26 Febbraio 2020 -

THE VIEWING BOOTH (2020)
di Ra’anan Alexandrowicz

Non è raro, per i più e meno assidui frequentatori di questi cinquant’anni esatti di indipendenza del Berlinale Forum, imbattersi in gioielli improvvisi e inaspettati. Quei film che ti colpiscono e forse ti cambiano qualcosa, una percezione, un’idea, parte dello sguardo. The viewing booth di Ra’anan Alexandrowicz è uno di questi, un lavoro fondamentale per chiunque lavori con le immagini.
Alexandrowicz è un regista israeliano, già autore di The Law in These Parts (2011) e The Inner Tour (2001), due film che hanno raccontato diversi aspetti dell’occupazione israeliana in Palestina. In questo nuovo lavoro, tutto girato in uno studio di montaggio, il regista incontra un gruppo di studenti americani e mostra loro alcuni video reperiti online, che descrivono la dura realtà dell’esistenza palestinese sotto il dominio militare israeliano. I video provengono per metà da Hamas o da forze palestinesi, e per l’altra metà sono invece stati realizzati da Israele o forze comunque legate al conservatorismo sionista. Ad Alexandrowicz, in questo caso, non interessa tanto il discorso politico, quanto le reazioni degli studenti nell’atto di guardare, e proprio per questo chiede loro di commentare le immagini direttamente mentre le vedono, esprimendo ciò che pensano e non necessariamente le emozioni che provano. The viewing booth è unico nella sua forma e struttura, con Alexandrowicz che gira letteralmente la macchina da presa lontano dal mondo e va diretto verso gli occhi degli spettatori, costantemente costringendoli a interrogarsi. A partire dalla decisione di aprire e chiudere con la camera che si gira di 180 gradi e viene verso il pubblico, il regista israeliano opta per scelte radicali, con cui cercare di esplorare il modo in cui diamo significati alle immagini in base ai nostri sistemi di credenze.

Il film inizia con Alexandrowicz che accoglie nel suo studio sette studenti, mostra le immagini e ne filma le prime reazioni, ma ci rendiamo subito conto che si concentrerà solamente su una di loro: Maia Levy, giovane ed entusiasta sostenitrice di Israele. Una ragazza che non crede alle immagini che vede e lo dice in modo chiaro e netto, spesso addirittura mettendosi a ridere di fronte alle più tragiche immagini. Non ha alcun dubbio: ogni immagine per lei è una ricerca del fake, delle messe in scena, e non nasconde mai il suo assoluto scetticismo. Sei mesi dopo, tuttavia, Alexandrowicz la invita di nuovo a guardare altri filmati. E questa volta, fra le immagini che scorrono, Maia guarda anche le riprese di se stessa mentre commentava le immagini dell’occupazione. E qui cambia qualcosa, il dialogo tra lei e il regista si intensifica, e qualche dubbio affiora.
The viewing booth è un film profondamente stratificato, che ragiona su molti livelli e cerca di fare un discorso che vada ben oltre il conflitto israelo-palestinese. L’analisi riflessiva di Maia sui suoi precedenti commenti fornisce allo spettatore una dimostrazione sconcertante dell’idea che vedere non è sempre credere. Alexandrowicz realizza così uno dei film più interessanti di questa Berlinale, un film fondamentale che pone si costantemente domande su verità e finzione, sulla dialettica tra spettatore e filmmaker, su cosa cerca chi filma, sul vedere un lato di un problema e il suo lato oscuro. The viewing booth è un film sulla macchina da presa che produce immagini e su come lo spettatore ne produce altre, sul pensiero che cambia o che rimane immobile, sul credere in qualcosa che cambia la percezione di ciò che vediamo.

Claudio Casazza

“The Viewing Booth” (2019)
70 min | Documentary | USA / Israel
Regista Ra'anan Alexandrowicz
Sceneggiatori Ra'anan Alexandrowicz
Attori principali Maia Levi
IMDb Rating N/A

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