«Scherza con i fanti e lascia stare i Santi», dice il proverbio. Il documentarista Pannone e il cantautore e intenditore di musica popolare Sparagna sono difatti alla seconda collaborazione dopo Lascia stare i Santi, che ci aveva molto colpito al Bellaria Film Festival nel 2017. Era un film imponente per come mischiava uno sguardo tendenzialmente laico a una resa empatica, tramite il montaggio e le musiche, del mondo del Sacro, senza fornire tanto un’interpretazione intellettuale distaccata quanto una mera ricostruzione sintattica del concetto di rito. Il Sacro è un tema che il cinema deve sforzarsi a contemplare, perché come si può superare le barriere della rappresentazione se non è presente nell’artista l’ambizione di creare e ri-cognitivizzare in immagini sensibili ciò che è inspiegabile nell’animo? In ciò il montaggio e l’utilizzo di citazioni letterarie esterne alla ricerca d’archivio sono la salvezza di Pannone e Sparagna, poiché danno una visione intima che mischia soggettività e oggettività – è chiaro che i brani sacri e le parole di un Pasolini o un Gramsci creano un’immedesimazione esterna mentre le canzoni di Sparagna e le scelte di consequenzialità di Pannone danno all’opera una personalità. Film del genere sono utili nel nostro mondo per riportare su un piano reale e umano la metafisica che a molti sembra troppo distante, ma soprattutto perché sono una semplice sequela di realtà, a cui ogni spettatore può conferire il proprio sguardo. Certo, il montaggio implica che le riprese d’archivio vengano “riutilizzate” a fini artistici e ciò è perché l’artista/regista/autore ha intrapreso la missione di usufruire e montare queste riprese per dare a esse un messaggio, ma la missione di Pannone sembra quasi più quella di diffondere queste immagini nel momento corretto nella Storia più che quello di veicolare una propria tesi di cui non si sentirebbe la necessità. Ovviamente quest’operazione è applicata in maniera complementare e opposta in Scherza con i fanti, presentato nel concorso Giornate degli Autori a Venezia 76; il film sul Sacro è stato fatto prima probabilmente per conferire a esso un’importanza maggiore, anche perché il Sacro, appunto, necessita rappresentazione. La guerra, invece, è nucleo di una porzione ingombrante del cinema mondiale, che, essendo ormai un’arte che si comporta tendenzialmente come testimonianza culturale dei suoi tempi, usa la Storia per costituire un tassello di promemoria dell’importanza della memoria in forma audiovisiva… il che porta a lungaggini, fraintendimenti, ripetitività.
Ovviamente il mondo del documentario è diverso, e quello del documentario d’archivio ancora di più. Non si tratta dunque di creare un’opera più necessaria quanto di crearne una più educativa, una che può svelare qualcosa di nuovo. Scherza con i fanti è un film meno oggettivo di Lascia stare i Santi, meno astratto nella ricerca di qualcosa di impossibile da razionalizzare, più concentrato su un fuoco ben preciso, profondamente materiale e concreto: l’essere soldato, in Italia. La prospettiva cambia in continuazione, nella Storia e negli ambiti politici, si va dal Risorgimento al Kosovo passando per entrambi i conflitti mondiali, come passando, per dire, dai partigiani ai fascisti. L’essere soldato è preso come una condizione di tipo esistenziale – che per chi non lo è mai stato implica una totale impossibilità di immedesimazione. La guerra è il più grande «costrutto distruttivo», l’implosione drammatica delle conseguenze sciocche e violente che abbiamo compiuto in millenni di Storia. Chiunque vi partecipi è umano nel fango degli esiti delle azioni umane, complice, vittima e carnefice nello stesso momento. Nel caso baleni nel pensiero dello spettatore il pensiero che mischiare tutto costituisca una decisione imprecisa o irrispettosa nella matassa del tutto, è forse giusto sottolineare un esempio del cinema di finzione che dà allegoricamente una “giustificazione”, come se ce ne fosse bisogno: La notte di San Lorenzo dei fratelli Taviani, nella quale, a pochi cm l’uno dall’altro un soldato della Resistenza e uno nazista rimangono feriti, ed entrambi vengono assistiti da uno della propria truppa – e in un breve, bellissimo momento, si dimenticano della battaglia in corso ed esiste solo la solidarietà, l’aiutarsi, i due soldati si passano i medicinali. Poi si riconoscono, e si sparano a morte. Non è che non ci sia distinzione, è che il documento esiste per entrambe le parti e dunque entrambe le parti devono essere raccontate, senza questa ricerca di vox media Scherza con i fanti sarebbe sì impreciso, oltre che di parte e forse persino irritante, superficiale, campanilista. La scelta della musica già in realtà delinea una presa di posizione, da De Gregori a Giovanni Lindo Ferretti (sic), e le parole pronunciate fanno il loro dovere, completando le inquadrature scelte, che hanno dell’impressionante. Effettivamente, sembra che si stia scherzando con questi fanti, ma si sta anche penetrando nel loro orrore.
Ci sono anche dei militari narratori, che vengono inquadrati con riprese (digitali) di Pannone, e le loro storie fanno da contrappunto e punteggiatura all’apertura del racconto esistenziale della condizione del soldato. E c’è anche, verso la fine, lo scrittore Ferruccio Palazzoli «che di Piazzale Loreto a Milano sembra essere il custode, oltre che il quasi segreto cantore», come straordinariamente definito da Tonino De Pace su Sentieri Selvaggi, che racconta la sua visione da studioso della Storia attraverso i suoi spazi, discorrendo sulla morte di Mussolini e sul trattamento del suo cadavere, sfocato, in sottofondo, su un computer. La Storia sembra svanire, e con essa il giudizio, al punto che la disumanità è diffusa su più piani senza più un senso o una direzione. Meglio lasciar stare i Santi, ovvero considerarne l’esistenza, l’essenza, senza dover entrare nel merito o scomodare la loro posizione immateriale e profondissima; e meglio dunque scherzare con i fanti, cercare di eludere la violenza. Che porta a grande fratellanza e a grandi conquiste umane, ma che è in buona sostanza la più terrificante e nociva delle distrazioni che abbiamo creato nella nostra futile e costante ricerca di una perfezione collettiva. C’è chi porterebbe ciò su un piano più grande, raccontando il potere e come esso può far ubriacare il popolo, contagiato dalla sociopatia più evidente e pericolosa, ma Pannone non ambisce a tanto: fa un film diretto, che si spiega da solo, che “se la canta e se la suona” letteralmente, tra siparietti di Pulcinella e viaggi tra parole impensabili e immagini bellissime, necessarie. Lascia stare i santi era un film più suggestivo e necessario, ma Scherza con i fanti lo completa creando un valore generale per l’operazione a tutto tondo: sono le due facce della medaglia dell’uomo, di spirito e d’azione, cristallizzati per sempre per una visione popolare.
Nicola Settis