C’era una volta un mondo fantastico, abitato da elfi, fate, trolls, centauri, “wizzards”, un mondo intriso di magia. C’era, sì, ma una volta. Poi sono arrivati la corrente elettrica, le auto, i treni, la tv, i computer, gli smartphone, i tablet e la globalizzazione. Ed è in questo universo che vive Ian, un teenager elfo, che riceve per il suo sedicesimo compleanno un regalo speciale da sua madre: un vecchio bastone magico con una gemma preziosa in grado di far resuscitare una persona defunta, anche se solo per un giorno. Ian, con suo fratello maggiore Barley, ha quindi la possibilità di esaudire il suo più grande desiderio: far tornare in vita il suo papà, di cui non conserva ricordi nel suo cuore, perché morto quando era troppo piccolo per averne memoria. Tuttavia, come in tutte le fiabe che si rispettino, seguendo alla perfezione gli schemi di Propp, qualcosa va storto: la materializzazione del padre dei ragazzi avviene solo “a metà”, la gemma si sgretola in mille pezzi e i due elfi vanno alla ricerca di una seconda gemma al fine di poter ricostruire anche la seconda metà del corpo del loro genitore e trascorrere almeno qualche ora della giornata con lui.
Dopo lo spettacolare e coloratissimo Coco, la Pixar sembra volerci far riflettere ancora una volta sulla tematica del legame tra la vita e la morte, tra i corpi e le anime, e soprattutto sulla permanenza dell’altro nella nostra esistenza attraverso i ricordi. Ed ecco che, per avere un padre, per vivere delle avventure con lui, per essere “come lui” («Be Like Dad» è una delle cose che Ian si appunta sul suo blocchetto) non c’è bisogno davvero della sua presenza fisica. Già solo quella “metà” è sufficiente per far comprendere al giovane elfo l’importanza dei rapporti reali che ha nella sua vita, in primis quello con suo fratello Barley, con cui vive questa fantastica avventura e con cui ha condiviso tutti i momenti fondamentali della sua esistenza. La magia non è quindi un fine per avere ciò che non si è mai avuto, ma un mezzo per scoprire l’incanto della nostra vita e affrontare, con il supporto dell’altro, le nostre paure, le nostre insicurezze quotidiane: dall’imparare a guidare l’automobile, al riuscire a relazionarsi alle persone…
Il viaggio strampalato che intraprendono i due fratelli di Onward, in anteprima nello Special Gala della 70ma Berlinale giusto un paio di settimane prima dell’uscita italiana prevista per il 6 marzo, non li porta a conoscere meglio loro padre, ma a conoscere meglio loro stessi ed avere fiducia nelle proprie capacità. Ian, grazie al supporto di Barley, acquista coscienza di sé e passo dopo passo è in grado anche di affrontare l’immenso picco vuoto sotto di lui, costruendo un ponte immaginario che lo conduce da ciò che era a ciò che sta diventando. Così, seppure Onward non arrivi ai picchi emotivi di Coco, e non sviluppi i personaggi in modo del tutto completo, è in grado comunque di ricreare l’incantesimo di una fiaba, mostrando un’enorme delicatezza nel trattare la tematica della perdita di un genitore e il bisogno, fortissimo, di ricostruirlo nella propria memoria. Un’urgenza per il regista Dan Scanlon, che evidentemente mette in gioco la sua storia personale, i suoi sentimenti, a partire dalla registrazione vocale del padre che lui e suo fratello ricevettero da adolescenti e che ritorna, in modo toccante, nel film. Il cui produttore esecutivo è non a caso Pete Docter, già regista degli emotivi Up e Inside Out, e in uscita in primavera con il nuovo Soul. La Pixar, in definitiva, non tradisce se stessa, ricreando le atmosfere fantastiche dell’animazione 3D in un mondo quasi ordinario, in cui sente il dovere, attraverso il proprio lavoro e i propri film, di dover riportare un pizzico di magia, sempre. Una magia attraverso la quale possiamo materializzare un abbraccio e che si concretizza in un gesto d’amore, come il dono di un bastone… o di una maglietta… o di noi stessi.
Brunella De Cola