21 Maggio 2023 -

ROBOT DREAMS – IL MIO AMICO ROBOT (2023)
di Pablo Berger

Che Pablo Berger sia un regista ossessionato dall’immagine cinematografica, lo avevamo già intuito con i suoi due progetti precedenti: Blancanieves (2012) era una rivisitazione della più classica tra le favole dei fratelli Grimm calata nella tipica estetica del cinema muto degli anni Venti; Abracadabra (2017) una commedia in cui il cuore della questione ricadeva proprio sull’impossibilità di credere ai propri occhi. Oggi, a distanza di sei anni, il cineasta spagnolo torna in scena con un nuovo lavoro che insiste ulteriormente su questo concetto. Robot Dreams, fra le Séance Spéciales di Cannes76 e che uscirà in Italia come Il mio amico Robot, è infatti un film di animazione (e già su questa scelta dovremmo soffermarci a riflettere, in anni in cui buona parte della produzione più teorica e autoriale si sta finalmente rendendo conto della potenza delle immagini animate e si sta interrogando sulla loro valenza tanto fittizia quanto simbolica) e per giunta muto (caratteristica, questa, che restituisce ulteriore slancio alla cura e all’importanza del frame). Seguendo le vicende di un cane anonimo (Dog è il suo nome nella versione originale), Berger ricalca in maniera quasi millimetrica le tavole della graphic novel omonima firmata da Sara Varon che raccontano l’improbabile amicizia del suddetto mammifero con un robot da compagnia. Siamo nella New York degli anni Ottanta, una metropoli viva e sul procinto di esplodere, in cui il fermento culturale è palpabile a ogni angolo della città e le Torri Gemelle svettano limpide e noncuranti in tutto il loro splendore. All’interno di questa babele di volti, lingue (dei segni?) e personaggi (tutti rigorosamente antropomorfi e privi di nome proprio), la solitudine di Dog verrà mitigata dall’incontro con chi è muto, antropomorfo e anonimo per natura: un androide.

Da una parte c’è Robot Dreams, racconto per immagini tanto semplice quanto potente, capace di parlare ad adulti e piccini e assumere sembianze diverse a seconda dell’esperienza che ogni spettatore vorrà proiettare su quei disegni. Se infatti al pubblico più infantile potrà sembrare di avere innanzi la storia di una mancata (?) amicizia, alla fetta più adulta non tarderà a palesarsi qualche lacrima in volto pensando che l’operazione sia stata progettata per riflettere sulla scomparsa di una persona cara. Entrambe le vie conducono verso un finale che più funzionale e toccante non si può, orchestrato con rara sapienza cinematografica da una regia bidimensionale ma conscia dei suoi limiti grafici e di profondità, tanto da abitarli egregiamente grazie a uno split screen che non si dimentica. Dall’altra parte, invece, c’è un Robot Dreams diverso, più concettuale, più teorico. Un film che nasce da un fumetto, di cui sembra essere la copia carbone. Anche le tavole di Varon, infatti, sono mute, senza i classici baloons testuali. Inoltre, al di là di qualche passaggio reso più fluido e giustamente prolisso, il taglio delle inquadrature, l’uso dei colori, la linea tratteggiata dalle forme dei personaggi e il racconto narrato sono pressoché identici. Il lavoro di Varon è quindi paragonabile a uno storyboard a cui Berger si è appoggiato senza troppi fronzoli. Lì per lì potrebbe sembrare una scelta un po’ pigra, poco creativa e, di fatto, si tratta di una critica che potrebbe avere tutta la sua ragione d’essere. Tuttavia, conoscendo e studiando più da vicino l’interesse filmico dell’autore, ecco che la volontà di donare il movimento alle illustrazioni di Varon non risulta assolutamente così banale o scontata.

Berger predica un cinema contemplativo ma al tempo stesso pulsante, un cinema in grado di dare vita a personaggi oppressi dalla loro condizione narrativa (i freak di Blancanieves, le solitudini di Robot Dreams) e meta-cinematografica. Il mutismo da una parte e la bidimensionalità dall’altra sono limiti che il regista impone ai suoi protagonisti. Il regista spagnolo è un demiurgo cinico e spietato che si diverte a massacrare i suoi personaggi per osservare come, nonostante tutto, possano cavarsela, possano emozionare ed emozionarsi, possano vivere sul grande schermo. In questo senso, scegliere l’animazione nella sua forma più semplice, lineare ed elementare, diventa non solo un omaggio esplicito e dichiarato alla graphic novel originale, ma una precisa dichiarazione d’intenti. In anni in cui tra roboanti grafiche digitali, miracoli in stop-motion, installazioni museali pensate in VR o miracoli tecnologicamente avanzati plasmati per la motion capture, l’animazione sembra essere diventata il terreno più fertile per la sperimentazione del linguaggio visivo, Robot Dreams crea un ossimoro potentissimo dando forma estetica ai sogni di un robot (l’oggetto più evoluto e tecnologico mai concepito) rappresentandoli come quelli di un bambino che si cimenta per la prima volta con le arti figurative. Il cortocircuito, estetico, emotivo ed emozionantissimo, è servito.

Simone Soranna

“Robot Dreams” (2023)
Animation | Spain
Regista Pablo Berger
Sceneggiatori Pablo Berger
Attori principali N/A
IMDb Rating N/A

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