THE ENDLESS RIVER (2015), di Oliver Hermanus
C’è in realtà ben poco da dire sull’opera terza di Oliver Hermanus, The Endless River, inspiegabilmente piazzato nel Concorso di Venezia 2015. Quello del regista sudafricano è infatti un film totalmente piatto, soporifero, insipido, l’unico titolo in grado di convogliare l’intera critica nell’esposizione al pubblico ludibrio. Emblematico è il resoconto ricevuto della proiezione stampa in Sala Darsena (lo scrivente lo ha guardato alla seconda press, due ore dopo, in una Sala Perla semideserta e per lo più addormentata): da circa metà in poi, il pubblico non ha saputo resistere alla comicità involontaria di un film completamente fuori strada, esplodendo in fragorose risate durante una proiezione diventata all’improvviso un gioco al dileggio di per sé deprecabile, ma in questo caso oggettivamente comprensibile. Inevitabile, al termine della reazione ironica, la pioggia di fischi sui titoli di coda, amplificata da un solitario quanto sonoro “Incompetente” pronto a riecheggiare per la sala.
Eppure l’incipit del film era oltremodo invitante, apparentemente pronto ad esplodere con tutta la potenza del cinema classico. I titoli di testa sfumati, in uno stile hollywoodiano classico a metà strada fra John Ford e Billy Wilder, la forza espressiva di una musica extradiegetica pronta a riportare alla memoria i melò anni Cinquanta, la scansione in capitoli che fa pregustare una struttura da romanzo ottocentesco, i paesaggi sudafricani che si alternano placidi, ideale location per un western, un melò, un road movie. E il problema è proprio che Oliver Hermanus tenta tutte e tre le strade, e successivamente altre ancora, per un film confusionario e inconsistente, che vorrebbe stupire senza avere nulla da dire, melodramma privo di cuore che asfissia i propri personaggi ed il pubblico in una chiusura costante e opprimente, fatta di primi piani inespressivi, silenzi immotivati, scene di sesso assolutamente incapaci di sprigionare non solo erotismo, ma nemmeno un minimo di partecipazione. Non c’è neppure un briciolo di vitalità, nel film di Hermanus, né di empatia, ma solo soluzioni registiche reazionarie reiterate all’infinito, una gratuità negli snodi di trama che porta all’ingiustificata e patetica storia d’amore in grado di mettere in ridicolo tutto il secondo atto, fino un finale che vorrebbe ammiccare ad un non detto autoriale à la Kubrick, ma finisce per appiattirsi nella propria drammatica incapacità comunicativa.
L’intero lungometraggio pare riuscire a basarsi solo su un solo assioma di sconcertante banalità: dopo una tragedia in famiglia, una persona diventa fragile, e fra due persone fragili può scattare una scintilla impossibile. Vorrebbe in realtà, probabilmente, esercitarsi in una lettura del rapporto fra vittima e carnefice, oppure nel racconto di un Paese straziato e ancora politicamente malandato dopo troppi anni di apartheid, corruzione e disuguaglianze, ma la totale assenza di direzione e di uno sguardo adeguato fanno malamente naufragare il flebile spunto in una noiosissima fuga romantica inframezzata a esplosioni di violenza meccaniche e mai emotivamente efficaci. L’Endless River del titolo è la cittadina sudafricana di Riviersonderend (Fiume Infinito), nella quale un marito torna a casa dopo quattro anni di carcere. Ad accoglierlo la moglie Tiny, cameriera convinta di potere finalmente realizzare il sogno d’amore con lo sposo interrotto bruscamente dall’arresto. Poco lontano da loro abita Gilles, cittadino francese ma sudafricano d’adozione da parecchi anni, al quale in una scorribanda criminale notturna vengono massacrati la moglie e il figlioletto. Il primo, scontatissimo, punto di contatto fra le due realtà, saranno i sospetti verso il pregiudicato marito di Tiny, seppur innocente. Quando un’auto le ucciderà il marito, Tiny si avvicinerà a Gilles, due anime unite dalla tragedia e dal dolore, svoltando il film in una sorta di fuga d’amore gratuita e capace di saltare solo da un involontariamente comico fronzolo all’altro. Del resto, due persone che hanno appena perso gli affetti e si conoscono a malapena, perché non dovrebbero partire insieme per una vacanza rigenerante nella quale arrampicarsi sugli alberi, tuffarsi in mare, ballare in discoteca e fare all’amore? Non resta che dimenticare il nulla espresso da The Endless River prima possibile, lavarne le scorie. Rimuovere dalla memoria due ore malamente sprecate. Rimane una domanda: cosa ci faceva in concorso?
Marco Romagna