THE ACTRESS (2014), di MOON So-Ri
In un festival unico e cinefilo come la kermesse locarnese, è possibile fare gli incontri cinematografici più disparati. Dal Concorso Internazionale a Cineasti del Presente, con i film in prima mondiale e selezione ufficiale; dalla cornice mozzafiato di Piazza Grande – oltre 8000 posti e colossale schermo 32 metri x 20, con un programma and hoc, più attento al cinema popolare – alla ricerca pura e multidirezionale di Open Doors e Signs of Life. Vengono proposti poi i corti e lunghi d’esordio dei possibili Pardi di Domani, mentre una sala è dedicata alla retrospettiva ufficiale, quest’anno la completa in 35mm di Sam Peckimpah, integrata da omaggi d’ogni sorta alla storia del Cinema, miniretrospettive su Autori sommi premiati alla carriera. In ultimo, curiosa e interessante sezione, giunge sugli schermi del Canton Ticino almeno un film di (o con) ogni giurato.
Moon So-Ri, giurata del Concorso, è l’attrice coreana feticcio di Hong Sang-soo. Una carriera, la sua, lanciata nel 2002 dal premio Mastroianni a Venezia per (l’insopportabile, ma parrebbe trattarsi di un problema quasi esclusivo dello scrivente) Oasis si Lee Chang-dong, e proseguita poi con oltre venti ruoli fra cinema e televisione. Nel 2014 esordisce alla regia di un divertente e per nulla disprezzabile cortometraggio, Yeo-Bae-U (The Actress) della durata di 18 minuti, proiettato prima di Oasis. Moon So-Ri, nel corto, dirige e interpreta se stessa, regalando una delle più giocose letture mai concepite della crisi attoriale di mezza età e svelando un vero talento per la battuta tagliente e l’ironia amara. Non si pensi all’arroganza di Inarritu e all’immotivata aura mistica di Birdman: la tematica è più o meno la stessa, è vero, ma in questo corto si ride di gusto, e sin da subito scatta quell’empatia che mancava totalmente all’attore interpretato da Micheal Keaton nell’apertura veneziana dello scorso anno. L’attrice, molto più con gli scatti di cinica ira di Julienne Moore nel capitale Maps to the Stars di Cronenberg che con la relativa fragilità del Keaton secondo Inarritu, si vede sfiorire, ferma in attesa di ruoli che non arrivano: è invecchiata, vagamente depressa e un po’ nevrotica, in una breve vacanza con le amiche. Si sente brutta, e tutto trova fuorché il supporto morale del quale avrebbe bisogno.
I ruoli da ventenne ormai non possono più adattarsi al suo volto, i provini non arrivano, la carriera potrebbe essere al tramonto. Lasciati a casa per qualche giorno il marito, regista anch’egli senza progetti, e il figlioletto, So-Ri si reca con due amiche in montagna. Fato vuole che incontri il suo agente, in vacanza con due amici: il film da una parte ironizza magistralmente sull’invadenza dei fan, dall’altra dipinge in maniera scanzonata e perfettamente credibile la speranza di ottenere un nuovo ruolo e la frustrazione nel non vedersi mai recapitato uno script. Il dialogo a cena è una pagina di sceneggiatura degna dei Monty Python, fra il fan – che appunto la ricorda sempre e solo per Oasis, ruolo di dodici anni prima dove peraltro interpretava una giovane spastica – che risponde al telefono e le passa la moglie (con tanto di relativa e immotivata quanto spassosa scenata di gelosia), per poi elencare diverse attrici più belle di lei, fino a cercare su Google immagini le foto del marito di Moon So-Ri e riderne con l’innocenza di un bambino, definendolo bruttissimo. L’imbarazzo della protagonista, in questi istanti, crea una comicità irresistibile, un solletico quasi fisico allo spettatore.
Ma anche dopo cena, con l’umore sempre più a terra, So-Ri riceve ‘conforto’ dalle amiche, mentre l’ironia si fa sempre più nera. Mentre fissa roboticamente il vuoto, ammettendo di sentirsi brutta e di aver perso la propria femminilità, le viene ricordato con il tatto di un elefante da Swarowski che “anche Meryl Streep è brutta, ma è la migliore, ha fatto anche Il Diavolo veste Prada…”, fino all’isteria della protagonista, sfogata durante il ritorno a casa sul povero assistente e nelle lacrime. Sul cancello, ormai sotto casa, spunta però dalle mani dell’assistente una busta con dentro uno script. Gli occhi lucidi si asciugano di colpo, e il passo pesante diventa un trotterellare gioioso. Moon So-Ri si autoanalizza in una breve ma divertentissima commedia nera, esordio che fa senza dubbio sperare che questo passaggio alla sceneggiatura e alla macchina da presa sia definitivo, e comprenda a breve lungometraggi. Apparentemente senza particolari ambizioni, si rivela invece acuto e spassoso, fedele ai tempi comici del Maestro – perché lavorare così tante volte con Hong Sang-soo evidentemente aiuta – ma al contempo capace di trovare una propria personalissima originalità. E fa senza dubbio piacere che le giurie festivaliere siano composte in toto da persone, prima ancora che personalità, così smaccatamente intelligenti.
Marco Romagna