REDACTED (2007), di Brian De Palma
“La vera storia della guerra in Iraq è stata redatta dai media commerciali di massa: se siamo disposti a provocare questi disordini, allora dobbiamo anche affrontare le orrende immagini che conseguono da questi atti“
Brian De Palma
Se nella carriera di Brian De Palma, omaggiato al Torino Film Festival 2017 con la retrospettiva integrale, la frammentazione e i cambi di prospettiva sono sempre stati i cardini della sua messa in scena, e se gli schermi televisivi sono sempre stati al centro di almeno un’inquadratura in quasi ogni suo film, è proprio nello spiazzante Redacted, Leone d’Argento per la miglior regia a Venezia 2007 e fra i capolavori chiave del nuovo millennio, che la portata teorica dell’autore trova il suo apice. Ripartendo in un certo senso da quelle Vittime di guerra che già nel 1989 avevano creato uno spartiacque nella sua opera, De Palma prende spunto da un reale e osceno crimine compiuto da soldati statunitensi di stanza in Iraq – lo stupro di gruppo di una quindicenne irachena accompagnato dallo sterminio di tutta la sua famiglia per poi dare fuoco al suo corpo – per ragionare con la stessa potenza sulla politica e sul mezzo cinema, sui rimorsi e sull’etica del mostrare, sui traumi e sull’autocensura, sulla menzogna e sulla pornografia dello sguardo, sulla psicologia dura/fragile di soldati portati al limite e sul sadismo di un occhio meccanico che mai potrà raccontare la verità, ma al massimo ricostruirne una visione parziale, connivente, troppo spesso ipocrita. Sta già tutto nel titolo, Redacted, che nel gergo giornalistico anglofono non corrisponde solo al nostro “redatto”, ovvero pronto alla pubblicazione, ma sempre più spesso indica anche – e soprattutto – immagini o documenti ai quali sono stati oscurati volti o dati per non incorrere in possibili azioni legali, o forse perché in fondo ci si sente un po’ sporchi e pornografi nel mostrarli nella loro crudele interezza. Al di là del suo chiaro afflato antibellico, antirazzista e umano, sul quale ritorneremo, Redacted è prima di tutto un punto di non ritorno nella riflessione sull’etica dell’immagine, sia essa cinematografica, giornalistica, televisiva o amatoriale, fatto di continui cambi di stile e di linguaggio in un mosaico di formati, schermi e punti di vista, dal cinema al tg, dalla videocamera puntata sulla valutazione psichiatrica a quella che rimane accesa mentre il proprietario viene rapito, dal soldato che aspira a diventare filmmaker ai media delle due parti che riportano opposte notizie, dai video jihadisti di decapitazione e vendetta alle telecamere di sorveglianza che filmano i deliri di onnipotenza di chi ha un AK47 in mano e non ha alcun problema a usarlo contro i civili, passando da un ipotetico gruppo di documentaristi francesi e dalla popolazione autoctona per giungere fino alla durezza quasi insostenibile dell’attacco e dello stupro, rappresentata in un’intelligente ambiguità fra amor di verità e puro sciacallaggio di chi raccoglie materiale forse più per poterlo esibire che per reale vocazione. È un film di completa e totale finzione, Redacted, scritto e messo in scena, girato in Giordania a più di un anno di distanza dagli eventi iracheni con attori e troupe, ma è sulla realtà che De Palma si interroga, o meglio sulla “verità” che possono (o non possono) racchiudere e riportare le immagini. Specialmente quelle più scioccanti e disturbanti, quelle più difficili da affrontare, quelle impossibili da digerire. Quelle di morte, di mine antiuomo, di teste tagliate, di sferragliate di mitra in pieno volto.
È sostanzialmente impossibile, per De Palma, filmare la verità oggettiva: c’è sempre un filtro, c’è sempre uno sguardo, c’è sempre un limite, c’è sempre una finzione, che sia voluta o meno. “La videocamera racconta sempre la verità”, dice l’entusiasta soldato Angel Salazar ai suoi commilitoni, riportando una fondamentale massima godardiana mentre continua a filmarli per essere ammesso alla sua agognata Film School, ma “No, this is bullshit”. Perché la videocamera, secondo De Palma, mente sempre, racconta bugie a 24 fotogrammi al secondo, cattura ciò che può e vuole per poi ricostruire la sua versione, bloccata nel tempo e nello spazio, cristallizzata in quell’occhio meccanico e nelle mani giocoforza parziali di chi lo tiene. La “verità” è ciò a cui crediamo, ciò che viene accettato, ma anche ciò che viene (ri)costruito, ciò che serve, ciò che è comodo, per ragioni di Stato, per ragioni economiche, per paura, per (non) etica, per spettacolarizzazione. A partire dalla “verità” sulle (inesistenti) armi di distruzione che sarebbero state nelle mani di Saddam Hussein tanto rimbalzate dai media americani da convincere la popolazione che fosse necessario spedire i soldati in Medio Oriente a “fermare i ribelli”, quando l’unica cosa che interessava all’amministrazione Bush era il petrolio nel sottosuolo del Paese. Redacted lavora sull’immagine – dura, disturbante, atroce – delineandola come sciacallaggio, come furto, come un qualcosa di ipocrita e sempre falso, come una montatura che non può che avere pesanti strascichi e conseguenze. Del resto, già nel 1974 de Il fantasma del Palcoscenico, ben prima della diffusione di massa di dispositivi di registrazione e riproduzione che dai nastri sarebbero poi giunti al web, De Palma aveva racchiuso nell’immagine in movimento, nel video e nella sua riproducibilità, il patto col Diavolo come furto della giovinezza, della vita, della faccia o della voce, e nella società fagocitante dello Show Business e dei media l’omicidio in diretta sul palco e in televisione come grande spettacolo e occasione di grandeur, con tanto di atroce finale con il pubblico che balla esaltato in mezzo ai corpi insanguinati. Sotto il sole e nella sabbia di Redacted lo stesso discorso teorico sul filmare e sul riprodurre si fa ancora più esplicito, lancinante nella sua babele di formati e di violenza, di punti di vista e di teste mozzate, di crimini atroci e di silenzi impauriti, e non sarà la “verità” di un documentario di guerra sempre più sul confine fra la realtà e la sua strumentalizzazione, o semplicemente che si limita a filmare quando invece potrebbe intervenire per fermare l’ondata di dolore, a fare luce sulla totalità dei possibili punti di vista, o a bloccare l’ondata di violenza e anfetamine, di pressione e frustrazione, per una guerra inutile, ingiusta, attacco a un Paese che si ritrova di fronte i mitra puntati sulla faccia e i posti di blocco che diventano veri e propri crimini di guerra. Una guerra, quella del 2005 in Iraq, che è stata creata e fomentata dai media e dalle immagini, girate da qualsiasi punto di vista e con qualsiasi scopo, disponibili per chiunque in tutta la loro atrocità, o forse no, perché quando la verità sullo stupro finalmente affiorerà, l’autore/sciacallo del video incriminante Salazar sarà già morto, impossibilitato a fornire “la verità” fino a quel momento taciuta fra minacce di rappresaglia e sensi di colpa che non fanno dormire la notte.
E a questo punto, in una società statunitense che considera il sangue innocente di un “negro del deserto” meno sporco di quello di un occidentale ma non accetta di sentirselo ricordare, e che non certo a caso massacrò questo capolavoro di De Palma al tempo dell’uscita considerandolo (a torto) alla stregua di un pamphlet contro l’esercito, Redacted porta sullo schermo i “danni collaterali” della guerra, quelle reali immagini giornalisticamente autocensurate, appunto “redacted”, che chiudono il film con i veri cadaveri e con i loro volti questa volta oscurati, invisibili, anonimi, spersonalizzanti. Il che rende se possibile queste immagini ancora più atroci, ancora più pornografiche nel dolore altrui, ancora più colpevoli. Ma in questo caso pienamente legittime, anzi necessarie, eticamente contestualizzate dai novanta minuti precedenti che le riportano, anche se reali, al livello di finzione, e a quello ancor più primario dell’occhio di chi le ha scattate. Perché, nei soldati a metà fra il superomismo del macho e i rimorsi di chi sa e (non) parla, nella faccia di bronzo di chi nega l’evidenza anche dopo aver commesso un atto ignobile, in quell’orrore che nessuno, nemmeno chi per tutta la vita dovrà convivere con gli incubi per quello che ha visto nei dintorni di Samarra, potrà mai davvero spiegare a parole ma rivivrà costantemente dietro agli occhi lucidi, Brian De Palma procede in direzione opposta rispetto alle immagini “redacted” che elidono i volti dei cadaveri. De Palma cerca sistematicamente l’umanità di ogni singolo individuo, soffrendo per ogni diritto negato, per ogni vittima innocente, per ogni singolo istante di una guerra che, come e forse più di tutte le altre guerre, è stata criminale quanto i suoi atti più barbari, e nonostante tutto strumentalizzata, cavalcata, manipolata, fagocitata dalle immagini in movimento e dalla loro costante frammentazione. Nell’avamposto messo in scena in Redacted ci sono i veterani alla quinta volta in Iraq, ci sono i novizi che ancora si fidano dei bambini, ci sono i razzisti esaltati e violenti, ma ci sono anche gli intellettuali appassionati di libri, ci sono i cinefili che sognano di mostrare il loro Tell me no lies, ci sono i cittadini iracheni innocenti eppure costantemente umiliati fra violente perquisizioni e soprusi ancora più gravi, ci sono i ribelli jihadisti che rapiscono e uccidono in un videomessaggio come rappresaglia, ci sono i cineasti, ci sono i giornalisti, vittime e al contempo carnefici, che nemmeno si rendono conto di essere appostati alla stregua di iene vicino alla carcassa da spolpare. O da stuprare e uccidere. È un film profondamente antibellico, Redacted, eppure non è affatto “contro l’esercito”. Anzi, è proprio dall’accurata caratterizzazione di ogni personaggio cogitata da De Palma che emerge il profondo rispetto per chi crede in una causa tanto da essere disposto a sacrificare la propria vita, ed è qui che attecchisce il suo profondo interesse per i rapporti interpersonali fra i commilitoni. Non è certo un caso che l’apice emotivo del film stia nella commozione devastata di chi nonostante tutto è rimasto ancora umano, e di certo il regista non vuole giudicare nessuno, nemmeno i colpevoli, ma vuole semplicemente capire come sia possibile che un individuo possa diventare così bestiale, possa spingersi così oltre, possa commettere e tentare di insabbiare un atto tanto orrendo. Redacted, disperata ricerca di risposte politiche e umane, si inoltra nella guerra e nel suo orrore più profondo e più cupo, nei suoi continui traumi e nella sua pressione insostenibile, nel sostanziale fascismo degli esaltati e nella paura e frustrazione di chi non riesce a fermarli, nella completa assenza di sensi di colpa o nelle lacrime che sgorgano dagli occhi di chi è (ancora quasi) innocente, e ha permesso che la giustizia facesse il suo corso. Ma anche chi ha lottato per la giustizia dovrà, come è più degli altri, convivere con i ricordi e gli incubi ricorrenti di chi dall’Iraq è tornato, e non può che essere tornato diverso. Più disilluso, più amaro, più triste, forse più debole. E carico di immagini che vorrebbe non rivedere mai più, quelle immagini che mangiano la realtà e non possono che risputarla in forma di finzione, di sciacallaggio, di parzialità, di bugia: la bugia del cinema. Si rimane a lungo immobili davanti allo schermo, mentre scorrono i titoli di coda di Redacted. Annichiliti, devastati, ipnotizzati da uno dei film più importanti del millennio. Profondamente scossi, ogni volta. Specialmente rivedendolo in un 35mm che gonfia i digitali nativi delle immagini rendendole ancor più calde e dolorose, ancora più “rovinate”, ancora più parziali. Ancora più colpevoli.
Marco Romagna