SANTA SANGRE (1989), di Alejandro Jodorowsky
Il Pardo d’Onore di questo festival di Locarno è stato dedicato a una delle figure di culto più amate del panorama cinematografico mondiale: Alejandro Jodorowsky, un uomo la cui carriera, passata attraverso surrealismo, cinema, teatro, poesia, fumetto e psicomagia, è stata sempre intrecciata alla sua stessa vita, come testimoniano in particolare le sue ultime due opere La danza della realtà (2013) e Poesia sin fin (2016), entrambe presenti al festival. Questa dimensione personale e autobiografica emerge però anche da un’altra pellicola riproiettata per l’occasione in una fantastica copia in 35mm, ovvero Santa Sangre, che sembra anticipare per molto versi il più recente dittico.
Anzitutto, il film stesso ha una struttura bipartita, e le sue due sezioni rappresentano l’infanzia e i primi atti dell’età adulta di Fenix, un giovane prestigiatore cresciuto nel circo dei suoi genitori. La prima sezione è dedicata al rapporto del protagonista con due figure antitetiche: da un lato Orgo, un padre autoritario, crudele, quasi animalesco, e dall’altro Concha, una madre amorevole ma al contempo a capo di un culto devoto a una ragazza che venne privata delle braccia, stuprata e uccisa da due fratelli. A lei si oppone un’altra figura femminile, la donna tatuata, che seduce Orgo con la sua prorompente sensualità in un numero di lancio di coltelli fallici, mentre la sua figlia sordomuta Alma e Fenix si rifugiano dalle proprie famiglie in un amore tenero e innocente. Quando però Concha, in un raptus di gelosia, sfigura i genitali del marito, che per vendicarsi le amputa le braccia e poi si uccide, l’infanzia del protagonista volge violentemente al termine, al suono dell’ultimo barrito di un elefante moribondo. Dopo la fuga della donna tatuata e di sua figlia, egli si ritrova solo al mondo e trascorre vari anni in un manicomio, da cui uscirà ormai adulto.
La seconda sezione del film si presenta come una sorta di eco in chiave horror e surrealista di Psycho (1960) di Hitchcock: la madre di Fenix (o meglio, il ricordo che ha Fenix di sua madre) prende il controllo delle braccia del ragazzo e lo costringe a uccidere a coltellate ogni donna da cui si sente attratto. Allo stesso tempo il protagonista si ritrova anche a rimettere in scena lo stesso numero di lancio di coltelli del padre, realizzando così le parole che questi gli disse quando gli incise sul petto il suo stesso tatuaggio: «ora sei come me». Il dramma del protagonista è costituito dal suo essere intrappolato dai fantasmi del passato, costretto a reiterare il male perpetrato dal padre, incapace di vivere la propria vita, e a guidarlo verso la salvezza potrà essere solo l’amore di Alma.
Tante sono le figure di Santa Sangre che si rispecchiano nella recente opera autobiografica del regista: oltre ai nani e ai pagliacci del circo, salta subito agli occhi come Orgo sia un’incarnazione più grottesca di quasi tutti gli aspetti del padre di Alejandro, Jaime, dall’infedeltà coniugale alla totale mancanza di amore nei confronti del figlio. Sono invece in totale contrapposizione le due figure materne: la madre amorevole del recente dittico si oppone a una donna dedita a una religione malata e morbosa che venera unicamente il sangue, la sofferenza, in una sorta di allegoria delle derive più morbose di quel Cristianesimo che ha dimenticato l’importanza dell’azione.
Dagli anni ’80 ad oggi, il cinema di Jodorowsky ha cambiato in parte il suo stile nel passaggio dalla pellicola al digitale, ma le sue finalità rimangono costanti: Santa Sangre è un film puramente rituale, catartico, in cui i ricordi d’infanzia, sia quelli affettuosi che quelli traumatici, si condensano in potenti e vividi simboli, per poi infine congedarsi e svanire, cosicché il protagonista, ovvero l’autore (e forse soprattutto il pubblico, come ci dice l’alchimista de La montagna sacra), possa rinascere proprio come una fenice, riacquistando la propria libertà, le proprie mani, per poi tenderle verso il cielo. Il finale di questo film va quindi a coincidere con quelli di La danza della realtà e Poesia sin fin, in cui Alejandro ha bisogno di lasciarsi alle spalle parate di ricordi e affetti, svanendo nel lucente bianco delle pagine ancora da scrivere della sua vita, mentre riecheggia ancora un’agrodolce melodia di commiato: «adios, para siempre adios».
Tommaso Martelli