POVERE CREATURE! (POOR THINGS) (2023), di Yorgos Lanthimos

«Siamo in un momento interessante». In una scena tra le più drammatiche dell’ultimo scanzonato film di Yorgos Lanthimos, Poor Things, questa frase viene detta dal personaggio di Willem Dafoe, uno scienziato pazzo cicatrizzato in volto che viene comunemente chiamato God – è un dio della scienza, un superuomo deforme, una metafora sottile come una balena. L’ambientazione del film è un’ucronia pseudo-ottocentesca il cui progresso scientifico ha superato quello del nostro mondo presente. Visto che la nostra, di ambientazione “reale”, è quella del festival di Venezia, in cui grazie a un’accurata selezione anno dopo anno si ottiene un quadro generale dello stato delle cose in varie categorie e sottocategorie del cinema internazionale, può essere interessante decontestualizzare per un momento questa frase dal contenitore dell’intreccio del film, e applicarla al ruolo di Poor Things proprio nel mondo nostro, e nel panorama cinematografico mondiale. Il «momento interessante» non sia dunque quello interno alla trama del film, ma facciamo che diventi per un attimo l’hic et nunc di questo autore, di questo festival, di quest’industria. Lanthimos è un regista greco in attività dall’inizio del secolo, tra i motori del controverso e nichilista nuovo cinema greco emerso già dai primi anni 2000, corrente di cui ha girato il film più emblematico, Kynodontas (2009), una pietra miliare del cinema europeo delle nuove generazioni, che mischia un freddo cinismo paragonabile a quello di Michael Haneke con un immaginario morboso fortemente allegorico fatto di lunghe inquadrature fisse e minimalismo rigoroso. Un fotogramma del Lanthimos del primo periodo è tipicamente un’immagine perfettamente a fuoco, asettica nei colori e nelle pose dei personaggi, che restituisce un forte senso di desolazione, solitudine, complessità della società alienante contemporanea, una vera e propria foto in movimento. Ha lavorato da sceneggiatore sui propri film solo in collaborazione con Efthymis Filippou, che gli ha fatto da spalla dall’esordio Kinetta fino a L’omicidio del cervo sacro, in un percorso (anche, se vogliamo, letterario) a dir poco peculiare – la misantropia gelida dei film greci è stata soppiantata, con l’arrivo di Lanthimos alle co-produzioni inglesi e americane, da un senso dell’umorismo grottesco che gira a vuoto attorno a tematiche nichiliste e fataliste. Insieme a questo cambiamento, sta mutando progressivamente anche lo stile registico, che si fa più barocco e movimentato… e il gioco al massacro aumenta di dimensioni, colore, spessore dei simbolismi. Con La Favorita e adesso Poor Things, i primi film hollywoodiani, entrambi passati a Venezia, il regista ha smesso di firmare le proprie sceneggiature con Filippou per affidarsi adesso alla coppia Deborah Davis / Tony McNamara, che hanno uno sguardo sul mondo ben diverso e hanno portato anche Lanthimos a cambiare molte cose del suo stile. Ora che le trame che filma sono apparentemente più impersonali causa assenza della sua firma, i suoi attori gigioneggiano invece di andare per sottrazione, il suo grandangolo inquadra scenografie sgargianti, quali eleganti e quali pacchiane, e il suo senso dell’umorismo crea un contrasto provocatorio intellettualoide ma non altezzoso, diverso dal mero contrappunto tonale che rinforza il distacco verso i personaggi dei primi film. Il feticismo dell’inquadratura fissa è sostituito da un uso spericolato della Steadicam. Non è un regista radicale, ma per il pubblico generalista può essere visto come tale. Di sicuro, tuttavia, a essere stato radicale, anche più di quanto sembra, è proprio il cambiamento giunto col cambio di sceneggiatori: i ritmi sono più canonici, ma la fotografia è diventata ardita, paonazza, ipertrofica. Poor Things è tratto dal romanzo omonimo dello scrittore scozzese Alasdair Gray, un tributo a Frankenstein messo nel tritacarne del bildungsroman. Il testo per lo schermo di Davis e McNamara, che pre-Lanthimos hanno lavorato in televisione, si ispira allo stesso riferimento geografico del romanzo (la Londra vittoriana), ma lo iscrive in un viaggio burlesco tra mondi gotici e steampunk. «È un momento interessante», dunque, sì, perché un nome del cinema europeo che poteva rimanere ostico ed esoterico si è trasmutato in un regista vicino al cinema commerciale, ma che in questi progetti dal budget semi-alto continua a voler provocare con le sue idiosincrasie, pur affidandosi a una narrazione su carta più impersonale.

«È un momento interessante», e anche il 2023 è un momento interessante per l’uscita di Poor Things, al di fuori della sua collocazione nel percorso del regista che l’ha firmato. L’intreccio: una nobildonna in gravidanza (Emma Stone) si butta da un ponte, e God la salva decidendo di usare il corpo di lei, defunta, e del non-ancora-nato dal sesso non specificato, ancora vivo, per un esperimento scientifico. Il corpo di lei viene resuscitato, e in esso viene installato il cervello vivo del bambino, che dunque nasce nel corpo già adulto della madre. La crescita e maturazione di questa creatura non morta, un infante forse transgender dalla bellezza ipnotica e dal cervello sottosviluppato, è un processo complesso che sfida la pazienza e l’affetto di God, che presto trova nel suo studente McCandless (Ramy Youssef) un altro dottore che lo assisti nel crescerla e nell’accumulare dati. Questo dottore si innamora di lei, e poi di lei si innamora un altro (Mark Ruffalo) che la rapisce e la trascina per l’Europa. Lei viene cresciuta col nome di Bella Baxter, e nei suoi viaggi e avventure deve confrontarsi con lo scoprire la società, la filosofia, la sessualità, e diventare un essere umano. Il centro del film è un percorso di autodeterminazione femminile, fattore che ha portato molte tra le prime reazioni della stampa a fare un paragone provocatorio con Barbie di Greta Gerwig, causato solo e unicamente dalla vicinanza tra questa premiere veneziana e l’uscita nelle sale internazionali del blockbuster Mattel. Le differenze tra i due film sono così numerose che sperticarsi in un elenco di analogie e differenze sarebbe un esercizio futile, ma a livello tematico il percorso di Bella Baxter è innanzitutto un percorso di crescita dall’infanzia alla vita adulta, una crescita corrotta dalla scoperta dell’erotismo, della carne, del piacere, di quella parte del corpo-donna che fa provare gioia ma che la società vuole far finta che non esista – e non una parabola collodiana di trasformazione totale della propria identità in ‘persona reale’, educata, informata, capace d’essere intellettuale. Il prologo dissacrante in bianco e nero di Poor Things costringe il pubblico a provare qualcosa, con un registro che alterna la levità della favola alla pesantezza dell’horror psicologico con una nonchalance e una goffaggine satirica spiazzanti. Il paradosso e la provocazione rappresentati dal personaggio-corpo di Emma Stone/Bella Baxter sin dai primissimi fotogrammi ha un che di sconvolgente, è uno dei personaggi più fisici e isterici visti nel cinema dei grandi circuiti negli ultimi anni, ed è sia merito dello staging allucinatorio di Lanthimos che dell’interpretazione perversa della Stone. «È un momento interessante», sì, per far ruotare attorno a un personaggio che inizialmente sembra quasi la manifestazione di una fantasia pedofila un racconto di formazione così beffardo e nel contempo esistenziale, per raccontare la scoperta e riscoperta individuale di una donna mediante l’esegesi del corpo. Tra fisheye a formato rotondo e lunghe carrellate in profondità di campo, lo stile consolidato e brandizzato di Lanthimos raggiunge qui la sua forma più plastica e nevrotica, un pastiche carnevalesco ed erotico che per una volta sa di davvero inedito. Sì, molti dei virtuosismi di Lanthimos sfociano nel pacchiano, eccedono in prolissità, o possono essere visti come gratuiti, a partire dai fondali computerizzati che urlano “finzione”, ma sono atti a costruire un microcosmo prendere-o-lasciare inverosimile, assurdista ma parabolico, una grande didascalia con una cornice spessa, un piccolo grande gesto per questo nostro «momento interessante».

«È un momento interessante», sì, per questo gesto, ma in cosa consiste il gesto? Spiegarlo può richiedere di entrare più nell’aneddotica che nell’analisi razionale che sarebbe richiesta dalla critica. Il film, a oggi, data di pubblicazione di questo pezzo, è stato visto solo al Lido durante la Biennale e non è ancora stato fruito dal grande pubblico, ma è molto probabile che faccia scalpore e venga commercializzato su ampia scala – forse il campione di spettatori che l’ha visto qua non è rappresentativo di quello che poi sarà il risultato al box office, ma a livello statistico tant’è. Le proiezioni di Poor Things hanno avuto un’energia inedita per la mostra del cinema di Venezia in anni, un grande trasporto emotivo del pubblico che esplode in risate sguaiate a parole ‘politically s-correct’ o in applausi a elogi della cocaina; tanto sesso, molta violenza, un immaginario di eccessi che strizza l’occhio a Terry Gilliam e a Lars Von Trier (esplicitamente citato nei tableaux vivants presenti insieme ai titoli dei capitoli), eppure pressoché nessuno esce dalla sala, tutti sono coinvolti, e anche chi non apprezza il divisivo Lanthimos ammette che stavolta «il film c’è». La verità? Il film è gremito di storture che possono rendere più complesso l’impatto emotivo durante la visione, ma questa è anche la forza del film, che dimostra che pur addomesticandosi per il grande pubblico Lanthimos non ha smesso di voler mettere una pulce nell’orecchio – e nell’occhio – del pubblico. Se il film fosse davvero solo ‘dritto’, lì sì che potrebbe essere facilone e problematico. Non se n’è andato l’interesse del regista per la corruzione dell’ego nella società odierna, e nonostante la grana spessa dell’aspetto surreale del film tutta l’impalcatura del progetto è decisamente più sensibile che cinica, più schizofrenica che deprimente, più dialettica che pedante, e di certo originale. Bella Baxter scopre la clitoride, il cinismo, il socialismo, i limiti del matrimonio e del classismo, e nel farlo lei sembra sempre più assurda al mondo che la circonda e il mondo sembra sempre più assurdo a lei. È una sorta di cugina arrapata (e arrapante) del modello garçon sauvage à la Kaspar Hauser, una messaggera da un altro pianeta che rivela le nostre ipocrisie e fragilità sessuali e sociali. L’estetica esuberante di Lanthimos è spesso un troppo che stroppia, ma il suo talento nel gestire i ritmi della scena e del dialogo o le interazioni tra i personaggi (il rapporto tra Stone e Ruffalo il più emblematico ed esilarante) è tale da far passare in modo chiaro e inequivocabile un messaggio femminista e sinistrorso, oltre che una storia complessa con tanti personaggi, senza rifarsi affatto all’ideologia dello Zeitgeist liberale che sta ribaltando i valori e l’estetica del cinema mainstream, anzi, sparando a zero e prendendo per il culo tutto e tutti con pochi peli sulla lingua. Le aspettative sono invertite, e due ore e mezza, in cui sono affrontati macrotemi quali il ruolo della prostituzione nel mondo del lavoro o la morte di Dio, hanno la scorrevolezza della screwball comedy o del cartone animato con target adolescenziale. Parlare di Poor Things come di un prodotto commerciale per il grande pubblico può sembrare sminuente nei confronti dello sguardo del regista greco, ma invero quello che accade è il contrario: questa ambiziosa favola per adulti, che cerca molti compromessi ma richiede un pubblico aperto ad accettare di essere sgridati dalle follie proposte sullo schermo, è il miglior lungometraggio di Lanthimos e un ‘unicum’ nella produzione del cinema mainstream contemporaneo, un film che mette in discussione tutto, incluso se stesso, con un’ossessività che tiene incollati alla poltrona. «Siamo in un momento interessante», sì, dall’inizio dei titoli di testa alla fine dei titoli di coda.

Nicola Settis

Ci è gradito comunicare che il film POVERE CREATURE! di Yorgos Lanthimos, distribuito da Walt Disney Company, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI.
Motivazione:
Con Povere Creature! il cinema di Lanthimos fornisce il suo contributo, come sempre irriverente e visivamente disturbante, alla definizione di un femminile che si libera di tutte le costrizioni interpersonali e i controlli sociali. Nella cornice di un racconto di fantascienza che si apre ai toni della commedia, la “creatura” incarnata da Emma Stone diventa così l’eroina del libero arbitrio, e insieme la proiezione utopica della definitiva ribellione alle anchilosate forme del maschile contemporaneo.
(uscita 25 gennaio 2024)