SAINT BATHANS REPETITIONS (2017), di Alexandre Larose
Alexandre Larose è, almeno per chi scrive, uno dei pochi giovani autori che davvero cercano un approccio personale e rigoroso su ciò che una volta si definiva avanguardia – e che oggi dovrebbe essere, sempre più ampiamente, ridiscusso. Un percorso pienamente dedicato alle attrazioni, il suo, una mappatura descrittiva e materica che sperimenta liberamente sovrapposizioni e decostruzioni, lavorando sulla memoria come medium fondamentale tra realtà e sogno, ponte inevitabile fra tempo e spazio. È un lavoro sulla latenza del fotogramma onirico e psichedelico, in cui poter lavorare con la fisicità della luce che, come in questo splendido Saint Bathans Repetitions, irrompe nel quadro definendo figure sconosciute e replicandole possibilmente all’infinito. Ora l’autore e artista canadese – già autore, tra gli altri, del magnifico ritratto personale e iper-stratificato brouillard-passage #14 – ridona vita e presenza a una finestra, e a tutto ciò che essa contiene.
Una vecchia casetta mineraria neozelandese, incapsulata macchina del tempo, illuminata di taglio da queste vetrate che definiscono un dentro e un fuori, il campo e il fuoricampo di questa (mancanza) d’azione. Una meditazione che si interroga sul passato come sul futuro, nell’esatto stesso momento. Solo la luce trafigge i dualismi, l’interno e l’esterno, l’andata e il ritorno, l’immobilità e il movimento. Schizzi e bozze di uno studio più ampio, quasi cronofotografico e disturbante, in cui tutto appare fermo ma in un continuo moto proprio, dissonante e quasi impercettibile. Il flusso costituisce la ripetizione e, viceversa, ne restituisce la timida impressione straniante e terribilmente fragile. La visione è sempre più un procedimento metaforico e destrutturato rispetto alla rivelazione dell’occhio che guarda. Quando tutto pare muoversi, siamo noi stessi a non avere più alcun punto d’appoggio, o forse di fuga. La riproducibilità come una macchina della finzione e dell’immaginazione, una macchina dell’invisibile che può corrompersi della durata e di una possibile percezione dell’essere.
In questi venti minuti, presentati a Rotterdam in attesa di viaggiare sia come cortometraggio sia come installazione, Larose torna alla meditazione chiave del suo lavoro, la persistenza, tornando a coordinate legate al pre-cinema e alla riflessione ontologica del fissare su supporto analogico presenze del reale attraverso l’impressione della luce. «The film strip is a body acquiring memory», e questa sua definizione della pellicola potrebbe forse bastare per definire tutto il suo lavoro. La pellicola acquisisce memoria attraverso la luce, o forse la memoria stessa della luce attraverso gli oggetti che la riflettono e/o l’assorbono. Ma non si tratta di una questione tecnica legata alla fotografia, e nemmeno di una speculazione filosofico-visiva fine a se stessa. Larose guarda, e ci invita a guardare, l’erosione del tempo e la provvisorietà transitoria di tutte le cose. Lo fa imprimendo il fotogramma all’inverosimile, lasciando di esso quasi una traccia sensibile e già dissolta, pronta inesorabilmente a svanire sotto il nostro occhio. Un vedere che deve essere così tenue da non apparire come violazione, quasi come percepire un’anima nel momento in cui essa ci abbandona. In questo, Saint Bathans Repetitions risulta un’opera sconvolgente, un decalogo accennato in 35mm di immagini impossibili che hanno la loro radice nella realtà. Una nuova origine della visione, straordinariamente legata alle origini di essa, e che non può prescindere da un nuovo sguardo.
Erik Negro