Tra le cose più curiose viste alla trentatreesima edizione del Torino Film Festival c’è senz’altro un double bill, imperfetto ma interessante, presentato nella sezione After Hours. Parliamo di The Girl in the Photographs e February. Entrambi sono film horror, per l’esattezza slasher. Entrambi hanno un approccio marcatamente postmodernista, anche se uno opta per una maggiore dose di ironia mentre l’altro privilegia una certa distanza teorica. Ed entrambi recano la firma – uno solo per la sceneggiatura, scritta a sei mani, l’altro anche per la regia – di Osgood Perkins, un nome che, nel contesto della sezione torinese dedicata al cinema di genere, è tutto un programma. Ebbene sì, trattasi di un figlio d’arte, per l’esattezza della progenie di Anthony Perkins, il mai dimenticato Norman Bates di Psycho. E guarda caso, il primo contatto con il cinema è stato proprio grazie al padre: nel 1983, nel dimenticabile Psycho II, è il giovanissimo Osgood – all’epoca aveva nove anni – a prestare il volto a Norman da ragazzino. Da lì è nata una carriera, discontinua ma relativamente solida, come attore, con ruoli minori in film come La rivincita delle bionde, Secretary e Star Trek. Ma è soprattutto la sua esperienza dietro la macchina da presa a far parlare di sé, come può confermare chiunque abbia visto a Torino le due pellicole da brivido alle quali ha lavorato.
Nel caso di The Girl in the Photographs, regia di Nick Simon, il contributo di Perkins rischia di passare in secondo piano, in parte perché è solo una di tre persone ad aver lavorato alla sceneggiatura, in parte perché è un altro nome di punta dell’horror a dominare il marketing legato al film: quello di Wes Craven, che ha lavorato alla pellicola come produttore esecutivo ed è venuto a mancare a pochi giorni dal termine della post-produzione. Il film gli rende omaggio, con la consueta dedica nei titoli di coda ed un’allusione abbastanza velata all’inizio della sua carriera (nella prima sequenza, due ragazze escono dal cinema dopo aver visto Blood Relations, che fu il primo titolo di Le colline hanno gli occhi, ed è un tributo sincero e toccante. Ma è difficile non notare, per quanto concerne la partecipazione di Perkins in sede di sceneggiatura, una certa presenza dell’occhio paterno, in senso alquanto letterale, poiché il film parla di psicopatici e voyeurismo, trasformando la macchina fotografica in un vero e proprio personaggio. Non arriva al punto di non ritorno raggiunto da un capolavoro come L’occhio che uccide di Michael Powell, dove la macchina da presa diventa letteralmente uno strumento di morte, ma rimane interessante il lavoro effettuato sul ruolo della fotografia come professione ed arte nel ventunesimo secolo, l’era del selfie. La riflessione è condita da commenti ironici e sboccati, come vuole la tradizione post-Scream, ma la sua intelligenza rimane intatta, soprattutto nel finale sorprendentemente cattivo.
Di fattura diversa è February che, pur puntando anch’esso su una certa componente metacinematografica, nella fattispecie con la presenza nel cast di Emma Roberts (da un lato nipote di Julia e figlia di Eric, dall’altro veterana di Scream 4 e American Horror Story, rimane un lavoro più “freddo” e teorico, quasi autocompiaciuto, come se Perkins figlio, dietro la macchina da presa, giustificasse la sua bulimia cinefila tirando in ballo la sua eredità di genere. Adolescenti, un collegio lontano, (vacue) riflessioni sull’identità e scene di uccisioni che non possono che richiamare un approccio vagamente hitchcockiano (ma torna alla mente, nei corridoi e nelle stanze vuote, anche The Ward di John Carpenter, senza dimenticare I tre volti della paura di Mario Bava) si intersecano in un vero e proprio diluvio di amore per la settima arte e di discesa agli inferi più demoniaci, senza però lasciare qualcosa di veramente tangibile al di là di una studiata esibizione della padronanza del mezzo da parte di Perkins. E in tal senso non possiamo dargli torto, perché questa ambizione e queste potenzialità, se accompagnate dalla sceneggiatura giusta, potrebbero portare ad una firma potente nell’horror odierno. Si tratta, forse, solo di aspettare che questo esuberante talento in erba trovi la concretezza di un lavoro maturo: per ora rimaniamo alla finestra, in attesa del prossimo film.
Max Borg