«Ben Tatum: All right, I’ll go along, but where’s it gonna end, boy? We just goin’ to go on and on and on?
Jeff Webster: Well, maybe we’ll end up on that ranch in Utah. Right now, we got an awful lot of money to spend.
Ben Tatum: Whatcha gonna guy that’s better than what we got? We got friends in Dawson. You wanna buy new ones?»[Terra Lontana, 1954, di Anthony Mann]
Meno atteso del previsto, vessato da problematiche produttive (come il cambio di regista a metà lavorazione) esce finalmente dopo la (doppia, di cui una a sorpresa e nessuno ha ben capito perché) première a Cannes Solo: a Star Wars story, ed è un gran film. Si segue la storia del giovane Han Solo per circa quattro anni. Il prologo è durante la giovinezza in un pianeta “alla Dickens”, dove Han e altri ragazzi sono costretti a compiere furterelli in cambio della protezione del “Fagin” di turno. Han riesce a scappare da questo pianeta arruolandosi nella fanteria dell’Impero, e lo ritroviamo tre anni dopo in un pianeta di solo fango in tra trincee che ricordano All’ovest niente di nuovo. In guerra incontra quello che sarà il suo compare e si unisce a un gruppo di ladri che lavora per dei gangster dello spazio, eccetera, eccetera, eccetera… Ma già forse abbiamo rivelato troppi dettagli, perché la grandezza del film si trova – una volta tanto – nell’abbandonarsi alla sua stessa trama, piena di colpi di scena e di cambi di situazione che stupiscono e letteralmente rapiscono, per lo meno finché il film stesso è libero dai vincoli posti della saga. Solo infatti è il film meno legato alla saga e ai suoi personaggi, e questo è il suo punto di forza perché appunto può stupire in libertà nei colpi di scena e con i personaggi (non come accedeva in Rogue One, dove si sapeva già che fine avrebbero fatto tutti per mere questioni di continuità). Inoltre, il vero punto di forza di Solo è il distacco dalle pretese epiche della saga, con una progressiva concentrazione focale sempre più incentrata sulla narrazione avventurosa.
L’atmosfera, più che da classico film di Star Wars, è quella di un western, un film d’avventura e anche di pirati (dove l’ironia è molto limitata), con tanto di attacco al treno, attacco alla miniera, predoni (indiani), locali spaziali malfamati (saloon), mercenari (Lando, interpretato da Donald Glover, anche noto con l’eteronimo da musicista Childish Gambino), destrieri selvaggi (Millennium Falcon), e ovviamente non possono mancare i gangster. In quest’ottica la space opera, che comunque rimane un tratto caratteristico, si attacca al tradizionale racconto di frontiera americano dei film di Anthony Mann come Terra Lontana e Là dove scende il fiume, fino a sospirare al John Ford di Sentieri selvaggi. Questo approccio verte anche su personaggi che sono fuorilegge dal grande desiderio di libertà, falsi e doppiogiochisti come Lando o come Qui’ra, ma animati da un nobile desiderio di grandezza e di avventura – lo stesso Han è descritto come un ladro che sogna le stelle. Inoltre, nella galleria dei personaggi secondari, una menzione speciale va alla new entry robotica (ormai ce n’è una ad ogni capitolo), l’androide copilota di Lando che combatte per la parità dei diritti dei robot (che sia una ventata di sberleffo sociale?).
Fortuita alla fine si è rivelata la scelta di affidare la regia a Ron Howard (premio Oscar per A beautiful mind), un regista versatile, profondamente ancorato al folklore americano e dal robusto senso della narrazione, che in queste avventure western-spaziali dà probabilmente il meglio di sé rispetto ad altri titoli più infelici del passato, creando un racconto dal ritmo vertiginoso in cui non ci si ferma un attimo. Contributi fondamentali alla riuscita sono anche la fotografia di Bradford Young (Arrival) che regala momenti di grande magia visiva come il covo della cattiva all’inizio tutto in blu, la miniera, i vortici di meteoriti o il buco gravitazionale, e poi il montaggio del sempre bravo Pietro Scalia e la colonna sonora, questa volta ad opera di John Powell (Face/Off, la saga di Bourne), musiche che, come sempre nella saga, sono il collante drammaturgico all’interno del singolo film e tra il singolo film e la saga nell’insieme.
Tuttavia, se Solo funziona alla perfezione come film, funziona meno quando deve relazionarsi agli altri capitoli. I collegamenti sono abbastanza appiccicati (come il modo in cui Han ottiene il Millennium Falcon o l’apparizione di Darth Maul), e in alcuni casi rischiano anche di creare problemi di continuità, come il personaggio di Qui’ra troppo fondamentale alla narrazione di questo capitolo per non essere ricordata da Han nei film successivi. Se lo spettatore riesce a passare sopra a questi problemi d’incastro, però, quello che si apre di fronte ai suoi occhi è puro cinema. Più ancora dell'”ufficiale” Episodio 8, ingenerosamente criticato proprio per la sua capacità di rispettare il mondo di Lucas senza ripeterlo stancamente, Solo non è tanto un film per fan a causa della diversità di tono e della difficoltà nei collegamenti, ma è un film di genere assolutamente da godere, stratificato e libero, che vola alla velocità della luce su e giù per una galassia lontana lontana.
Riccardo Copreni