Woody Harrelson, a un certo punto di Three Billboards outside Ebbing, Missouri, scrive una lettera in cui utilizza il verbo ‘decadere’, inteso come deterioramento, peggioramento, declino inesorabile. Questo verbo, in inglese, si traduce ‘to ebb’.
Chissà quanto volontariamente Martin McDonagh – regista di origini irlandesi, che viene dal teatro ma è stato evidentemente destinato al cinema fin da subito, se nel 2006 già fu Oscar per il miglior cortometraggio, poi girò In Bruges due anni dopo, noir insolito e bellissimo amato da pubblico e critica, e si concesse nel 2012 il divertissement di 7 psicopatici – ha giocato su questa coincidenza di cittadina di provincia americana eponima, ma sta di fatto che questo Three Billboards, che uscirà in Italia con il titolo Tre manifesti a Ebbing, Missouri, è un film che si basa tutto sul divenire, sulla trasformazione, sulla rivelazione della natura umana, non ultimo, quindi, anche sul peggioramento delle condizioni del corpo.
Il film ha un inizio folgorante, quasi da commedia nera che non lascia presagire i bagni di sangue, piombo e fuoco di là da venire. Il rimando è naturalmente coeniano, non solo per la presenza di Frances McDormand, protagonista monumentale, ma anche per ragioni più sotterranee, non visibili, grazie al timbro musicale impresso da Carter Burwell: Mildred, mentre è in macchina, nota tre grandi cartelloni pubblicitari in disuso alle porte della cittadina di Ebbing, si reca subito nell’agenzia pubblicitaria della città e li affitta per un anno, chiedendo di stampare a caratteri cubitali un messaggio preciso indirizzato allo sceriffo locale: è un pungente trittico di manifesti di scherno, per non essere riuscito a trovare, dopo otto mesi, l’assassino che ha stuprato e ucciso la figlia.
Si innescano, a questo punto, micce, meccanismi e macchinazioni dei più vari: la comunità contro Mildred Hayes, la comunità dalla parte di Mildred Hayes, la polizia contro i neri e gli omosessuali, la giustizia privata, la critica beffardamente spiattellata al clero e al cameratismo dei preti, perfino stoccate micidiali – McDonagh si permette davvero di tutto, la bellezza di Three Billboards sta anche nella libertà assoluta della sua penna al vetriolo – alla condotta dell’esercito americano in Iraq.
Sta in questo, pensandoci, il primo pregio del film, nella sua spina dorsale, nella sua ossatura, che è la pagina scritta, written for the screen da un altro regista non americano che va in America a provarsi con una materia che gli appartiene solo alla lontana. Ma è ben più felice la spedizione di McDonagh rispetto a quella del Lean on Pete di Andrew Haigh: a cominciare dalla scrittura, che nel caso di Three Billboards muove da ambizioni quasi letterarie una concatenazione di eventi, una valanga di metamorfosi (interne ed esterne ai personaggi) che procedono per accumulo, eppure non se ne ha mai abbastanza, è tutto mosso da una tale coerenza interna, da romanzo, che si direbbe ci sia alla base un navigato maestro del thriller della risma di Lansdale, con concessioni umoristiche calibrate alla perfezione.
Per non dire, poi, della sospensione finale del film, che aggiunge complessità al discorso invece di chiudere il cerchio del whodunit.
Ma poi, ovviamente, viene la messinscena: senso del paesaggio e degli spazi aperti, ma anche attaccamento ai personaggi (missione adempiuta grazie anche a un cast tutto sublime e nel quale si dovrà sorteggiare la Coppa Volpi, che va dalla citata protagonista al bifolco Sam Rockwell, dal sempre sublime Woody Harrelson al ben ritrovato John Hawkes, fino a Peter Dinklage, memorabile, e i giovani Lucas Hedges di Manchester by the Sea e Caleb Landry Jones, che i più attenti ricorderanno laeding actor in Antiviral, di Cronenberg Jr.), uso maturo del piano sequenza, fotografia a grana grossa (azzardiamo in 16mm) per palati fini.
Insomma, una folgorazione, il film del cuore di un concorso non parco, comunque, di ottimi film, delle più diverse specie, il che rende difficile – e quindi appetitoso – pronosticare un palmarés.
Ci auguriamo caldamente che McDonagh vi rientri.
Elio Di Pace