ROCCO (2016), di Thierry Demaizière e Alban Teurlai
24 centimetri di lunghezza, 16 di circonferenza, una resistenza pressoché inarrivabile. Non è mai servito altro biglietto da visita a Rocco Siffredi, leggenda del cinema pornografico, attore in oltre 1500 film, regista, produttore e scopritore di talenti. Ma Rocco, film documentario di Thierry Demaizière e Alban Teurlai proiettato al DocLisboa dopo il passaggio a Venezia in Giornate degli Autori, non si interessa tanto alle dimensioni artistiche di Rocco Siffredi, che comunque ripercorre, quanto alla parabola umana di Rocco Antonio Tano e alla sua convivenza con quel lavoro e quel nome d’arte – anche se il documentario non lo dice – “rubato” a Roch Siffredi, il personaggio interpretato da Alain Delon in Borsalino and co. di Jacques Deray. Ripercorrendo le ultime tappe della carriera di Rocco, fra i provini tenuti a Budapest e i film girati negli Stati Uniti, fino a quell’ultima apparizione, passando dal primo breve ritiro dalle scene, in cui il dominatore si farà dominare appeso a una croce da Kelly Stafford, il film del duo di documentaristi francesi si affida alla voce narrante dello stesso Siffredi per tenere le fila della sua vita, focalizzandosi non tanto sul suo celeberrimo attributo, ma piuttosto sul Rocco figlio, sul Rocco padre, sul Rocco marito. E ormai, e questo è il grande limite di tutto il progetto su cui ritorneremo, sul “bugiardo” Rocco pentito, schiavo della propria sessualità, schifato dalle immagini che ha prodotto. Dalla vita nella piccola Ortona, paese natale in provincia di Chieti, fra racconti di povertà, tragedie familiari e il rapporto con la madre che lo avrebbe voluto prete ma lo ha sostenuto, unica in famiglia, come pornostar, Rocco si addentra nella vita privata del leggendario attore, mostrando la sua vita a Budapest con Ròsza Tassi, nota in Italia come Rosa Caracciolo e conosciuta proprio su un set, mostrando i suoi due figli ormai ventenni, e mostrando soprattutto il cugino Gabriele Galetta, in un certo senso il vero protagonista del film, che Rocco cercò invano di lanciare nel mondo del porno ma che non si rivelò all’altezza, e che da quel momento lo ha sempre seguito come un angelo custode – operatore, fotografo, autista e inventore di storie che spinge per delineare almeno un minimo di trama nei film, mentre Rocco lo interrompe in continuazione con la fatidica domanda: “Quando si scopa?”.
Fra le attrici presenti nel film che con Rocco hanno condiviso carriera, umori e sudore, si nota subito anche Valentina Nappi, lanciata proprio dalla Rocco’s World nel 2011 e ora, dopo quasi 200 film girati negli States, fra le principali pornostar mondiali anche grazie alla sua profonda (purtroppo rara, in questo ambiente) intelligenza. Un acume, quello della Nappi, che trova il suo apice nella capacità comunicativa e mediatica che l’hanno resa un’icona della liberalizzazione del sesso, una sorta di eroina votata al rapporto occasionale, alla sessualità aperta, allo scardinare dal profondo le remore puritane che ancora oggi serpeggiano per una società che Valentina Nappi non può che vedere retrograda e arretrata. Come e più di Cicciolina, come e più di Moana Pozzi, la Nappi è ormai un personaggio pubblico che lotta non solo per la legittimità del proprio mestiere, ma che del proprio lavoro ha fatto una vera e propria missione politica e sociale, capace di scatenare un terremoto non solo mediatico a ogni apparizione pubblica o social – impossibile non pensare all’ultimo Festival del Nuovo Cinema di Pesaro, in cui era stata proprio la sfacciataggine di Valentina Nappi nel negare a viva forza la predominanza maschile nel porno (“Uno mi tromba per tre ore, si fa venire una prostatite, io ho una serie di orgasmi e vengo pagata più di lui”) a sconvolgere come un uragano la piccola città marchigiana. Una versione femminile e decisamente più filosofica, in sostanza, di quello che è stato Rocco Siffredi, il macho, il conquistatore, il dominatore, e che ora, per sua scelta, non è più. Da qualche anno la pornostar campana ha infatti abbandonato la “casa base” Siffredi, e da tempo fra i due volano scintille, fra attacchi velati che si sono via via fatti sempre più espliciti e frontali. Ora, non è nostra intenzione scrivere di gossip, ma in questo caso non possiamo esimerci, perché gli attacchi della pornostar al “grande vecchio” ormai pentito sono un perfetto esempio di tutti i problemi del film Rocco. In sostanza, Valentina Nappi accusa Rocco Siffredi di essersi venduto, di essere diventato un nemico del porno, di essere passato, per “ricrearsi una verginità” che gli permettesse di addentrarsi nella carriera televisiva (da L’isola dei famosi a Siffredi late night, passando per Casa Siffredi, per le pubblicità delle patatine “da parte di chi ne ha mangiate tante” e per Ci pensa Rocco) proprio a quella schiera che guarda alla pornografia come a un qualcosa di malvagio e peccaminoso. E di piagnistei su una sessualità fuori controllo è infarcito appunto anche Rocco, fra le lacrime parlando della madre rimasta scossa dalla tragica morte del fratello, la visita alla sua tomba al cimitero, i racconti di prostitute e trans durante il primo breve ritiro dalle scene con tanto di moglie che lo avrebbe spinto al ritorno sul set, fino all’apice di questa sincerità così forzata da finire per risultare al contrario costruita a tavolino con il racconto di quando avrebbe sentito una pulsione sessuale incontrollabile con una donna anziana, mettendole il suo noto attributo in bocca per poi scappare dalla vergogna.
Le nostre perplessità sono quindi proprio sulle linee guida del progetto, fatte di una voce fuori campo che rinuncia alla legittimità della propria carriera per, con fare decisamente insincero, fare una sorta di ricostruzione che in realtà è una pubblica ammenda, un’autoassoluzione, il ritratto di un uomo che si racconta come schiavo delle sue pulsioni, del suo mestiere, del suo personaggio che ormai lo schiferebbe. Le risposte paiono troppo spesso imboccate, fra i figli che sostengono di “non guardare quella roba” e la moglie che sa sempre dov’è il marito, ed è intimamente convinta che, al di là del sesso con le altre, Rocco faccia l’amore solo con lei. Ma sarebbe da parte nostra ingeneroso soffermarci solo sui difetti di un film tutto sommato divertente, che al di là della struttura problematica per obiettivo perseguito e per costruzione retorica di fondo, ha anche l’indiscutibile merito di portare sullo schermo i dietro le quinte della pornografia con uno sguardo fra il comico e l’assurdo. Vengono mostrate le attrici da lanciare, pronte a tutto pur di sfondare e che parlano di doppie penetrazioni e di strangolamenti come se parlassero di cucina, vengono mostrate le scomode e instabili posizioni che sono costrette a mantenere per il tempo dello scatto sulle indicazioni del cugino Gabriele nelle vesti di fotografo, vengono mostrati i primi incontri prima di girare insieme, con i baci appassionati della classe ’95 Abella Danger che, a fine riprese, Rocco scoprirà avere grossomodo l’età del figlio. E, sempre a fine riprese, verranno mostrate anche le strette di mano fra attori e attrici che si sono appena selvaggiamente accoppiati, ancora nudi, sudati, distrutti, e che ora tornano assurdamente formali, come in una negazione della passione appena messa in scena: è cinema, finzione, bugia. Rocco passa dagli uffici di John Stagliano, un tempo attore e ora fra i maggiori produttori e registi pornografici statunitensi, alla tenuta in campagna di Kelly Stafford, i suoi cavalli, la sua passione per fare le unghie, la sua professione mai abbandonata, ormai milf ancora piacente, rossa come il fuoco, unica possibile attrice con cui chiudere la carriera, ancora una volta insieme per l’ultima (s)cena, per molti anni dominata e ora dominatrice. Rocco passa da Veruca James a Jenny Smart, da Maddy O’Really a Dahlia Sky, da Rossella Visconti a Kirsten Halborg affiancando a Rocco Siffredi i “nuovi divi” James Deen – anche attore “normale” per Paul Schrader in The Canyons, esattamente come Rocco uscì due volte dal ‘puro’ porno con Catherine Breillat -, Tommy Sy e Mike Angelo, ma è il suo ritorno in famiglia il punto del film, la sua quotidianità, la sua “normalità”, anche se forzata. È un film senza dubbio interessante, che svela la vita di una leggenda, che mostra i dietro le quinte dei set pornografici e quanto tutto questo mondo di sesso e conquiste sia in realtà falso, buffo e pressapochistico, che si focalizza sull’uomo ben più che sull’attore. Ma che, esattamente come è fasullo l’amore messo in scena nei film porno, si rivela in sostanza un film fasullo nei sentimenti raccontati dal suo protagonista, che aveva evidentemente bisogno di darsi una ripulita mediatica.
Marco Romagna