Nel momento in cui la riflessione metacinematografica sui codici del genere horror, in particolare la sottocategoria dello slasher, impazza in televisione con il rifacimento catodico di Scream (lontano anni luce dalle imprese di Wes Craven e Kevin Williamson) e la nuova fatica di Ryan Murphy, Scream Queens (i cui ammiccamenti si fanno espliciti già con la presenza nel cast di Jamie Lee Curtis, eroina di Halloween e figlia di Janet Leigh, la mai dimenticata Marion Crane di Psycho, la lezione più interessante e divertente sulla materia arriva, ancora una volta, attraverso il cinema (in tutti i sensi): The Final Girls, acclamato al festival South By South West negli Stati Uniti ed arrivato in Italia tramite la kermesse torinese, che lo ospita nella sezione After Hours, appositamente dedicata al cinema di genere (soprattutto anglosassone, ma vi sono anche esempi orientali – Sion Sono – e scandinavi).
Il paragone – superficiale, sia ben chiaro – con l’approccio di Scream Queens è quasi inevitabile, poiché anche in questo caso il filo conduttore a livello puramente narrativo è una storia di madri e figlie, con la genitrice (la svedese Malin Akerman) divenuta famosa per il suo ruolo in uno slasher di culto, intitolato Camp Bloodbath (l’allusione a Venerdì 13, con tanto di trailer all’antica con voce narrante da brivido, è palese ed efficace). Lei è morta in un incidente automobilistico, e la figlia (Taissa Farmiga, le cui credenziali di genere sono solide grazie ad American Horror Story, altra creatura di Ryan Murphy), pur volendosi allontanare dal passato, si ritrova nuovamente a stretto contatto con esso tramite una proiezione speciale del suddetto Camp Bloodbath. Solo che questa volta lei ed alcuni amici finiscono dentro il film, e devono servirsi delle loro conoscenze dell’horror per sopravvivere e tornare alla realtà.
The Final Girls riprende quindi l’idea di base di un film come Pleasantville e la rielabora attraverso il filtro del cinema di paura, iniettandovi la sensibilità di Williamson, ma anche Joss Whedon e Drew Goddard (Quella casa nel bosco). Le “regole” dell’horror vengono riesumate all’insegna del divertimento, con fare affettuoso ma mai gratuitamente nostalgico. A qualcuno potrà dare fastidio l’idea che un regista renda omaggio agli slasher dell’epoca d’oro con un film che, per ragioni commerciali, è uscito in patria con il visto PG-13, suggerendo un approccio edulcorato alla materia; in realtà il problema non si pone, dato che il tono apertamente comico dell’operazione consente la realizzazione di scene accettabilmente cruente e ciò che manca – nudi frontali femminili e consumo sregolato di marijuana – non è abbastanza per giudicare negativamente le intenzioni degli autori. E in mezzo alle risate e agli spaventi c’è un’anima molto umana, tramite l’esplorazione, molto particolare, del rapporto fra una madre – vera e fittizia – e sua figlia, con scene che riescono a rendere toccante l’uso di certi brani smaccatamente “anni Ottanta”. Questo riesce anche a rendere The Final Girls più fruibile ad un pubblico non per forza ferratissimo per quanto concerne la parte più strettamente teorica, comunque spiegata in modo efficace e spassoso dall’esegeta interpretato da Thomas Middleditch.
Ovviamente, dato il clima cinematografico generale in cui viviamo e il genere specifico con cui abbiamo a che fare, gli autori avrebbero già in mente un sequel, incassi permettendo. Un’idea alla quale non siamo avversi, data la giustificazione tematica e la velata dichiarazione d’intenti del regista, espressa da Middleditch: il seguito è di gran lunga superiore. Se si farà, lo aspettiamo fiduciosi.
Max Borg