THE WALK 3D (2015), di Robert Zemeckis
“Now there’s tears on the pillow
Darlin’ where we slept
And you took my heart when you left
Without your sweet kiss
My soul is lost, my friend
Tell me how do I begin again?
My city’s in ruins
My city’s in ruins
Come on, rise up
Come on, rise up”
Bruce Springsteen, My City of Ruins
Il funambolo vede il mondo da una prospettiva tutta sua. Lo vede dall’alto, certo, ma lo vede anche come un enorme palcoscenico, spazio dove esibirsi per essere se stesso. Camminare sul filo è pura adrenalina e quindi vita, e mai il pensiero della morte sfiora l’artista: è una questione di concentrazione, equilibrio, volontà, ma soprattutto è l’intima necessità di compiere imprese. È il sogno americano, in fondo, la ricerca della felicità attraverso il coraggio, l’inventiva, la perseveranza, la fatica. L’arte è eversione e insofferenza nei confronti del potere precostituito, necessaria forma di protesta, forza ancestrale e anarchica: erano i roboanti anni Settanta, e la traversata fra le Torri Gemelle appena costruite da parte del transalpino Philippe Petit -infinite camminate abusive in giro per il mondo e più di 500 arresti all’attivo- è Storia, raccontata nel corso degli anni prima dai libri dello stesso Petit, e poi da James Marsh nel documentario Man on Wire (2008). Ma The Walk, rispetto ai pur buoni precedenti, travalica di gran lunga l’interesse per la vicenda raccontata diventando Cinema purissimo: il ritorno dietro alla macchina da presa di Robert Zemeckis è da una parte un ritorno alla sua capacità di sperimentare tecniche e modalità nuove per produrre immagini -e questa volta il risultato mozza letteralmente il fiato-, dall’altra una presa di coscienza politica che rimette in scena l’esatta volumetria delle Torri Gemelle come simbolo dell’America vincente (che fu?).
Dopo essere stato pioniere della tecnica mista con Chi ha incastrato Roger Rabbit? e della performance capture con Polar Express, La leggenda di Beowulf e A Christmas Carol, Zemeckis coglie quella che pare essere la migliore occasione possibile per la sua prima incursione nella stereoscopia con attori in carne ed ossa, trovandone subito un uso personale e necessario ben oltre l’indiscutibile spettacolarità. Ogni singola inquadratura scelta dal regista statunitense infatti tende ulteriormente alla profondità, allungando il più possibile il campo e sfruttando la terza dimensione ora con la vicinanza di oggetti che sembrano ben più vicini dello schermo, ora con l’abisso vertiginoso del precipizio. The Walk è infatti uno dei pochi(ssimi) film da vedere assolutamente in 3D, capace di creare nello spettatore un reale senso di vertigine, una sofferenza empatica che rende a tratti impossibile respirare, un’esaltazione dei sensi atavica e inarrestabile. Ma non sono solo tecnici, i meriti di Zemeckis e di The Walk. Dopo l’attentato del 2001, mai più si erano viste sullo schermo le Twin Towers integre e così scevre di retorica. Ormai il World Trade Center esiste nell’immaginario collettivo solo come simbolo di morte e devastazione, nel crollo delle Torri si può scorgere il crollo definitivo del sogno americano, nella loro mancanza l’assenza di positività e reali possibilità. Ecco, Zemeckis con The Walk compie un percorso esattamente contrario: ci mostra le Torri ricostruite alla perfezione dalla grafica 3D, enormi, erette, baldanzose nei loro cento e più piani, simbolo di un’America in costruzione, accogliente e positiva, persino teatro di imprese e spettacoli circensi. Si rivolge ai cittadini statunitensi e newyorchesi in particolare, Zemeckis, sembra dire loro che è giunto il tempo di allontanare l’immagine dell’apocalisse e di rialzarsi definitivamente, anche nella memoria, per tornare a quella prosperità felice e a quell’atmosfera positiva.
Per far rinascere le Twin Towers, Robert Zemeckis si affida alle già collaudate forme del romanzo d’avventura, senza però dimenticare sprazzi di amore e chiare grida di libertà. Petit, molto bene interpretato da Joseph Gordon Levitt, racconta la sua impresa direttamente alla macchina da presa stando in piedi sulla fiaccola della Statua della Libertà, non a caso altro simbolo dell’accoglienza degli States e primo barlume d’America per i migranti di un tempo. Sullo sfondo, un World Trade Center integro e senza tempo, quasi eterno nella sua altezza maestosa. Un piano fatto di complici più o meno probabili, astuzia, studio, costanza e difficoltà, fino al 7 agosto 1974, il cavo d’acciaio in tensione fra una Torre e l’altra, le evoluzioni del funambolo, la sua intima necessità di stare lassù. Nel continuo e dolcissimo senso di vertigine offerto dalla stereoscopia secondo Zemeckis, Petit si ritrova in mezzo con la polizia su entrambi i tetti, in una sfida che riporta alla mente le coreografie comiche di Stanlio e Ollio, ma anche Chaplin nella stanza degli specchi in The Circus. Sdraiato sul filo, a 415 metri di altezza, guarda il pubblico che sotto accorre. Si rialza, si inginocchia, compie altre evoluzioni, saluta la gente che ha assistito al suo giorno di maggiore gloria, al coronamento del suo sogno. Al coronamento del sogno americano. E, perché no, alla distruzione del sottile confine fra sogno e follia. E poi esce di scena, da circense consumato, fra gli applausi. Dopo una piccola e inevitabile condanna, gli verrà consegnata una tessera per l’accesso ai tetti delle torri. Sul tesserino, al posto della data di scadenza, ci sarà scritto “forever”.
In conclusione, con The Walk Robert Zemeckis raggiunge vertici di spettacolarità mai tentati, ma non dimentica una precisa finalità sociopolitica che è fra gli aspetti più interessanti del film. Forse, se proprio bisogna trovargli qualche piccolo difetto, può risultare un po’ sbrigativo nella caratterizzazione dei personaggi secondari, o forse un po’ troppo lineare in una narrazione dove i veri sobbalzi emotivi sono garantiti piuttosto dallo stupefacente utilizzo del 3D. Ma si tratta di limiti veniali, che se da una parte ci impediscono di gridare al capolavoro, non certo ci allontanano dal goderci uno dei migliori e più ispirati film di Zemeckis dai tempi della storica trilogia di Ritorno al Futuro. The Walk è un film da vedere armati di occhialini e voglia di (ri)scoprire, un manuale di tecnica cinematografica, un pudico e ancestrale atto d’amore verso una New York ancora ferita, ma mai sconfitta. Un film ampiamente oltre le più rosee aspettative, pronto a camminare sul filo per poi spiccare il volo.
Marco Romagna