IL NASO O LA COSPIRAZIONE DEGLI ANTICONFORMISTI (2020), di Andrey Khrzhanovsky
«The Nose perde ogni significato se viene visto solo come una composizione musicale. Perché la musica nasce solo dall’azione. Mi è già chiaro che una performance come semplice concerto di The Nose lo distruggerà»1, diceva Dmitri Shostakovich già nel giugno ’29, quando la partitura della sua opera buffa tratta dal «Нос» (“Nos”) di Nikolai Gogol, completata solo da pochi mesi e non ancora rappresentata, era sul punto di debuttare in una forma esclusivamente sinfonica del tutto contraria ai suoi desideri. Il progetto originario, forma d’arte d’avanguardia pura e trasversale fra i diversi linguaggi sperimentali della musica e del teatro, non certo privo di intenti politici e sociali tanto nella sua satira sulla Russia dei tempi di Alessandro I quanto nelle metafore surreali che avviluppano il protagonista e appunto il suo naso che si stacca e vive una parte di vita propria, avrebbe inizialmente previsto uno spettacolo al Bolshoi sotto la direzione di Vsevolod Mejerchol’d, ma non si potè mai realizzare prima per i troppi impegni del regista, e poi per il crescente ostracismo nei suoi confronti, reo di un’arte ancora troppo formalista e intellettualista mentre stava nascendo il canone unico concesso del Realismo socialista. «Ma ho accordato a un regista d’animazione di utilizzare le musiche», continua Shostakovich, questa volta nella sua versione di carta e disegni rievocata dal veterano dell’animazione russa Andrey Khrzhanovsky, che negli anni Sessanta ricevette personalmente dal compositore che tanto aveva amato il suo corto d’esordio l’autorizzazione scritta per realizzare la versione in lucidi e chine dell’opera. Una frase molto più profonda e significativa di quanto possa sembrare, che al suo interno spande in un sol soffio tutta l’anima di The Nose or Conspiracy of Mavericks: un atto di giustizia e di profondissimo amore, sia verso ogni aspetto formale e contenutistico dell’opera di Shostakovich finalmente riletta e rispettata come per rendere realtà un progetto (pan)artistico rimasto per 90 anni un sogno mai del tutto portato a termine2, sia più in generale nei confronti di tutti gli artisti censurati, deportati e “suicidati”, quando non direttamente affidati al plotone d’esecuzione, in epoca staliniana. Un perfetto critofilm, come amerebbe definirlo Adriano Aprà facendo suo il termine coniato da Carlo Ludovico Ragghianti, che parte da una vera e propria lettura e traduzione ponderata dell’opera, dal linguaggio teatrale a quello del cinema, per poi espandere progressivamente il proprio discorso (e i richiami estetici alle Avanguardie) in un vero e proprio viaggio nel tempo sempre più malinconico e sublime, che mescola anacronismi, forme d’arte ed epoche differenti per attraversare un secolo di Storia della Russia fino a giungere al rapporto fra arte e Potere ai tempi delle Purghe. C’è il primo Ottocento della vicenda di The Nose, c’è il 1835 di Gogol, c’è il 1929 di Shostakovich, c’è tutto il Novecento sovietico, e c’è ovviamente il 2020 dell’ottuagenario Khrzhanovsky, che prima di attaccare Stalin si cura non certo per caso di far apparire almeno per un attimo Vladimir Putin, allungando ancora una volta la vita a una metafora del caos politico, delle pressioni e delle censure barbaramente destinata a ripresentarsi e rinnovarsi epoca dopo epoca. Mentre i protagonisti di un paio di secoli prima hanno già in mano computer e smartphone, mentre il barbiere che ai primi dell’800 si vuole sbarazzare del naso è inseguito anche dai pionieri sovietici, e mentre le tecniche di disegno animato progressivamente passano dai canoni del libro illustrato ai tratti dolci e abbozzati dell’infanzia che sogna l’utopia immaginando un paradossale rapporto di fraterna amicizia fra Stalin e Bulgakov, per poi farsi sempre più spigolosi e opprimenti, fra la pittura d’Avanguardia di Filinov e i nerboruti poster di propaganda, quando il terzo atto riporta alla realtà storica, al ricordo, agli amici e all’omaggio ad alcuni fra i più eminenti e perseguitati intellettuali e artisti del Novecento. Un progetto rimasto per mezzo secolo nella testa del regista e chissà quante volte ripensato, rielaborato, espanso e stratificato fra visione, musica, dipinti, Storia e malinconia, fino alla messa in scena di un vero e proprio processo all’Avaguardia, ai documenti d’archivio, e poi su nel cielo fino alla poesia delle stelle più indimenticate e rimpiante.
Presentato in prima mondiale fra le Perspectives/The Tyger Burns di Rotterdam 2020 come ritorno al lungometraggio – curiosamente quasi in contemporanea con il mastodontico (grappolo) DAU del figlio Ilya, iniziato nel 2006 e pronto a vedere per la prima volta la luce fra pochi giorni dentro e fuori il concorso della Berlinale – ben undici anni dopo l’ultima sortita di Khrzhanovsky, The Nose or Conspiracy of Mavericks inizia letteralmente decollando. È la partenza, in live action, di un filantropico aereo d’utopia, all’interno del quale sui vari schermi i passeggeri passano in rassegna la storia del cinema e della cultura. Qualcuno guarda Nosferatu, qualcuno Ivan il Terribile, qualcun altro preferisce le immagini un tempo censurate di Tarkovskij, German o Marlen Khutsiev, fino a quando un paio di passeggeri iniziano a dissertare di civilizzazione e del protosurrealismo di The Nose, e i tre atti di Shostakovich diventano così i tre sogni, meravigliosamente asimmetrici, di Khrzhanovsky: l’opera, l’utopia, e poi la Storia. Con tanto di disegnatori al lavoro e scatola scenica sulla quale proiettare, con i diversi stili di disegno e animazione (matita, carboncino, acquerello, lucidi, fotografie a cui far muovere le labbra) montati proprio come nell’opera sono montati i diversi generi musicali. Con la carrozzina della Corazzata Potemkin splittata in un’installazione a più schermi in cui ogni inquadratura è un diverso spazio fisico, e con il Naso che, staccatosi dal corpo del protagonista e cresciuto fino alle dimensioni umane – così come alle umane gerarchie e classi sociali – diventerà ben presto più alto in grado del resto del suo corpo e rifiuterà di riceverlo. Innalzandosi così a simbolo totalitario, chiuso nella sua uniforme militare per sedersi su troni e auto di lusso, ormai parte attiva del sistema molto più del suo proprietario, respinto nel frattempo da ogni molecola della società e persino dai giornali che alla giustizia e all’umanità antepongono la reputazione. Del resto, già in Gogol l’assurda perdita del Naso è una sorta di castrazione, un ridurre l’aspetto esteriore all’inquietudine dell’Urlo di Munch in una società fatta di tentativi di scalata, di alienazioni e di abiti che fanno il monaco, e al contempo una simbolica privazione dell’olfatto in un mondo sempre più insensibile. E proprio come il Naso sarà prima o poi destinato a tornare al suo posto in mezzo al volto, allo stesso modo l’ucronia poetica di Khrzhanovsky immaginerà come sarebbe andata se Michail Bulkagov, centrale tanto nel Surrealismo anni Venti/Trenta quanto nel discorso sul destino degli artisti, scrittore preferito di Stalin ma non abbastanza per evitare pressioni e censure, né tanto meno per ottenere quel permesso di espatrio richiesto a più riprese e mai concessogli, fosse stato realmente benvoluto e non solo sopportato dal Potere. Ma proprio quando il Bulgakov animato potrà, a differenza di quello reale, partire per un viaggio verso la casa natale, sarà inevitabilmente la Storia, quella vera, a risvegliare dalla chimera. Una Storia di scrittori, registi, attori, poeti, matematici, teologi, scienziati e artisti schiacciati dal Potere, repressi, accusati, censurati, giustiziati. Una Storia che si può facilmente immaginare ripartire da Stalin seduto a teatro con Zhdanov, Molotov, Kaganovich e i più importanti uomini di Partito del tempo ad assistere proprio al The Nose, disgustati dalla sua ricerca formale e dal suo caos apparente così lontano dalla diretta comprensibilità del Realismo socialista. È la (stessa) Storia di Titsian Tabidze, di Osip Mandel’štam, di Isaak Babel, di Solomon Michoėls, di Igor Terentiev. È la (stessa) Storia di Nikolaj Zabolockij, di Nikolaj Vavilov, di Pavel Florensky, di Aleksandr Vvedenskij, di Olga Bergholz. È la (stessa) Storia di di Varlam Šalamov, di Aleksandr Solženitsyn, di Sergej Korolëv, di Boris Pil’njak. Èd è ovviamente la Storia di Vsevolod Mejerchol’d e di Vladimir Shostakovich, acidamente definito dalla Pravda Caos invece che musica sin dalla sua prima sinfonia e costretto a più riprese a “rieducazioni” marxiste per tentare invano di placare un animo troppo rivoluzionario anche per i rivoluzionari. È la Storia del Grande Terrore e delle purghe, è la Storia degli arresti e delle fucilazioni degli artisti formalisti e avanguardisti non sufficientemente allineati, è la Storia delle rappresaglie, dei processi all’arte e alle avanguardie, e ancora una volta è la storia in tre sogni di The Nose or Conspiracy of Mavericks. Una storia con cui combattere l’oblio, l’ingiustizia, la malinconia più inesorabile. Una storia con cui tornare liberi di guardare per sempre ciò che si vuole, espressivo e profondo sui monitor dell’aereo nel perenne rincorrersi e completarsi di forma e contenuto. Eterno come un volo fra chi non c’è più, ma non è mai realmente andato via. Un volo nell’arte più pura, moto perpetuo di idee, di genialità e di passioni. Un volo sublime, con il quale rimanere sospesi fra le lacrime. Sperando con tutto il cuore che almeno questo aereo fra gli aerei, questo sogno fra i sogni, non possa mai più atterrare, ma rimanga per sempre lì, alto nel cielo, come una scheggia di bellezza, giustizia e libertà.
Marco Romagna
1 Elizabeth Wilson, Shostakovich: A Life Remembered. London: Faber, 2006
2 Le cronache raccontano che nel 1930, l’anno successivo alla prima esecuzione di The Nose come concerto, toccò al meno talentuoso Samuil Samosud e al meno quotato Teatro Michajlovskij l’onore di mettere in scena per la prima volta lo spettacolo di The Nose seguendo più o meno le direttive dell’autore, ma Shostakovich, ben prima di finire egli stesso fra gli intellettuali repressi dal regime, non fu mai realmente soddisfatto dell’effettiva riuscita dello spettacolo e della mancata collaborazione con Mejerchol’d. Tanto che The Nose finì ben presto immeritatamente nella polvere, per poi venire riscoperto e rimesso in scena solo nel 1974.