Capitale giunto a Trenque Lauquen esplicitamente per cercarla, e il protagonista maschile Ezequiel Chicho (interpretato da Ezequiel Pierri, produttore del film e marito di Laura Citarella), cittadino di Trenque Lauquen con cui lei ha stretto un’amicizia platonica vicina all’innamoramento.
Attraverso vari capitoli, a volte anche intitolati ai personaggi che ne sono protagonisti (“la parte di Rafael”, “la parte di Ezequiel”, etc.), scopriamo le tracce che Laura ha tracciato, e una serie di complessi intrighi che sì spiegano che cosa lei ha fatto del suo tempo a Trenque Lauquen, ma non aiutano i protagonisti maschili nella loro ricerca della donna amata. Conosciamo Laura quasi solo tramite flashback, fino all’ultimo quarto d’ora in un diverso aspect ratio, “la parte di Laura”, che ci mostra la ‘verità’ senza dialoghi o orpelli verbosi, continuando a persistere nel mistero e nell’assenza di risoluzione. Il tono è spesso ironico e grottesco, i tempi sono dilatati sia a effetto umoristico sia per far scaturire una dimensione contemplativa – così, grazie alla durata e alla gestione dei ritmi, le dimensioni del mistero nell’immaginazione dello spettatore si espandono, e questa storiella vaga che mischia realismo magico e racconto labirintico à la Borges diviene epocale attestato di umanità, creatività, esistenzialismo. Sempre solo accennando, mai spiegando, la mappatura (concreta e astratta) entro cui i protagonisti svolgono le loro azioni. La Parte I si concentra prevalentemente sulla ricerca di Laura da parte di Rafael ed Ezequiel prima e poi su come Laura ed Ezequiel hanno stretto un rapporto intenso e teso indagando una corrispondenza epistolare, una scoperta casuale scaturita da lettere erotico-amorose trovate nascoste dentro tutti i libri di una stessa casa editrice nella biblioteca di Trenque Lauquen. La Parte II invece si distacca dalle aspettative createsi dal mistero delle lettere della parte precedente (che rimane parzialmente irrisolto), e perlopiù segue il racconto di Laura della sua vita parallela oltre al rapporto con Ezequiel, aprendo un altro mistero, connesso a una creatura misteriosa trovata vicino al lago di Trenque Lauquen e alla dottoressa legale che ha cercato di capire che cos’è, interpretata da Elisa Carricajo (sempre di Piel de Lava, sempre di La Flor). Nella prima parte, il film, forse tramite l’immaginazione di Ezequiel, cerca di inventare, reinventare, sognare quello che è solo parola scritta, la vita dei due innamorati delle lettere, mentre nella seconda vediamo passo dopo passo Laura immergersi in un altro mistero. Quello che ne deve risultare, alla fine dei giochi, è un’evoluzione del personaggio, una nascita di una “nuova” Laura, che non è «la Laura che conosciamo» come si dicono Rafael ed Ezequiel. Ma Trenque Lauquen prende la scelta affascinante, come anche La Flor del resto, di non approfondire la psicologia dei personaggi, non reputarli reali ma catapultarli in situazioni, caratterizzarli tramite il mondo attorno a loro che perde i connotati reali e li mette in difficoltà. Come reagiranno? Questo può farci capire chi sono, o perlomeno trascinare noi dentro la storia. La “Laura” che unisce Paredes e Citarella non la scopriamo conoscendo loro ma conoscendo le circostanze e i contesti che loro sono disposte a creare.
Tra linee temporali che non tornano e una struttura a matrioska per cui la trama, disattenendo le aspettative in continuazione, sembra sempre aprirsi con cose nuove e mai evolversi tradizionalmente verso un finale quadrato e compiuto, Trenque Lauquen ha una scrittura portentosa, a tratti anche letteraria, che contiene veramente di tutto: un menage à trois tra donne in una fattoria, canzoni anni ’80, ubriaconi argentini che cantano a squarciagola fino ad addormentarsi, persino una creatura forse aliena di entità enigmatica. Ma è altrettanto affascinante l’asciuttezza della regia della Citarella, il modo in cui effettivamente i silenzi e le tensioni si spalmano nel tempo, le inquadrature che di rado cercano di essere “belle”; l’immagine è totalmente a servizio di uno script a sua volta creato strada facendo con le riprese, in uno sposalizio capace di creare un cinema suggestivo, soggettivo, unico. Mai pesante nel suo pensiero che filosofeggia a vuoto, la Citarella dirige il suo cast di attori e non-attori con uno pseudo-realismo minimale che gioca col cinema realista, e sfrutta un budget limitato nel miglior modo possibile, sempre innescando meccanismi immaginativi ed emotivi nel pubblico con una colta e geniale concezione del fuori campo. A essere filmabile, conoscibile, è quello che conosciamo, che vediamo con rigore e precisione – il resto è ignoto, distante, vuoto, non si vede ma c’è, miracoli e incantesimi. Ma a permanere sono la visione effettiva, e i percorsi al suo interno. Trenque Lauquen è uno dei film più ricchi e geniali visti alla 79esima edizione della Mostra internazionale del Cinema di Venezia, perché è uno di quelli più visionari e precisi, uno dei più unici e volatili, un affluente de La Flor che apre al mondo invece di chiudersi rispetto a esso.
Nicola Settis