PROFONDITÀ MISTERIOSE (1949), di Georg Wilhelm Pabst
È dai tempi del mito della caverna di Platone, fra le basi fondamentali di ogni scuola di pensiero non solo occidentale, che la grotta con le sue Profondità misteriose si pone come simbolo di un qualcosa di strettamente correlato con le percezioni, con la conoscenza, con gli interessi fondanti della personalità degli individui, e al contempo con gli interstizi dell’animo umano, con le indecisioni, con gli errori, con la ricerca di un proprio posto nel mondo. Le grotte sono al contempo pericolo e passione, rifugio e trappola (o meglio, «cassetta per le lettere, in cui si entra ma dalla quale non si può uscire»), ritorno al passato e fuga dal presente. Sono un luogo primigenio, nel quale cercare l’origine del mondo, dell’uomo, della cultura, di noi stessi, il passato di un’antica pittura rupestre come origine e caratteristica fondativa, mentre fuori imperversa la superficialità del capitalismo, l’avidità che porta a non sapersi mai accontentare, la costante insoddisfazione alla quale inevitabilmente porta la ricchezza.
Ed è qui che la grotta acquista anche il valore di cesura, di confine invalicabile fra chi, fuori, cerca l’opulenza e chi, dentro, cerca l’umano. Quasi una dicotomia, messa in scena dal Pabst di Profondità misteriose nei due personaggi maschili che si contendono la bella Cornelia: da una parte il dottor Benn Wittich, studioso al contempo scientifico e umanista nella sua professione di chimico inventore e nella sua passione per l’esplorazione delle grotte alla ricerca di tracce preistoriche, capace di accontentarsi di (soprav)vivere del proprio lavoro conscio che la vera ricchezza è quella della mente e dell’anima, in grado di rifiutare cospicui emolumenti pur di non (s)vendere le sue scoperte e il suo lavoro; dall’altra il ricco e arrogante Robert Roy, viziato al punto che i ristoranti annullano le prenotazioni degli altri clienti per riservargli il tavolo migliore, che invece crede solo nel denaro e nel possesso, negli affari e nella facciata da mantenere, nell’economia e nel capitale. Un capitale contro il quale l’afflato di Pabst, già capace di realizzare nella Germania nazista film apertamente antibellici (in testa il magnifico Westfront 1918) e di rifiutare o quasi le imposizioni di Goebbels fino alla caduta del regime, si schiera apertamente, con un messaggio chiaro e semplice, che alle seduzioni economiche, passando per il tragico errore di cui pentirsi, sceglie quelle umane.
Sia ben chiaro, Profondità misteriose è ben lontano dai più grandi capolavori di Pabst. È un film tardo, curato nella tecnica fra le sfarzose scenografie e i tagli di luce ma ondivago, altalenante, a tratti scombiccherato, forte di almeno tre o quattro sequenze potenti fra lirica e onirismo ma probabilmente troppo lungo nella sua versione originale da 104′, ben chiaro nelle sue intenzioni a metà strada fra melodramma sociale e metafora filosofica ma non sempre sorretto da una scrittura all’altezza, qua e là “facile” e quasi ai confini del kitsch nell’esibizione di un’emotività un po’ scolastica e a tratti forzata e con più di un problema etico nel trattare la donna – la facilmente circuibile protagonista Cornelia, a metà strada fra l’ingenua indecisa fra due uomini e la malfida traditrice dell’uno e dell’altro, non è esattamente una figura saggia e indipendente, e in generale non manca un velo di misoginia, o per lo meno di superiorità, nel guardarla. Eppure, a distanza quasi settant’anni dalla realizzazione di Profondità misteriose, risultano oltremodo ingenerose le quasi unanimi stroncature ricevute ai tempi della prima a Venezia, e di certo è stato immeritato il suo lungo oblio, uscito rimaneggiato in buona parte degli Stati e poi andato a lungo perduto, fino al ritrovamento e al restauro, presentato a Bologna al Cinema Ritrovato 2018 e filologico nei leggeri segni del tempo intelligentemente lasciati anche nella versione in 4K, di recente effettuato dal Munich Film Archive.
Perché Profondità misteriose è ben più di una semplice disputa amorosa fra due uomini opposti. È la contrapposizione metaforica, scientifica e filosofica fra due forme mentali, fra due modi di approcciarsi al mondo e alla società, alla storia e al presente, a se stessi e all’umanità, all’egoismo e all’amore. Perché tutti sono egoisti e tutti amano, ma ognuno a suo modo. L’egoismo di Benn, che crede nelle proprie forze e ama l’oscurità del passato, è la sua passione per l’esplorazione, una necessità intima che porta via spazio in una casa sempre più museo e preoccupazione in una donna sempre più impaurita dai pericoli corsi dall’amato, mentre quello di Robert, perfettamente inserito nel presente e al fruscio delle banconote, è fatto di interessi economici, di inganni, di persone usate per secondi fini – anche una moglie letteralmente rubata al rivale e spinta nuovamente fra le sue braccia pur di ottenere la sua nuova invenzione, dimostrando l’incapacità di amare al di sotto del senso di possesso e della volontà di esibire una donna come se fosse un gioiello. Proprio come quei gioielli che permetterà di indossare a Cornelia solo dopo averle fatto firmare una sorta di contratto d’affitto valido solo finché durerà il matrimonio, e nelle mani avanti dell’uomo sta tutta la sua (non) considerazione della moglie. Ma è nella pura messa in scena che, ben al di là dei pregi e difetti della trama e delle sue stratificazioni, degli afflati sociopolitici e della loro contestualizzazione, degli intenti antropologici e umanistici, emerge anche in un film minore tutta la grandezza di Georg Wilhelm Pabst. Emerge nella grana delle immagini “a lume di candela” nella grotta, quasi un caravaggismo in bianco e nero, emerge nelle sequenze oniriche di Cornelia, emerge nelle pattinate degli innamorati sul ghiaccio ormai apparentemente eterno chiuso nelle viscere della montagna, emerge nelle pitture rupestri segno di umanità che finalmente Benn riuscirà a scoprire, ed emerge anche nella salvezza inaspettata, questa volta merito delle ricchezze di un Robert Roy che saprà poi farsi da parte nel suo unico e finale moto di umanità che in qualche modo riporterà all’ordine, al sentimento, all’umano, alla giustizia, alla vita. Alla luce, prima uno spiraglio e poi la certezza di essere vivi, finalmente usciti dalla caverna.
Marco Romagna