SCOOP! (2016), di Hitoshi Ohne
Fra i tanti, lo spunto più interessante di Scoop!, ultima fatica del regista nipponico Hitoshi Ohne che giunge al diciannovesimo Far East Film Festival di Udine, è probabilmente quell’idea di fondo di come sia la marcescenza della società, negli aspetti più viziosi e nella curiosità malata della Tokyo di oggi, a provocare l’impazzimento e a far precipitare le situazioni. Non è certo un caso che, fra gli scatti più scottanti del fotografo di gossip Shizuka, il primo ministro giapponese Shinzo (Ot)Abe, in un brillante affondo all’attuale governo destrorso, venga letteralmente mandato a puttane, come non è certo un caso che il suo codazzo all’inseguimento dei fotografi venga fermato, in una delle sequenze più esplosive del film, nelle luci e nei colori dei fuochi d’artificio, pronti a deflagrare con lo stesso fragore degli scandali in copertina. La rivista Scoop!, un tempo, era un pilastro del giornalismo nipponico, ma ora si è trasformata, con la crisi, in foto di nudo e pettegolezzi, in vip “beccati” in effusioni e nella loro nudità rubata. E quello che era uno dei suoi fotografi di punta, con il procedere della mezza età, si è ritrovato, per scelta ma non troppo, a preferire una vita dissoluta e un’occupazione eticamente riprovevole, fatta di attese e di sistematica violazione della privacy altrui.
Ma se il lavoro del paparazzo è socialmente considerato uno dei più viscidi, è proprio quella stessa società a volere le sue foto, a nutrirsi dei suoi scoop, a chiedere quotidianamente un nuovo scandalo, mentre le vendite si impennano fra il bacio proibito e la sbronza colossale del malcapitato personaggio noto di turno. Quella stessa società ipocrita che cerca l’ipocrisia altrui, quella stessa società che ora vorrebbe vedere in faccia l’assassino seriale che viene riportato sul luogo del delitto, quella stessa società che permette a una madre di negare al padre di vedere la figlia fino a farlo impazzire, quella stessa società in cui l’etica giornalistica e umana sono subordinate agli interessi economici, quella stessa società in cui il confine fra eroe e criminale si fa drammaticamente esile e sottile, quella stessa società che si sente superiore e degna di giudicare. Hitoshi Ohne mette in scena un mondo sordido, voyeuristico, pericoloso, cannibalizzante come e più di chi questo mondo lo sviscera, lo disvela, lo insegue e lo fotografa. È lo stesso obiettivo di James Stewart puntato verso La finestra sul cortile, è la stessa immagine potente e rivelatrice di Blow Up e del ‘gemello eterozigoto’ depalmiano Blow Out, è lo stesso occhio alla ricerca del proibito delLo sciacallo Jake Gyllenhaal in Nightcrawler: è un giornalismo di serie Z in cui conta solo alimentare le vendite, in cui la redazione si muove perfettamente a proprio agio in una Tokyo cannibalizzante, sordida, lubrica.
Dichiaratamente ispirato al dimenticato Tosha 1/250 byo Out of Focus (1985) di Motoyoshi Hasegawa, Scoop! sin dal primo, vortiginoso, pianosequenza fatto di prostitute e di mirini mette in scena nel personaggio di Shizuka un uomo squallido, dissoluto, volgare, lussurioso, viscido e respingente quanto brillante nel suo lavoro. Un uomo che però, nel procedere degli eventi, sarà destinato a tornare progressivamente alla sua umanità, nel suo desiderio nei confronti della giovane e innocente giornalista Nobi che lentamente si fa sentimento e primo vero amore, nella passione giovanile per Robert Capa che lo ha portato alla fotografia e che alla fine ritorna nella vecchia macchina in pellicola, nell’amicizia che lo lega al disturbato Chara in un rapporto che, dalle scorribande insieme, finirà per virare negli eroismi reciproci, e poi in una tragedia forse inevitabile. Alla comicità irresistibile di una salvezza, non può che corrispondere il dramma quasi asfissiante di un sacrificio, di un tragico ultimo colpo nel caricatore male indirizzato, di una fotografia forse impossibile da pubblicare: l’immagine che ferma il tempo e che trasforma, nel suo ultimo centoventesimo di secondo, il mostro in eroe.
Scoop! è un film che gioca con il genere, perfetto prodotto popolare nei suoi piani e inseguimenti ricchi di suspense e nella sua irresistibile comicità fatta di sfrontatezza e sessualità, e al contempo deciso percorso autoriale nella sua tragedia poetica finale, nei suoi attacchi alla società e alla classe politica, nella sua capacità di dipingere tutta l’ipocrisia di un mondo – quello del giornalismo scandalistico – alimentato dal mondo esterno forse ancora più ipocrita che corre in edicola per, nei tradimenti e nelle malefatte altrui, sentirsi meno in colpa per le proprie. Ogni fotografia è un appostamento, è una fuga con il prezioso bottino di pixel, è un’avventura sempre nuova, nella quale anche l’ingenua e tenera Nobi finirà per diventare una iena senza mai perdere la propria femminilità, così come al tempo mai l’aveva persa Sadako, ora caporedattrice, ex-moglie e ancora amante occasionale di Shizuka. Vale tutto pur di scattare, dalle raffiche delle reflex alla discrezione dei cellulari, dal 500 per gli appostamenti alla stregua di un cecchino al farsi arrestare come diversivo perché il socio/complice possa nel frattempo catturare il giusto istante. Soprattutto quando si decide di rialzare il tiro, di tornare al giornalismo di cronaca come tappa fondamentale del proprio percorso catartico verso l’umano, quello stesso umano che nell’ultimo atto porterà il protagonista a scattare a un Chara definitivamente impazzito solo foto non utilizzabili, sfocate, che non potessero sbattere il mostro in prima pagina. Quasi nessuno si salva: né lo show business, né la politica, né gli assassini, né i fotografi. Eppure, quando per la prima volta dopo oltre vent’anni di sesso, Shizuka si trova quasi inaspettatamente a fare l’amore, i suoi veli di macho a tutti i costi calano, e ritorna il passato, quello che necessita della camera oscura, con quello scatto a Nobi che dorme, l’ultima e forse l’unica donna amata, di certo l’unica penna possibile per l’ultimo saluto. Perché, no, anche senza Shizuka, redento sul filo del rasoio, questo mondo cannibalizzante di appostamenti e di fotografie non si fermerà di certo: è la società che lo richiede, è il mercato, è la curiosità, è il desiderio sordido. È lo Scoop!, a tutti i costi.
Marco Romagna