TOMMASO (2016), di Kim Rossi Stuart

Presentato fuori concorso alla settantatreesima Mostra del cinema di Venezia, il secondo lavoro da regista dell’attore Kim Rossi Stuart, Tommaso, si offre come un film dallo spunto autobiografico molto interessante e sincero, affossato però da una realizzazione tutt’altro che riuscita. I problemi del film sono evidenti dai primissimi istanti del film: nella prima inquadratura l’autore, nonché attore protagonista, butta addosso al suo psicanalista e al pubblico uno sproloquio semi-isterico sulla sua vita e sui suoi problemi con le donne, nel tentativo palese di rifarsi a Moretti, soprattutto nello stile di recitazione, ma cadendo purtroppo – si pensi alla sequenza del litigio con la madre – in una sua involontaria parodia. Tommaso è un attore in crisi di mezza età che vuole passare alla regia, un eterno adolescente incapace di mantenere un sano rapporto affettivo: vive nelle sue continue e ossessive fantasie erotiche (costantemente presenti sullo schermo, raggiungendo spesso incredibili vette di ridicolezza, come la fugace inquadratura “del manichino”), senza mai trovare il coraggio di approcciarsi realmente a una donna, e quando è invece lui ad essere oggetto di attenzioni di qualcuna si protegge e trova difetti di modo tale da allontanarla. Quella di cui è vittima il protagonista è una rete di insicurezze e frustrazioni che si traduce in un complesso psicologico affascinante e soprattutto in cui è molto facile riscontrarsi e trovare punti di interesse; peccato che il film sia troppo sfilacciato per andare oltre la semplice ostentazione questo dramma, privando il personaggio di un vero e proprio arco narrativo, di un vero e proprio percorso.

Il film si sofferma sui rapporti fra Tommaso e tre donne in particolare, che scandiscono le sezioni del film: Chiara, sua compagna da una vita ma che lo lascia comunque insoddisfatto; Federica, con cui in breve tempo si instaura un rapporto molto serio e maturo, ma che lui finirà per lasciare di punto in bianco per dei minuscoli difetti; e infine Sonia, una ragazza che lo seduce apertamente e giocosamente senza però concedersi pienamente. Nessuna di queste vicende porta però a un qualche tipo di sviluppo nel protagonista, rimanendo sospese alla stregua di siparietti grotteschi e divertenti; il vero problema è che la terribile gestione del tono del film rovina tragicamente tutto il suo potenziale autoironico: l’alternanza continua di momenti comici ai limiti del surreale e di momenti esageratamente drammatici infarciti da pianti ed urla disperate, a volte addirittura nell’arco della stessa scena, rivela come il film si prenda spesso troppo sul serio, emanando un’aura di pretenziosità che cita Fellini solo perché “Sogno di fare un film di sole scene oniriche”. Inoltre, ci si rende conto presto che la recitazione di Kim Rossi Stuart non è in alcun modo in grado di gestire bene alcuna delle due linee, facendo perdere al film tutta la sincerità che un soggetto così autobiografico dovrebbe portare con sé. L’onirismo quasi dichiaratamente di ispirazione felliniana che accompagna l’opera, attraversando le sopracitate fantasie erotiche e non solo, culmina infine in una sequenza delirante, con tanto di metafora paterna incentrata su un nido di processionaria, in cui i traumi familiari del protagonista emergono improvvisamente dal nulla, e quindi svuotati di ogni possibile credibilità o interesse.

L’approccio registico e di scrittura di Kim Rossi Stuart lascia quindi aperti mille dubbi e opinioni discordanti su ogni aspetto del film, in particolare sull’intenzionalità o meno delle risate che esso suscita. Lasciandosi sempre aperta la possibilità di ricredersi in futuro, Tommaso si presenta come un film registicamente asciutto, eppure raffazzonato, indeciso, incastrato in meccanismi estenuanti e sterili, probabilmente teso verso aspirazioni troppo alte. Un enorme spreco di potenziale, quasi inspiegabile in un autore che ritorna a 10 anni da un esordio sfavillante come Anche Libero va bene. Certo, rimane la sincerità nel mettersi a nudo come attore quarantenne in crisi, rimangono i (troppo sporadici) picchi sinceramente autoironici, rimane la ripetitività dei gesti e degli errori come un guscio nel quale chiudersi per la paura di cambiare e costruire, rimane una riflessione-confessione tutto sommato non banale sulla difficoltà nel crescere per davvero, scandita nelle turbe di un eterno adolescente che, come tutti gli adolescenti, sottomette il proprio raziocinio a una tempesta ormonale che forse non passerà mai. Ma questo basta per dimenticarsi le cadute nel ridicolo (in)volontario di un film così malgestito e poco credibile?

Tommaso Martelli