ON THE BEACH AT NIGHT ALONE (2017), di Hong Sang-soo
Il cinema di Hong Sang-Soo cammina sempre a passi lenti e e profondi nella sabbia, attende le sue modulazioni, come con lo stupore stesso di ogni incontro che sposta per un attimo la macchina da presa alla ricerca di un nuova storia, magari sdoppiandola. Successe così già per Right Now, Wrong Then, splendida elegia sulla naturale poesia del quotidiano ri-creando anche uno spazio destinato allo spettatore, in cui stava a lui stesso scegliere la prima o la seconda versione, chiamato in causa a decidere quale fosse il finale. In questo On the Beach at Night Alone il dualismo delle parti del film segue una consequenzialità temporale ma non spaziale, spostandoci dal marea di Amburgo alla provincia coreana costiera di Gangneung, dall’andata al ritorno, da una fredda battigia del nord ai colori caldi dell’oriente. In attesa di uno spiraglio, di una rivelazione, o almeno della consapevolezza della fine di un amore. Ovviamente siamo sempre al cinema, per interposti rapporti.
Uno. On the Beach at Night Alone è una celebre attrice e la sua fuga in Germania per una pausa di riflessione sopra la propria vita, amante di un regista molto più anziano per il quale il rigido mondo della Corea ha apposto su entrambi il marchio del disonore. La “città più vivibile” della Germania sono paesaggi e umanità nuove, sono un’amica e il cameo di Mark Peranson, capo selezionatore di Locarno dove Hong ha vinto il Pardo con Right Now, Wrong Then, quando una stima diventa sincera amicizia e scambio. Scorrono parole e cene, ubriacature e insofferenze, mentre si aspetta un amore in (non) arrivo fra disegni sulla sabbia e sospiri sulle panchine, e al contempo si tenta di fuggire un invadente ammiratore. Poi, una passeggiata verso il mare, una panoramica, poi un’altra e lei che rimane sola per procedere, in qualche modo, verso il futuro. Un futuro post-abbandono, apocalisse di un amore impossibile, forse. Stacco.
Due. La stessa attrice torna in patria in preda alle proprie (non) consapevolezze del futuro professionale e sentimentale, nel vagabondaggio nei piccoli bar di periferia della “città più vivibile” della Corea vede i suoi amici invecchiati, come se il ritorno e i colori tenui fossero l’aridità di un desiderio ormai possibile. La dedica spensierata all’alcool rivelatore, le voci sul suo abbandono del marito, ancora il cibo, ancora il suo essere senza (più) un luogo nemmeno nel lusso di una suite, lo charme che emana, i fagioli da separare, l’inutilità e la stupidità dell’uomo “non qualificato per amare”, lavavetri sul terrazzo e detriti di infelicità che non possono che aprire ancora a un accovacciarsi verso il mare. Stacco.
La conclusione è solo uno schizzo abbozzato, è un sogno sulla spiaggia che parte dalla spiaggia, il film da farsi (o forse no), il regista a cui il tempo è sfuggito dalle mani bucate di rimpianti, un dialogo che mostra i punti di vista opposti e inconciliabili di un amore, un libro che si tuffa nella voragine dell’abbandono, e lei sempre lì, ad aspettare un’onda come una possibilità. Forse è un gesto ultimo d’amore, forse è una speranza, forse è un’epifania, o forse è semplicemente una sbronza, da sempre nel cinema di Hong il filtro magico per fare emergere la sincerità umana e le sue più intime speranze, tratto d’unione fra la sfera onirica e la coscienza.
In concorso alla Berlinale 2017, On the Beach at Night Alone è l’ennesima incursione di Hong Sang-soo nella sua cifra stilistica cinematografica fatta di rapporti umani e lievi scarti, di inquadrature fisse e colori caldi e freddi, di sigarette, birre e liquori, di tenerezza e di ironia agrodolce. Ma, questa volta, non sono i lievi scossoni nel rapporto di coppia, questa volta non è l’innamoramento. On the Beach at Night Alone arriva quando l’amore è già finito, ma ancora pulsa la sua illusione, ricordo e speranza di un qualcosa che probabilmente non esiste più, e che ormai si può solo sognare sotto i fumi dell’alcool, si può solo rielaborare stando da soli, in spiaggia, la notte. In attesa. È un film di minimi sospiri, rohmeriano e sognante, dialogato e autobiografico, tragico e spassoso. È una passeggiata metacinematografica che si addentra negli ultimi sconvolgimenti nella vita di Hong e della sua musa Kim Min-hee, e da quelli continua a declinare le ossessioni del regista per l’animo umano, per le depressioni, per la sostanza di cui sono fatti gli istanti, le decisioni, i bivi del cuore. L’atto d’amore, puro come un libro in regalo, eppure complesso come la disparità di un rapporto basato sulla bellezza più effimera, e quindi destinato a scomparire.
Il titolo è preso in prestito da una poesia di Walt Whitman e mai potrebbe essere più funzionale e amplificativo dell’esperienza, mentre la storia pare ripercorrere quasi autobiograficamente le ultime esperienze di vita dello stesso Hong, dalla fine del matrimonio al fidanzamento con la protagonista di questo film (la stessa di Right Now, Wrong Then – galeotto fu il set) e lo scandalo conseguente pronto a serpeggiare per la Corea (non solo) cinematografica.
La messa in scena è legata all’ambiguità prospettica di un amore, e la sua consapevolezza che appartiene a pochi, o forse a nessuno, come si dice a tavola, mangiando e bevendo. On the Beach at Night Alone è una spiaggia filmica dispersa di piccole tracce da seguire, come fossero conchiglie dal contenuto segreto, in cui tutto è provvisorio nel proprio fluire di desideri inespressi e di metafore appena accennate. Proprio per questo, nei dialoghi e nei gesti reiterati e frammentati, sono unicamente le sottili sfumature dai personaggi a costituire la messa in scena, a far evolvere una narrazione che vive sulla propria superficie. In una poetica di minimi cambiamenti d’espressione sui volti degli attori, di attese, di dialoghi sospesi e di zoom che instillano i dubbi, Hong Sang-soo percorre ancora una volta il sentiero del conoscersi nella propria provvisorietà, del riuscire a vivere la propria durata del sentimento come dell’emozione primigenia.
Il cinema, in tutto questo, non può essere altro che il doppio n/del doppio, l’impossibilita di fare film (per tutti gli ultimi protagonisti) è la stessa identica dell’amare, la creazione di un mondo esterno come può essere lo spazio dell’inquadratura e lo stesso tentativo di volerne uscire. Tutto rimane in potenza, fermo nell’atto stesso di essere stato raccontato. Scenderà la notte sulla spiaggia, ancora una volta, e ci sarà di nuovo qualcuno pronto a sdraiarsi sulla battigia, rimanere solo con i propri pensieri e con la propria ubriachezza, e senza rendersi conto del sopraggiungere dell’alba continuerà imperterrito a sognare. Come in quel flusso prezioso e sincero, lieve e sublime, apparentemente semplice eppure sempre innervato di stratificazioni che è ogni volta il (piccolo/grande) cinema di Hong Sang-soo.
Erik Negro, Marco Romagna