24 Dicembre 2016 -

SHIN GODZILLA (2016)
di Hideaki Anno e Shinji Higuchi

Godzilla è uno dei simboli più iconici del cinema giapponese. Protagonista, a livello di franchise “ufficiale”, di 31 film, dei quali 29 della Toho e 2 americani (uno del 1998 di Roland Emmerich e uno del 2014 di Gareth Edwards), è un vero e proprio simbolo a livelli ormai talmente pop da aver perso un significato, un proprio significato, un proprio ruolo – e di questo abbiamo avuto prova soprattutto grazie al poco perdonabile succitato film del ’98. Godzilla non è semplicemente una minaccia catastrofica per l’umanità ma è anche e soprattutto un simbolo di una lotta uomo-natura, che, attraverso il cinema, è diventata davvero un’immagine mitologica e splendida, dal primo ‘gojira’ in stop-motion a quest’ultimo mostro catastrofico in CG. Simbolo del kaiju-film e della fantascienza giapponese, Godzilla è dunque un mostro, sì, a livello fisico, ma è anche, a livello filologico e semantico, una figura ambiguissima: minaccia per l’umanità o anche eroe che salva gli uomini dal disastro (e queste due facce sono state dimostrate dai due film americani, antitetici per temi e qualità), ma anche semplice nemico o figura divina. Infatti, nonostante il nome giapponese ‘gojira’ sia semplicemente una crasi tra i termini ‘gorira’ (ovvero: gorilla) e ‘kujira’ (ovvero: balena), la traduzione anglofona, ormai diventata nome riconosciuto internazionalmente, ha incluso nella lettura del termine una ‘d’ che in giapponese è pronunciata ma non messa per iscritto, creando una dimensione divina, spaventosa, caotica ad una figura maestosissima, rendendo questo mito sempre più potente e terrificante. Se, nel recente Godzilla di Edwards, il più celebre tra i kaiju ha ripreso lo status di “eroe che combatte per il bene della natura”, perso attraverso gli anni anche a causa della demistificazione di Emmerich, con Shin Godzilla (o: Godzilla Resurgence) di Hideaki Anno e Shinji Higuchi il mostro ha riottenuto la propria stima di creatura da incubo, disumanizzante e genuinamente terrificante.

Innanzitutto è necessario ricordare i registi con cui abbiamo a che fare. Shinji Higuchi è classificato come co-regista, e non possiamo che esserne grati: è stato infatti di recente autore di ben due film live-action tratti dal franchise de L’attacco dei titani, un prodotto d’intrattenimento diventato ormai per molti simbolo della rovina della cultura dei manga: con una trama affascinante e una serie animata intensa e ben riuscita, la commercializzazione dei personaggi e dei simboli della serie hanno presto tramutato tutta una riflessione nichilista in un giochino di marketing sconclusionato che ha finito per portare anche alla rovina della serie e del fumetto. I film di Higuchi non sono altro che l’ennesima drammatica banalizzazione di un concetto rovinato dall’industria giapponese – ma è una situazione purtroppo già vista e rivista, basti vedere Berserk o Fullmetal Alchemist. O anche, sotto certi punti di vista, Neon Genesis Evangelion, la serie che ha occupato buona parte della carriera del suo creatore, Hideaki Anno, il regista principale del film che probabilmente ha sfruttato Higuchi principalmente per capire meglio come usare la macchina da presa in un blockbuster live-action (gli unici film “in carne e ossa” fatti da Anno in passato sono due gioiellini arthouse, Love & Pop del 1998 e Ceremonial Day del 2000). Anno è infatti probabilmente tra i più importanti registi anime in attività (insieme a pochi altri: Shin’ichiro Watanabe, Hiroyuki Imaishi e Sayo Yamamoto, e forse basta), e dunque automaticamente tra i più importanti registi giapponesi in assoluto: definito da Hayao Miyazaki “il mio successore ideale” e “l’unico che potrebbe fare un sequel decente di Nausicaä della valle del vento”, diventando dunque suo figlio cinematografico ben più del figlio effettivo Goro, Anno, con la succitata serie Evangelion, ha creato un piccolo capolavoro di culto che ha scaturito una tragedia di marketing simile a quella de L’attacco dei titani, ma quasi 20 anni prima. Quello che era un prodotto “diverso” nel genere mecha, una specie di riflessione filosofico-religiosa sull’adolescenza in cui il mecha diventava riflesso degli incubi da superare per raggiungere una sorta di catarsi-purificazione spirituale, è diventato presto semplicemente simbolo della cultura nerd otaku, sempre pronta a fraintendere ogni singolo buon prodotto che gli si pari davanti. Motivo per cui Anno ha concluso la serie con un magnifico film crudelissimo nei confronti degli appassionati della serie (The End of Evangelion, 1997), per poi dedicarsi, attraverso gli anni 2000, ad una sorta di remake della serie chiamato “rebuild” e strutturato in quattro lungometraggi dei quali l’ultimo è ancora in produzione, dopo vari ritardi a causa, appunto, di Shin Godzilla. Insomma, Anno è uno che conosce i mostri del cinema giapponese perché li ha affrontati a livello cinematografico combattendo con se stesso e con la produzione molteplici volte, e il suo affrontare un franchise ancora più grande di quello di Evangelion è una sfida che sul grande schermo molti attendevano di poter vedere. E il regista è riuscito a non deludere.

Shin Godzilla infatti è una perfetta traslazione dello stile di Evangelion in live action: un perfetto incrociarsi di inquadrature lunghe e lunghissime e brevi e brevissime, un montaggio serrato e tesissimo e una dovizia particolare per i particolari e per le soggettive. Anno si immedesima sostanzialmente nel punto di vista frenetico della burocrazia che cerca di fare il meglio per il Giappone, e così facendo buona parte del film è composta da giapponesi eleganti che si urlano a vicenda, o cercando soluzioni all’ingombrante problema del mostro che attacca la città o teorizzando su che cos’è questo Godzilla, da dove proviene. È uno stile familiare per gli spettatori più appassionati del regista ma presumibilmente funzionale anche in generale per dare una sorta di ritratto pseudo-oggettivo di una finta realtà militar-burocratica, un ritratto che comunque rimane freddo, gelido e tragico non solo come descrizione di una società ma anche come descrizione di un’umanità politica disumanizzata, chirurgicamente legata al cercare una soluzione senza preoccuparsi più di tanto dell’aspetto filosofico della presenza del mostro, cosa che succede anche in Evangelion, la cui colonna sonora è usata (con qualche modifica nel mixing) in alcune scene di Shin Godzilla, insieme alle sempre epocali ed emozionanti musiche originali dei primi film della serie. È un film profondamente politico, che commenta molteplici aspetti della società nipponica, compreso il rapporto con il potere statunitense e automaticamente la cultura occidentale. Ma la cosa più importante probabilmente rimane l’utilizzo sociopolitico e profondo dell’immagine del mostro: Godzilla qui altro non è che la rappresentazione cinematografica e fantascientifica di Fukushima, il disastro naturale ormai diventato topos ossessivo e necessario della cultura giapponese, un evento troppo grande e catastrofico per non risucchiare con sé tutta la produzione artistica di un paese: pensiamo tutta la produzione recente di Sion Sono, ma anche a Sayonara di Fukada, Sharing di Shinozaki e, ormai, pure una considerevole fetta di cinema e televisione mainstream, che include il profetico Third Impact di Evangelion e ormai pure Godzilla. Insomma, probabilmente il più grande pregio di questo film consiste nel fatto che la sceneggiatura di Anno ha fatto coincidere il più fragoroso simbolo estetico della cultura cinematografica giapponese con il collasso della realtà del paese, con il vero, rumoroso e tragico disastro della Storia recente del paese.

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(la prima manifestazione di Godzilla)

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(la seconda manifestazione di Godzilla)

Questa osmosi tra reale e irreale, tra tragedia e icona, si manifesta in scena come una specie di riscrittura del cinema giapponese e della leggenda, rappresentata sia attraverso gli umani (tra i passanti vittime di Godzilla, si vedono pure un giovane che regge sulle spalle una donna anziana, riecheggiando, forse involontariamente, l’immagine medievale leggendaria de La leggenda di Narayama) sia attraverso il mostro stesso, che prima ha un’apparenza terrificante ma quasi parodistica, sembra quasi un dragone cinese o comunque una creatura di cartapesta, che striscia, minacciosa per i suoi occhi plastici e non per la sua presenza effettiva. Ma dopo il mostro diventa effettivamente il gigantesco e rosso Godzilla, che si regge su due zampe, ed è come se in ciò si dimostrasse anche un distacco tra il Godzilla stop-motion anni ’50 e quello digitalizzato dei film americani (nonostante il secondo sia ironicamente più fedele al design originale del ‘gojira’ anni ’50): il primo ridicolo e agghiacciante e il secondo maestoso e tragico, quando giunge da lontano all’orizzonte, minaccioso come l’Eva-01 di Evangelion. Chissà cosa può fare ancora questo franchise in continua crescita, in continua drammatica digitalizzazione e maturazione, tra il ricordo del nucleare che distrugge (inclusa Hiroshima, fantasma che non scompare mai) e la prospettiva verso un futuro cinematografico e storiografico imprevedibile. Una cosa, tuttavia, è sicura: il film di Anno è tra i più profondi e intelligenti di una saga lunghissima e da non sottovalutare.

Nicola Settis

“Shin Godzilla” (2016)
120 min | Action, Adventure, Drama | Japan
Regista Hideaki Anno, Shinji Higuchi
Sceneggiatori Hideaki Anno
Attori principali Hiroki Hasegawa, Yutaka Takenouchi, Satomi Ishihara, Ren Ohsugi
IMDb Rating 7.6

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