GLI UOMINI DELLA NOTTE (1930), di Tod Browning
Non si può resistere alla tenerezza o allo strazio di un bambino che sorride o che piange. Nemmeno una coppia di rapinatori in fuga dalla polizia e dal boss locale con mezzo milione di dollari può farlo, nemmeno chi non dovrebbe essere riconosciuto riesce a mantenere il distacco emotivo che un’identità segreta richiederebbe: anche per loro scatta l’umanità, scatta l’empatia, scatta l’affetto più sincero, scatta l’emozione più pura. Quella stessa emozione che ancora oggi, a quasi 90 anni di distanza, pervade con slanci ripetuta commozione lo spettatore della seconda, sonora e decisamente più asciutta versione realizzata da Tod Browning di Outside the law dopo il film omonimo di dieci anni prima. Al di là del titolo originale in comune, i due Outside the law – tradotti più o meno liberamente in Italia rispettivamente con Il fuorilegge (1920) e Gli uomini della notte (1930) – sono due film profondamente diversi, il primo decisamente calato nel gangster movie e pronto a declinare i suoi intenti psicologici nel doppio ruolo di servitore cinese e criminale interpretato da Lon Chaney, il secondo pronto a partire come un film di genere di rapine in banca e di regolamenti di conti fra criminali per poi scartare all’improvviso e inaspettatamente verso il più intimo melodramma, verso la poetica più straziante, verso un turbinio caleidoscopico di trepidazioni e palpitazioni.
In questo senso, Gli uomini della notte è un unicum nella nutrita filmografia di Tod Browning, un film miracoloso e commovente, mai così lontano dalle atmosfere orrorifiche e mostruose dei Dracula e dei Freaks, eppure profondamente intriso della personalità (non solo) cinematografica del regista statunitense. È probabilmente, nel suo allargare la rotta circumnavigando anche inediti lidi cinematografici, il film più potente e personale di Browning, capace di rievocare i suoi esordi circensi quanto le sue ossessioni per il raccapricciante, capace di riflettere con acume sulla psicologia criminale e sulla redenzione, capace di elevare il ladro a eroe del quotidiano che non può evitare di ascoltare il proprio cuore, di ricordare a tutti come sia profondamente sbagliato giudicare, di puntare i fari su come il mondo “normale” e borghese nella cui quiete i due ladri cercano rifugio nient’altro sia che un concentrato di ipocrisia che ostenta buon cuore proprio mentre la sua servitù, rigorosamente di colore, è di fatto relegata a brindare separatamente nel sottoscala per le Feste. Ma soprattutto, come si diceva, a rendere un capolavoro così straordinario Gli uomini della notte è la sua poetica dolce e quasi insostenibilmente lancinante, pronta a penetrare con l’ingenua tenerezza dell’infanzia persino la corazza più insensibile, e dolcemente devastare chi si lascia pervadere dal flusso emotivo e narrativo.
Presentato al Cinema Ritrovato 2017 nella magnifica copia 35mm di recente restaurata con doverosa (ma purtroppo non scontata) filologia dalla Universal, Gli uomini della notte è la pianificazione di una rapina in banca mentre il boss di zona, semplicemente in quanto boss di zona, pretende una parte della refurtiva. Sono i lavori ancora una volta “circensi” che la coppia di rapinatori – lui, Fingers, manichino umano in scena senza gambe, lei, Connie, “riproduzione vivente” di un quadro in una vetrina di burlesque – si inventano mentre si preparano al colpo. Sono gli inganni e i doppi giochi fra le due entità criminali che vogliono mettere le mani sulle stesse banconote. Ma, soprattutto, Gli uomini della notte è la fuga dalla polizia e dai gangster, è il nascondersi cercando di confondersi nella massa tutta uguale degli appartamenti cittadini, ed è il bambino curioso e intraprendente della finestra di fronte – figlio proprio di un poliziotto e quindi serio pericolo per il loro anonimato, ma questo lo scopriranno solo dopo – che li va a trovare, inizialmente tenuto lontano per precauzione e brigantesca freddezza, ma poi abbracciato e consolato mentre piangeva sentendo bruciare un insospettabile e progressivo fuoco dentro, sentendo nascere un inaspettato calore umano, sentendo vibrante il senso paterno e materno verso chi, innocente, la madre l’ha già persa per sempre. Vivono fuori dalla legge, Fingers e Connie, vivono Outside the law, eppure sarà proprio un’altra legge, quella della natura, a cambiarli. Sarà la loro emotività, sarà il cuore che batte al di sotto delle loro corazze, sarà la loro onestà di fondo, ben più forte della capacità di rubare e tradire, a farli scartare, a renderli umani, e anche a farli scoprire, ma a quel punto non importerà più, perché si saranno già ampiamente redenti.
La resa dei conti non potrà che essere nella notte di Natale, quando il gangster si ripresenta alla porta di Fingers e Connie, quando spara al poliziotto padre del bimbo per incastrarli, quando cade nella colluttazione, e a questo punto non conta più nulla: non conta più quel mezzo milione di dollari frutto della rapina, non conta più la consapevolezza del carcere, conta solo salvare l’uomo ferito, conta solo che il bambino che ha saputo con la sua sola presenza riportare le belve all’umanità non rimanga solo, orfano, con la vita distrutta. Sarà proprio la coppia di (ormai ex) rapinatori a chiamare l’ambulanza, pur conscia della rinuncia alla propria copertura e del conseguente arresto, sarà proprio la coppia di (ormai ex) rapinatori a tenere l’uomo disperatamente in vita sul letto in attesa dei soccorsi, sarà proprio la coppia di (ormai ex) rapinatori a scatenare l’apice della poesia del film, allontanando il pargolo dalla vista del padre (non) morente facendogli attendere trepidante Babbo Natale davanti al caminetto: “Non arriva finché tutti non si addormentano”. Quando il giudice li condannerà per la rapina tenendo conto di ogni possibile attenuante e dell’intercessione dello stimato poliziotto cui hanno salvato la vita, a Browning basterà inquadrare le loro mani che si stringono, non più leste ma trepidanti, impaurite, emozionate. Umane, fortissimamente umane. E al pubblico di ogni tempo non resterà, di fronte all’immancabile “The end” che da sempre riempie lo schermo di ogni grande capolavoro americano, che asciugarsi per l’ennesima volta le dolci lacrime che ancora continuano, inevitabilmente, a solcargli le guance.
Marco Romagna