THE DEAD NATION (2017), di Radu Jude

Molte volte, anche e soprattutto nel Nuovo Cinema Rumeno, ci si è interrogati e ancora ci si interroga sugli anni di Ceausescu, sulle oppressioni della dittatura, sulla povertà dilagante, sul sistematico genocidio non solo dei rom attuato dal regime. È invece estremamente raro imbattersi in qualcosa che si interroghi sugli anni immediatamente precedenti, quelli dell’estrema destra del Movimento Legionario al potere, quelli della sostanziale dittatura militare di Ion Antonescu, quelli della Guardia di Ferro e dei suoi soprusi, quelli dei territori persi e annessi all’URSS e all’Ungheria, ma soprattutto quelli delle leggi razziali antisemite, quelli dell’ultranazionalismo, quelli dell’integralismo cristiano, quelli degli omaggi, con tanto di piazze dedicate a Hitler e Mussolini, ai fascismi a cui i Legionari convintamente e apertamente si ispiravano. Tara moartă, nuovo film di Radu Jude sospeso fra il saggio e il documentario e presentato a Locarno 70 nella sezione Signs of Life con il titolo internazionale The dead nation, torna esattamente a quegli anni, dal 1937 al 1946, usando come filo conduttore narrativo la lettura in voce off di stralci del diario tenuto da un anonimo medico ebreo della Bucarest del tempo, e affidando l’intero comparto visivo alle immagini scattate nel corso di quegli anni, in medio formato su piatti albuminati, dal fotografo Costica Acsinte. Con uno stile filmico totalmente differente rispetto al passato, che alla finzione sostituisce il documento della pura realtà immortalata e archiviata, al colore sostituisce il bianco e nero granuloso e contrastato della fotografia del tempo, e persino al movimento sostituisce la fissità pittorica degli istanti restituiti dalle lastre, The dead nation inizia in un certo senso dove finiva il precedente lavoro Inimi cicatrizate (o Scarred Hearts che dir si voglia) sia per quanto riguarda il ritorno agli anni Trenta del Novecento con le loro tematiche razziali e belliche inevitabilmente annesse, sia per quanto riguarda la vera e propria genesi del film, la cui idea è maturata dalle ricerche effettuate per dare veridicità storica, con uno studio approfondito dei costumi, ai lungometraggi di finzione. Trovandosi di fronte alle fotografie e alla fisicità quasi scultorea che emerge dai volti e dai corpi immortalati in bianco e nero sui supporti fotosensibili, Jude si è ben presto reso conto di avere per le mani un materiale straordinario, in grado da solo di raccontare infinite storie, in grado di fissare nell’eterno ciò che è durato un solo attimo, e che ora è immortale.

The dead nation lascia che la Storia si racconti da sola, al presente, “in diretta”, mostrata nell’alternarsi delle fotografie, dei volti che non ci sono più, ma anche nei contrasti fra l’orrore che emerge dai diari e l’apparente felicità delle immagini. Non si tratta di reportage di guerra, non sono, al di là di qualche saluto romano, di qualche funerale e di una manciata di orfani, immagini di battaglia o di sofferenza. Le foto di Acsinte sono la pura quotidianità del tempo, i vestiti buoni, le divise dei soldati, le famiglie intorno al tavolo, i sorrisi, le feste. Spetta alla voce fuori campo il compito di contestualizzarle, di introdurre l’atroce realtà delle persecuzioni, delle condizioni di vita inumane, delle torture nei confronti degli ebrei percossi, mandati a spalare la neve a -31°, costretti a bere benzina, isolati, alienati e poi deportati. Spetta alla voce fuori campo il compito di denunciare come Antonescu e i nazisti tedeschi marciassero a braccetto “contro la barbarie bolscevica”, come festeggiassero insieme nelle strade il compleanno di Hitler, come le canzoncine antisemite fossero fra i maggiori successi radiofonici, come ci siano stati oltre 800mila morti stretti nella morsa fra le due dittature, come persino i malati di tubercolosi – e si torna ancora a Inimi cicatrizate – isolassero e facessero cacciare dall’ospedale i loro compagni di sventura di religione ebraica oppure i dottori non cristiani, creando una paradossale penuria di medici e facendo capitolare l’intero sistema sanitario. The dead nation è un viaggio nella propaganda, nelle contraddizioni, nel buio umano, storico e politico di un periodo quasi rimosso dalla Storia, eppure così drammaticamente vicino al presente, ai venti razzisti e destrorsi che spirano per il mondo occidentale, a quella stessa voglia del popolo di riconoscere una figura carismatica e di essere comandato, vivendo con horror vacui la libertà. È un film che ritorna alle sinagoghe bruciate, alle squadracce fasciste in giro per le città e i paesi, alle figure politiche e militari del tempo, alle alleanze con gli altri Stati, ai bambini dal braccio teso, alla guerra anche civile, alle invasioni sovietiche in Bukovina e Bassarabia dai cui nacque l’ultranazionalismo più deviato, ai discorsi alla nazione di Antonescu, ai rituali religiosi natalizi, al gas che uccideva esseri umani, magari proprio gli stessi che appaiono, sorridenti e probabilmente ignari del loro destino, nelle fotografie di Acsinte. E poi, dopo un momento di necessaria sospensione su schermo nero, è ancora la Storia, quella che ha fatto cadere la Romania dalla padella alla brace, quella che ha annichilito una nazione per oltre mezzo secolo, quella che, dalla festa per la liberazione dai Legionari accompagnata dalle grida a osannare Stalin, si è ritrovata ben presto a capire che nulla o quasi era cambiato, che l’antisemitismo sarebbe rimasto ancora per un po’, che le condizioni economiche e sociali non sarebbero di certo migliorate, trascinate nella marcescenza dell’imbarbarimento sovietico post-Lenin.

Ma non è solo l’indubbia importanza storica e politica, a fare grande The dead nation. Ben al di là della sua cronistoria, c’è anche il linguaggio cinematografico scelto da Jude, un linguaggio che spinge alle estreme conseguenze il footage e la documentazione, un linguaggio che opta per una fissità marmorea, che solo la fotografia su medio formato e su supporto fisico riesce a restituire nei suoi chiaroscuri e nella sua materia. È un ritorno all’umano, al corpo, agli sguardi, alle pose di un tempo che non c’è più, ma anche e soprattutto alla lirica che il formato di per sé possiede, fra i bordi frastagliati e le porzioni di immagine perse per sempre, come un ricordo ormai squamato sul vetro. Jude decide di non girare nemmeno un fotogramma, ricostruendo in montaggio la Storia utilizzando semplicemente i suoi frammenti, i suoi istanti, le sue impressioni a caldo. Forse è l’unico modo per poter davvero tornare a quegli anni, per poterli penetrare nella loro più intima essenza, per immergersi in quella realtà, anche e soprattutto nel momento in cui i materiali di partenza, quella realtà immortalata sui piatti fotosensibili, è una realtà quasi tangente rispetto alla Storia che si sta narrando, di una sincerità che travalica l’evento “noto” e che entra di prepotenza nell’intimità familiare, nelle foto ricordo, nella quotidianità di un popolo che poco o nulla poteva di fronte agli eventi che stava subendo. Nella sua apparente semplicità minimale, The dead nation è un film enormemente prezioso,  è una riflessione più che mai acuta sulla narrazione, sull’immagine, sui documenti, sulla Storia, sui suoi ricorsi, sulle pagine più buie e nebulose di una nazione. È una vera e propria lettura critica del periodo, dettagliata, intelligente, accorata, fatta di condivisibili opinioni personali e di istanti rubati da una camera oscura pronta a restituirli a ottant’anni di distanza. All’interno della sempre brillante cinematografia rumena contemporanea, da Corneliu Porumboiu a Cristi Puiu, passando per Cristian Mungiu e Radu Muntean, The dead nation è probabilmente, a oggi, il film migliore di Radu Jude, quello che più osa linguisticamente, e al contempo quello che meglio approfondisce i documenti storici di cui è fatto, lasciando che la realtà del tempo emerga dai suoi lasciti, dai suoi documenti, dai suoi segnali di vita. Come prova in flagranza di un pugno che ha scritto, di un occhio che ha visto, di una mano che ha scattato una fotografia. Nonostante gli occhi velati di lacrime.

Marco Romagna