22 Novembre 2015 -

SHINJUKU SWAN (2015)
di Sion Sono

Sono ben pochi i registi che possono vantare la lucida follia anarcoide e l’agio nel saltare da un genere all’altro che da sempre contraddistinguono la produzione del nipponico Sion Sono. Soprattutto in questo 2015 apice di prolificità, con cinque film già scritti, diretti, montati e presentati (Love and Peace, The Whispering Star, TAG, l’attualmente introvabile The Virgin Psychics e, appunto, questo Shinjuku Swan), più un ulteriore sesto titolo attualmente in postproduzione (Madly). Dall’ipercinetismo d’accumulo del B-movie all’aulico rigore autoriale della distopia allegorica, il cinema di Sion Sono trova da sempre terra fertile in un immaginario apparentemente inesauribile, al contempo raffinato e popolare, culturalmente onnivoro, fagocitante e metacinematografico, in grado di mescolare la musica classica e il rap, Tarkovskij e il manga, un umanesimo ispido e ancestrale con il cinedelirio più esasperato ed esasperante. Non fa eccezione, in questo senso, nemmeno un titolo meno ispirato del solito come Shinjuku Swan, divertissement senza particolari acuti, forse in definitiva sterile, forse un po’ prolisso nei suoi 140′, ma nonostante tutto godibile, interessante nella commistione fra yakuza movie, fumetto, commedia e melodramma, girato con mano sapiente, forte di una narrazione che non rallenta mai, di una messa in scena meravigliosamente pop e di un cast giovane e sorprendente.

Prima di tutto, infatti, Shinjuku Swan è un manga, trasposizione cinematografica dell’omonima serie firmata da Ken Wakui. Il risultato è un viaggio lisergico e piacevolmente confuso in un mondo spartito fra gang giovanili, prostituzione e droga, ma giocoforza meno libero nella narrazione rispetto ad una sceneggiatura originale. Adattando sullo schermo le vicende narrate nei primi anni degli albi, Shinjuko Swan si snoda nel quartiere a luci rosse di Shinjuko, distretto centrale di Tokyo e, nel cinema, cittadella yakuza per antonomasia sin dai tempi del sublime Diary of a Shinjuko thief (1968) del maestro Nagisa Oshima. Il goffo Shiratori Tatsuhiko lavora come improbabile talent scout: il suo compito è quello di parlare con le più giovani e avvenenti passanti per convincerle a prostituirsi. Quello messo in scena è un mondo deviato nel quale conta solo il denaro, un mondo violento, fatto di scazzottate, speed, dita rotte, coltelli, lotte fra bande rivali e protettori yakuza. Ma, curiosamente, non sono i pur lauti guadagni ad interessare il protagonista, perdente dal cuore d’oro finito per puro caso in un mondo con il quale non ha nulla a che spartire: quello che per l’antieroe romantico e innamorato Tatsuhiko davvero conta -fino alle prefigurabili tragiche conseguenze- è l’intima convinzione di poter rendere felici tutte le donne fornendo loro una professione, antica quanto remunerata. Una rilettura del meretricio irriverente, per molti versi paradossale, ma perfettamente logica nel mirabolante universo di carta dei manga quanto coerente con la precedente filmografia del regista, in testa il capitale Guilty of Romance (2010) nel quale a interpretare la strabordante humanitas della prostituta protagonista era (non a caso) Megumi Kagurazaka, moglie e attrice feticcio del regista. Fra improvvise impennate di violenza, sporchi giochi economici, tradimenti della fiducia, un tragico suicidio ed una storia d’amore impossibile, la narrazione corre sempre sul filo, ibridando con regia salda e montaggio serrato il film di genere ed il melodramma, il romanzo di formazione e la commedia amara.

In questo senso, Shinjuku Swan si inserisce a pieno diritto nel filone orientale dei cinecomics, ed è impossibile non pensare a Gozu (2003) o The Mole Song (2013) -giusto per dirne due, ma sono in realtà molti i film paragonabili- di Takashi Miike, probabilmente l’unico regista in grado di competere con Sono in anarchia, trasformismo e irriverenza. Ed ecco, forse è proprio questo il punto debole di Shinjuku Swan: la troppa aderenza a modelli cinematografici ormai esplorati in lungo e in largo, la tendenza a configurarsi -in questo sottogenere- come una sorta di Miike minore, la sostanziale mancanza di qualcosa che vada oltre al sempice ludus, la sporadicità di quelle trovate originalissime e geniali che, in un film di Sion Sono, si aspettano invece sempre in gran copia. Un Sono meno ispirato e convincente di altre volte, insomma, ma se indubbiamente si tratta di un film minore, sarebbe ingeneroso definirlo un film sbagliato. Sion Sono è un autore sommo, che con Shinjuku Swan firma un divertito ma raffinato giocattolo in una filmografia sempre più vasta e multiforme. Un “filmetto”, e lo sa anche lui. Ma magari tutti i “filmetti” fossero così!

Marco Romagna

“Shinjuku Swan” (2015)
139 min | Comedy | Japan
Regista Shion Sono
Sceneggiatori Ken Wakui (manga), Mataichirô Yamamoto (screenplay), Osamu Suzuki (screenplay)
Attori principali Takayuki Yamada, Yûsuke Iseya, Erika Sawajiri, Mao Asô
IMDb Rating 6.3

Articoli correlati

SAYONARA (2015), di Koji Fukada di Marco Romagna
ANTIPORNO (2016), di Sion Sono di Marco Romagna
TAG (2015), di Sion Sono di Marco Romagna
LOVE & PEACE (2015), di Sion Sono di Nicola Settis
CREEPY (2016), di Kiyoshi Kurosawa di Erik Negro
WHY DON'T YOU PLAY IN HELL? (2013), di Sion Sono di Marco Romagna