E pardon Spezed e oan bet
Ur plac’h yaouank am eus kavet
‘Barzh ar park vras hon eus kousket
Ur verol bras am eus paket
D’an ospital on bet kaset
War an daol vras on bet lakaet
Ha ma lost bras ‘zo bet troc’het
Dre ar prenestr eo bet kaset
Ur meil ki-bleiz ‘zo tremenet
Ha ma lost bras e-neus debret
Ha ma lost bras e-neus debret
Hag ar c’hi-bleiz a zo marvet
E pardon Spezed e oan bet
Ur plac’h yaouank am eus kavet
Au pardon de Spezet, j’avais été
Une jeune fille, j’avais trouvé
Dans un grand champ, nous avons couché
La grande vérole, j’ai attrapé
A l’hôpital, j’ai été envoyé
Sur une grande table, j’ai été placé
Et ma grosse queue a été coupée
Par la fenêtre, a été jetée
Un énorme chien-loup est passé
Et ma grosse queue, il a mangé
Et ma grosse queue, il a mangé
Et le chien-loup est mort
Au pardon de Spezet, j’avais été
Une jeune fille, j’avais trouvé”
Suite Sud-Armoricaine”, canto tradizionale bretone
A undici anni dall’esordio Illumination, con in mezzo non molte produzioni televisive, la regista francese Pascale Breton torna sul grande schermo con Suite Armoricaine, opera sentita e ambiziosa a cavallo fra la memoria, la Storia, l’Arte e il sentimento, presentata a Locarno in un Concorso Internazionale sempre in grado di riservare piacevoli sorprese. Negli ultimi vagiti della kermesse ospitata dalla Svizzera italiana, ormai agli sgoccioli prima di quello che sarà l’arrivederci al 2016, trova infatti la meritata passerella un film sulla riscoperta delle radici che sa essere sincero e mai retorico, empatico e profondamente rispettoso nei confronti della Storia di una popolazione, quella bretone, ormai talmente integrata nella Francia da avere perso persino la propria memoria, fatta di identità linguistica e bucolica vita rurale. Prendendo le mosse dal ritorno a Rennes di Françoise -parigina d’adozione ma mai a suo agio nella capitale- per insegnare storia dell’Arte nell’Università nella quale ha studiato, Suite Armoricaine si configura come una cronaca sentimentale e psicologica che mescola Paolo Uccello con gli assoli di chitarra, mostra il vagito di tenerezza che può avere anche una madre snaturata, sogna misteriose sfingi e sportelli bancomat in lingua bretone. Declinato in ellissi narrative à la Jackie Brown, il film non dimentica mai, nei ripetuti cambi di punto di vista, di provare un sincero ed atavico affetto nei confronti dei propri personaggi. Sotto questo aspetto, con la vergognosa e asettica spocchia del pessimo Chevalier della Tsangari ancora negli occhi, non possiamo che ringraziare, tirando un respiro di sollievo.
Non certo privo di elementi autobiografici (la regista è orgogliosamente bretone e ha studiato all’Università Rennes2, nella quale è stato girato il film), Suite Armoricaine si apre con il ritorno di Françoise nella terra dei suoi nonni e dei suoi genitori, quintali di libri nel bagaglio ed una memoria che, inesorabile, sarà progressivamente destinata a fare capolino in un romanzo di formazione che parte da un passato lontano. A Parigi Françoise lascia il marito ed uno sfogo cutaneo da stress, per concentrarsi su un anno accademico che si rivelerà per lei occasione di ritrovare la propria identità attraverso la scoperta di vecchie e nuove amicizie. Parallelamente, lo studente appena diciottenne Ion mostra tutti i suoi turbamenti dovuti all’inaspettato ritorno di Moon, madre snaturata e alcoolizzata un tempo molto amica di Françoise, rivelando un passato di servizi sociali e affidamenti tesi ad un futuro incerto. La storia d’amore del giovane con la studentessa cieca Lydie è cuore e passione, e grande è lo strazio quando vediamo lo sfortunato giovanotto costretto a dormire in archivio, o a penetrare di soppiatto in casa di Françoise per farsi un bagno, mentre una madre che vorrebbe morta (si dichiara orfano nei documenti universitari) gli occupa casa, circondata da uomini sporchi, ubriachi e vestiti di pelle. Anche il personaggio della madre, però, pur dipinto in tutti i suoi difetti, trasuda un’umanità atavica e triste, simbolo di un approccio filmico personale e sincero. Una vita difficile e di errori, quella di Moon, ma mai dettati da cinismo o malvagità. Piuttosto, all’origine della sua inaffidabilità e della sua esistenza da senzatetto, stanno situazioni e frequentazioni sbagliate, turbamenti che vengono da lontano, abitudini difficili da controllare e tanti rimorsi. Fino a quando la sapremo morta di freddo, e partirà l’ellissi narrativa nella quale Moon, appena morta, ruba il cappotto a Françoise. Una sequenza che, a guisa della bambina in Sàtàntangò di Bela Tarr, impreziosisce il film di una tenerezza amara e agghiacciante, capace di smuovere l’empatia anche dello spettatore più coriaceo.
Ma non è certo una semplice giostra dei sentimenti, quella che la Breton vuole mostrare. Se da una parte infatti Suite Armoricaine colpisce per l’intima sensibilità, dall’altra non dimentica la funzione politica e sognante del mezzo Cinema, inserendo dolcemente nella propria narrazione di punti di vista un chiaro intento filosofico che parte dalla necessità della memoria per poi confluire in quella che è un’appassionata dichiarazione d’amore alla regione -un tempo indipendente- del nord-ovest della Francia. Si citano Eraclito e Vasari, perché la ricerca di se stessi passa anche attraverso la filosofia e, ancor di più, dalle Arti. Françoise parla delle emozioni nei dipinti, dell’espressività di una postura, dell’incisività di uno sguardo. Della necessità di prospettiva. Il suo percorso a ritroso verso le radici passa dalla figura alla lacrima, fino a quel viaggio verso casa che da troppo tempo veniva rimandato. Il futuro si può cambiare attraverso il passato, ci viene suggerito, mentre un trasognante flashback mostra le erbe pestate con cura e pazienza dal nonno di Françoise. È vero, forse Suite Armoricaine non è propriamente originalissimo negli intenti concettuali e nei simbolismi, né particolarmente illuminante nelle citazioni. Ma incolla gli occhi allo schermo per due ore e mezza, rivelandosi un film coerente e vitale, sincero e di cuore, tenero e onesto. Il che non è affatto poco, e ci basta per tenercelo stretto.
Marco Romagna