11 Febbraio 2017 -

THE TOKYO NIGHT SKY IS ALWAYS THE DENSEST SHADE OF BLUE (2017)
di Yuya Ishii

Spesso sentiamo parlare, nella nostra generazione e non solo, della difficoltà di crescere, dello scarto delle proprie solitudini impossibilitate a cercarne le stesse vicinanze, a quel senso di impotenza di fronte al trauma continuo del confrontarsi verso una società sorda. Queste problematiche così complesse e sconnesse colpiscono gran parte del mondo occidentale e, in una realtà così estrema come quella giapponese, possono assumere i contorni di una piaga sociale.

L’ultimo film di Yuya Ishii tratteggia in modo stilisticamente imperfetto ma profondamente emotivo questo spaccato di ragazzi sotto il sole di una Tokyo distratta e vorace, che logora e consuma i sentimenti e i rapporti lasciandosi dietro un senso di precarietà spesso ai confini dell’angoscia. Un’infermiera che di notte sbanca il lunario al bar, un ragazzo cieco da un occhio che goffamente si guadagna da vivere come operaio edile: attorno a loro ruotano figure buone ma costantemente emarginate, che lottano ogni giorno nella speranza che la sopravvivenza non possa solo essere un’utopia, ma qualcosa a cui tendere in una maniera più strutturata. Yuya Ishii gioca continuamente con le forme, splitta l’immagine, la deforma, chiude l’occhio del protagonista maschile e spalanca quelli della ragazza. Il film è subito instabile e precario, coraggiosamente osato e spesso abbozzato. Il senso di morte spesso la fa da padrone, si porta via un altro giovane operaio che stava ricercando l’amore di lei, diventa fantasma e gioca con il passato. Ripassa l’aldilà a prendersi il vecchio saggio che faceva compagnia a lui, lo educava alla cultura, alla vita, all’amore forse. Allo stesso tempo, anche gli altri compagni di cantiere abbandonano il lavoro, chi torna dalla famiglia filippina e chi cede per la schiena dolorante, quasi come se, dopo essersi conquistati quella sopravvivenza, ora potessero sentirsi in debito con l’esistenza stessa. Rimangono in due allora, un lui e una lei quanto mai dispersi nell’enorme Tokyo che arde di giorno e si adombra di notte. Il loro sarà un conoscersi lento, educato, tenero, un tentativo di comprensione che dell’amare potrebbe solo esserne un abbozzo. Ma questo basta, probabilmente, ad allontanarsi, a cercare un respiro distante meno inquinato, più vero.

The Tokyo Night Sky Is Always the Densest Shade of Blue, presentato alla Berlinale 2017 nella sezione Forum, è un film, già dal titolo estremamente particolare, che nella sua complessità narrativa e formale non nasconde una varietà di imperfezioni, ma che trae linfa vitale dall’estrema umanità mostrata e dal rischio continuo della sua rappresentazione. Si muove come una passeggiata commovente di anime alienate dalle proprie radici e prospettive, ma ostinate ad andare avanti in quell’assurdo e imprevedibile gioco che è la vita. Un viaggio lirico tra coloro che non hanno nulla da perdere (la giovane mendicante del ponte senza mai un pubblico che diverrà la cantante affermata dai cartelloni) e che ora sono disposti a tutto per poter affermare l’unica vera facoltà a loro rimasta, ovvero l’amore. In quella cornice di disastri, tra il terremoto e la crisi, la depressione e il suicido, solo la libertà dell’essere umani può risultare una via di fuga. The Tokyo Night Sky Is Always the Densest Shade of Blue è un film senza dubbio discutibile da vari punti di vista ma, almeno per chi scrive, ancor più da difendere nel coraggio delle scelte e nella visione tenera di un naufragio di anime a cui non possiamo restare indifferenti. Il punto di fuga di queste prospettive, come tranquillamente possono essere le nostre, è il desiderio, è quella tensione romantica fondamentale e primordiale che porta a conoscerc/si, come spesso il cinema può (ancora) fare. Per fortuna.

Erik Negro

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