ROSEN BLÜHEN AUF DEM HEIDEGRAB (1952), di Hans H. König
La retrospettiva locarnese sul cinema della Repubblica (non solo) Federale Tedesca degli anni Cinquanta, non poteva che includere nel suo percorso una tappa presso uno dei generi più popolari dagli anni ’40 agli anni ’70, ovvero l’Heimatfilm. Questo Rosen blühen auf dem Heidegrab (lett. “Rose fioriscono sulla tomba nella brughiera”, 1952), di Hans H. König, ricalca perfettamente gli stilemi del genere, quali l’ambientazione rurale, la struttura narrativa impostata su una ragazza contesa fra due uomini, e l’interesse verso tematiche legate ai problemi sociali e politici della Germania del dopoguerra. Tuttavia questa aderenza non indica in alcun modo una mancanza di originalità da parte dell’autore, anzi, è proprio nell’ambito della variazione sul tema che il film si dimostra un’opera straordinaria.
Sullo sfondo di una brughiera desolata si muovono tre personaggi principali: i due giovani innamorati, Ludwig e Dorothee, e Dietrich, un uomo violento e ossessivo che perseguita la ragazza nonostante i suoi continui rifiuti. Già dalle prime battute è chiara l’impostazione visiva della pellicola: dominano esterni che danno su distese di arbusti, da cui si ergono alberi spogli e tetri che si stagliano a loro volta su un cielo nuvoloso e spettrale. Dopo che Dietrich riesce a violentare Dorothee, la tonalità del film inizia a virare verso tinte decisamente horror: la sventura della protagonista richiama infatti quella di Wilhelmina, una ragazza stuprata da un ufficiale svedese durante la guerra dei trent’anni, e la cui tomba è quella che dà il titolo al film. La sua voce inizia a chiamare Dorothee per cercare di condurla verso il suo stesso destino, ovvero morire affondando in una palude, portando con sé il proprio violentatore.
L’ambientazione del film costituisce un vero e proprio riflesso della Germania dell’Ovest di quegli anni: una terra distrutta, ancora attanagliata dai fantasmi di una guerra terrificante, in cui domina il terrore che la Storia possa ripetersi ancora, che essa non sia altro che un eterno ritorno alla violenza.
König però, con un finale di un’umanità che riporta alla mente l’immenso Aurora di Murnau, decide di dare ai suoi personaggi la possibilità di redimersi, scacciando gli spettri del passato per ripartire, per ricostruire la Germania a partire dalle macerie. Assieme agli altri tesori offerti dalla retrospettiva di quest’anno, questo film va a a comporre una panoramica su una cinematografia complessa e interessantissima, interamente attraversata da una dimensione politica e sociale. È un cinema che si colloca perfettamente all’interno del proprio contesto storico, rimanendo al contempo in grado di travalicare ogni tipo di confine temporale e risultare incredibilmente attuale pure oggi, merito di una tradizione registica di prim’ordine che va da Pabst a Lang, passando appunto per König. In bilico fra le allucinazioni dell’espressionismo tedesco e la fisicità del realismo poetico francese, Rosen blühen auf dem Heidegrab è uno dei tanti tesori nascosti che solo una retrospettiva approfondita e coraggiosa come quella di Olaf Möller poteva riportare su uno degli schermi di un Festival che dimostra quanto lo sguardo rivolto verso il futuro e quello rivolto verso il passato non possano che essere costantemente intrecciati, compenetrarsi, brillare ancora una volta della grandezza del cinema.
Tommaso Martelli