REGRA 34 (2022), di Júlia Murat

Bad Luck Banging or Loony Porn, Orso d’oro 2021 con la regia del nuovo talento rumeno Radu Jude, si apriva con un reale video pornografico filmato con ‘savoir faire’ e qualità video amatoriali, a ritrarre quella che poi diventa la protagonista Emi del resto del film in un atto intimo – prima che, tramite la pubblicazione inavvertita del video sulle piattaforme online, la sfera privata di Emi non diventi inevitabilmente pubblica. Anche Regra 34 comincia in modo analogo, mostrando subito a nudo la protagonista Simone (23 anni) esibirsi in uno spettacolo in webcam, masturbandosi di fronte a degli spettatori che sono solo nomi e scritte in una chat accanto al computer. Se tuttavia il film di Jude preferisce usufruire solo di quel prologo per la descrizione tangibile della sfera sessuale dedicando il resto della durata di Bad Luck Banging alla vita reale di Emi (e alle riflessioni sociologiche del caso), il film della brasiliana Júlia Murat in concorso a Locarno75 da subito preferisce un approccio crudo, una molteplicità di sguardi che, nonostante il ritmo lento, ha poco di contemplativo. Subito, oltre al punto di vista della webcam, abbiamo anche quello esterno della macchina da presa: l’angolazione reale della vita di Simone, il mondo che non vedono i suoi spettatori. E poi, sì, ci viene mostrata anche la sua routine, ma è spesso interrotta dallo specchio dello schermo digitale, la chat che commenta costantemente e che cerca le attenzioni di Simone come lei cerca i loro “token”, i gettoni con cui la pagano che, durante la trasmissione, vengono segnalati da vibrazioni nel dildo. La sua sfera privata e la sua sfera pubblica appaiono parallele e non si intersecano mai, a differenza che nella storia di Emi. Di giorno studia giurisprudenza penale e lotta per i diritti delle donne, di notte chatta con l’amica Nat, fotografa di nudo artistico e appassionata di BDSM. Dopo la visione di un video pornografico violento, in Simone comincia a risvegliarsi un nuovo modo di vivere il desiderio, e una passione verso il sadomasochismo e in particolare l’auto asfissia. Quello che all’inizio Simone affronta con un po’ di curiosità e un po’ di paura, presto diventa il suo tunnel, la sua missione privata primaria, anche se è un mondo che vuole affrontare di petto senza seguire i consigli dell’esperta, responsabile Nat: «prima devi imparare come diminuire i rischi, […] stai fraintendendo il mondo del BDSM totalmente. È tutta una questione di fiducia e di scambio». La protagonista di Regra 34 non lo dice mai esplicitamente, ma ad alimentare il suo desiderio, la sua ricerca, la sua ‘raison d’être’ sembra essere proprio il rischio. Murat la scrive come un personaggio somatico più che psicologico, nel contempo erotico e logico, impulsivo e socialmente consapevole, e la segue con la macchina da presa sempre con la consapevolezza dello sguardo adoperato nell’inquadratura iniziale, la registrazione schermo dell’interfaccia del sito di camgirl con la webcam: sono tutte inquadrature fisse, punti di vista bloccati – anche in aula d’università o in tribunale, Simone è sempre in gabbia.

Cos’è la «regola 34» del titolo? Agli inizi degli anni 2000, quando il web stava cominciando a entrare nella normalità quotidiana che oggi diamo tristemente per scontata, girava online una lista di “regole di internet” stilata in goliardia da anonimi per identificare già i ‘trend’ universali che ancora oggi perdurano nelle nostre vite digitali. La prima vera regola è la 34esima (la prima dice di «non parlare delle regole dalla 2 alla 33», che non esistono) e asserisce con fare sillogistico che «se X esiste, su internet ne esiste la controparte pornografica». Esiste anche un motore di ricerca dedicato, che può essere raggiunto qui da chiunque volesse perdere qualsiasi barlume di innocenza, che fornisce risultati esclusivamente pornografici a qualsiasi richiesta inseritavi. Il titolo, insieme all’immagine iniziale e al ripetuto leitmotiv dell’immagine digitale esclusivamente sessuale di Simone, sembra voler implicare: nel momento in cui tu, essere umano (con particolare accentuazione sul genere femminile), esisti come identità digitale su internet, esiste la “tua” versione pornografica, il tuo corpo parallelo, oggetto e informazione numerica. Simone in parte ambisce a quello nella propria vita, scherza con le amiche dicendo di voler abbandonare giurisprudenza per diventare pornostar, e cerca il pericolo da un suo seguace virtuale disposto a pagarla fior fior di quattrini per vederla soffrire fisicamente. Lei si filma dunque per lui in un amplesso con l’amante Coyote (Lucas Andrade) che contravviene totalmente alle regole di fiducia del BDSM, neppure la più banale safe-word, un’improvvisazione di vetri e coltelli basata sul provare intense sensazioni fisiche con totale noncuranza, per il godere dello spettatore anonimo, ignaro della realtà oltre la pornografia. Simone lo fa per se stessa ma nell’occhio dell’altro. A spettacolo concluso, è evidente dalle cicatrici e dagli sguardi tra i due che la realtà del rapporto vissuta e quella virtuale della “recitazione” parziale per la webcam si sono intersecate e confuse in un viavai traumatico per Coyote come per Simone, ma la protagonista nonostante le lacrime continua a difendersi: è quello che cerca, è quello che le piace. Il giorno dopo, enunciando un’arringa in difesa di una donna che è stata maltrattata dal marito in un’aula di tribunale gremita di suoi compagni e docenti, Simone dice che bisogna compatire gli uomini violenti in quanto proiezioni della società disfunzionale che li ha prodotti, e propone una depenalizzazione per il carnefice. Che sia una mera provocazione ai professori (che precedentemente facevano ragionamenti analoghi e opposti) o un pensiero effettivamente maturato in lei a causa del suo tuffo incosciente nella violenza, è lasciato nel vago. Anche il finale è aperto e teso, non atto a costruire una tesi ma a creare perplessità.

È chiaro che Regra 34 sia un film totalmente aderente a una forma di pensiero femminista contemporaneo, e in ciò le sue provocazioni sono tutt’altro che sterili; costringono a guardarsi allo specchio, o nella webcam, con diversa consapevolezza sull’uso del corpo umano all’interno della neo-società digitale, il mostro contemporaneo che ancora stiamo cercando di capire. Ma a graffiare, nell’approccio di Júlia Murat, non è solo il tema veicolato, quanto, soprattutto, la direzione che il tema prende, senza glamour, con un eros decadente e quasi cronenberghiano (Crash), verso un discorso amaro sulla libertà individuale dal sesso e dalle sue costrizioni sistematiche. Non un film senza speranza, quanto una storia che si immerge nella consapevolezza di un’assenza di risposta universale, negli occhi decisi di Simone, nessuna certezza di protezione.

Nicola Settis

Edit: vincitore del Pardo d’Oro al 75mo Locarno Film Festival