Era il capodanno tra il ’99 e il 2000. Un villaggio di pescatori, cuore pulsante delle Azzorre. Le reti asciugano al sole, mentre le onde dell’oceano si infrangono fragorose sugli scogli in un tripudio di spuma. La vita del villaggio è semplice, basata sulla cooperazione e sul mare, grande e gentile amico. Joaquim Pinto e Nuno Leonel sono in vacanza, le videocamere low-fi in borsa, lo sguardo proteso verso l’uomo. Non avevano alcun film in testa, e avevano impegni di lavoro nell’anno che sarebbe arrivato. Rabo de Peixe nasce quindi da un non progetto, da un ideale filmino delle vacanze, dalla visita ad un amico nativo dell’isola. Diventerà un capitale film documentario, profondamente personale, umano, etnografico e filantropo, fatto di quasi due anni di riprese, evoluzioni, tradizioni. Una prima versione da 55′ era andata a riempire uno slot televisivo in Portogallo, ma il montaggio non era mai piaciuto ai due registi, come sottolineato da Pinto durante la presentazione del film. Adesso, dopo quasi 15 anni, i due hanno rimesso mano al girato e presentano al Festival di Berlino, nella sezione Forum, la versione definitiva, una Directors’ cut da 103 minuti.
Joaquim Pinto non nasce come regista. Classe ’57, nativo di Oporto, lavora per parecchi anni come fonico e tecnico del suono, collaborando con la Storia del Cinema portoghese: Manoel De Oliveira, Joao Botelho, Paulo Rocha. Nel 1988, il suo esordio dietro alla macchina da presa. Pinto è attento osservatore, mosso da sincera curiosità e in grado di restituire sullo schermo un’umanità priva di filtri, maschere e retorica, intrisa però di una potenza emozionale capace di insinuarsi dolcemente nell’animo dello spettatore. Il suo stile portoghesissimo, nel quale il regista è narratore e voce fuori campo, la sua visione personale quanto condivisibile del mondo. Il coraggio e la necessità intima di fare Cinema. Splendido in questo senso il suo E Agora? Lembra-Me, straordinario film-diario col quale il regista ha spiazzato e commosso il Festival di Locarno 2013 mettendosi personalmente in scena nella sua lotta quotidiana contro l’epatite: le fasi della malattia, il dolore, l’invasività delle cure, ma anche la voglia di vincere e rialzarsi. Quello di Pinto (e Leonel, collaboratore e compagno) è un Cinema che sembra partire dal nulla per autoalimentarsi. Un Cinema che si nutre di immagini e tempo, un Cinema fatto di sensibilità, pazienza e montaggio, un Cinema che sa emozionare e sedimentare.
Rabo de Peixe è il nome del villaggio sull’isola di San Miguel, tranquillo paradiso fra sole ed oceano, gente semplice e laboriosa. I registi si godono la vacanza, giocano con i cani, inquadrano tetti e onde. Poi scendono in strada. I pescatori che, già da bambini, infilzano le esche sugli ami. La pesca è espressione, il Cinema è espressione: scatta inevitabile la scintilla. I giovani pescatori chiedono in prestito le videocamere, perchè il Cinema è anche un gioco. Inquadrano i loro volti, fanno smorfie, inquadrano le reti, le barche, le mani intente a pulire un pesce sul bagnasciuga, inquadrano il lavoro, le proprie vite. Un anno dopo, nel 2001, Pinto e Leonel tornano a Rabo de Peixe senza uno script, ma con la consapevolezza di avere un film. Ci resteranno fino al 2002, con un altro capodanno e l’entrata in vigore dell’Euro. Il loro caro amico Artur, il genero Pedro, il gemello Manuel, pescatori di spada. Il pargoletto di Pedro, che comincia appena a camminare: la famiglia.
In una regione come le Azzorre, isole nelle quali l’agricoltura è sempre stata in mano a grandi latifondisti, era inevitabile che la pesca diventasse il principale, se non unico, motivo di sostentamento. Una vita semplice, fatta di mare e simbiosi con la natura, ma anche una vita pericolosa e incerta, fra i flutti dell’oceano e le migrazioni dei pesci. Le reti, gli ami, le gabbie per i crostacei, la pesca in apnea con le fiocine. Il mare regala figli di ogni taglia, mentre l’uomo conosce alla perfezione le tradizioni secolari: le tecniche di pesca sono le stesse che si utilizzavano ai tempi dei vascelli, l’unica modernità è il motore. Pinto e Leonel salgono a bordo dei piccoli pescherecci e si tuffano con i marinai, immortalano il loro duro lavoro, lo spirito di cooperazione dei piccoli equipaggi e del villaggio tutto, la pulizia del pescato e la divisione perfettamente equa dei guadagni dopo la vendita. Filmano l’istinto e l’esperienza che sostituiscono le attrezzature di bordo, superando ampiamente le miglia di distanza concesse dalla categoria della patente nautica. Restituiscono, con splendide riprese subacquee, le immensità marine, il corallo, gli squali e le meduse. Raccontano le feste di paese, teneri bambini che ballano, esaltano la natura e la vita, i mesi che passano, l’amicizia, i progressi, le famiglie che crescono: l’atto stesso di filmare come eco di libertà.
Il mare dà, il mare prende. Ogni tanto, una barca non torna. Si trova il relitto, quasi mai i corpi. E’ successo anche durante la permanenza di Pinto e Leonel sull’isola. E’ successo ad una persona che conoscevano, non fra i protagonisti del film, ma descritto come sempre sorridente e pronto a dare una mano. Le ultime immagini che lo ritraevano, inserite nel montaggio finale con nobile grazia ed il toccante utilizzo di un prodigioso ralenti, erano relative a una partita di calcetto: Pinto e Leonel riportano in vita il proprio amico per qualche secondo, mostrandolo mentre gioca su un campo quasi improvvisato, dove a cadere ci si fa male, ma si ride lo stesso. Infatti cade, e ride. Rabo de Peixe è anche malinconia impregnata d’orgoglio, dove una realtà sempre più dura da portare avanti si fa lotta quotidiana della popolazione. La pesca tradizionale che dal XV Secolo, o forse prima, ha animato quasi immutata le vite di generazioni e generazioni è infatti sopravvissuta intatta, ma sono sempre più frequenti, oggi, continue restrizioni quantitative, martellanti controlli di polizia sulla quantità del pescato, obblighi aggiuntivi di abilitazioni per le varie tipologie di pesce, la necessità di ulteriori titoli di studio per poter rinnovare e ampliare il metraggio della patente nautica. Nondimeno, sono giunte lunghe battute di pesca meccanizzata da parte di navi straniere, che tolgono pesci e lavoro agli indigeni.
Rabo de Peixe è un film che cristallizza una realtà, non si limita a fotografarla. La voce di Pinto fuori campo è, più che filo conduttore, un vero e proprio flusso letterario, nel quale non sono casuali i riferimenti a Melville, a Spencer Tracy, ai mostri marini più leggendari. mentre scorrono le foto dei registi, le battute di pesca, le difficoltà, la morte. Rabo de Peixe è il rapporto dell’uomo con la natura, sono la paura e la gioia, è la soddisfazione. Sono la costanza e la forza di volontà nell’imparare un mestiere, o ancor più nell’imparare a nuotare. Il villaggio vive da sempre delle proprie risorse e del lavoro della popolazione, una popolazione figlia del mare, schietta e solidale, come Rabo de Peixe è un film sincero, emozionante, spontaneo, personale. Un film multiforme che, come le onde dell’oceano, si erge a trattato sulla libertà. Libertà di coesistere e indentificarsi con il mare, libertà di essere autosufficienti, libertà di crescere, libertà di vivere. Un film semplicemente straordinario.
Marco Romagna