Classe ’73, Makoto Shinkai è uno dei più importanti autori nell’ambito del cinema d’animazione giapponese. Con il ritiro di Takahata e i mille ripensamenti di Miyazaki post-Si alza il vento, lo studio Ghibli è in un momento critico in cui i nuovi giovani registi (v. Il figlio di Miyazaki, Goro, che non ha ancora fatto un vero grande film) e gli autori internazionali (come Dudok De Wit con La tartaruga rossa) stanno prendendo piede con progetti rischiosi che non sempre hanno abbastanza successo di pubblico e di critica. Le serie TV anime continuano ad avere un successo enorme, sia a livello di visioni sia a livello di importanza sull’immaginario collettivo, venendo inglobate dai siti di servizio streaming che hanno sempre più importanza a livello distributivo; ma Shinkai riesce sempre ad avere un enorme successo al botteghino. Il motivo probabilmente è legato al fatto che il suo primo sforzo filmico celebre, 5cm per second, era perfettamente in bilico tra il mondo della TV e quello del cinema: era un film, sì, ma suddiviso in capitoli con i ritmi e la durata di episodi televisivi. Con questo film intenso e romantico, Shinkai ha fatto breccia nel cuore di un pubblico variegato, dagli amanti dei sentimentalismi agli hikikomori, dalla critica cinematografica agli otaku di tutto il mondo. Ma è stato l’ultimo Your Name. il vero film-evento nella sua filmografia: da una trama relativamente semplice e già vista e rivista, Shinkai è riuscito a produrre un lungometraggio di classe per grandi e piccoli, politico al punto giusto e con al suo centro una storia d’amore fantascientifica che ha raccolto attorno a sé una sequela di ammiratori soprattutto nel pubblico adolescente, tanto da portare il film a essere l’anime di maggior successo al box office giapponese di sempre. Insomma, un traguardo non da poco per un regista relativamente giovane, trovatosi a confrontare le proprie ossessioni con un appeal commerciale. Quando la Nexo Digital, in collaborazione con Dynit, Mymovies e il Lucca Comics & Games, ha notato il successo di Your Name. in sala, è stata presa la decisione non solo di riproiettarlo come evento speciale per un altro paio di giorni una settimana dopo la prima uscita (trattamento non riservato nemmeno agli ultimi capolavori di Takahata e Miyazaki), ma anche di proiettare il primo vero lungometraggio di Shinkai, il poco noto Oltre le nuvole, il luogo promessoci – titolo infelice e cacofonico la cui traduzione è probabilmente stata partorita dai figli e dai seguaci del team di Gualtiero Cannarsi, adattatore ormai legato inossidabilmente alla traduzione dei film giapponesi secondo una logica vecchia e pseudo-realistica – quando non infarcita di vere e proprie frasi insensate alla ricerca di una fedeltà assoluta e impossibile fra due lingue troppo differenti – che la maggior parte delle volte è risultata irritante.
Questa storia d’amore politica e ucronica svela già molte delle particolarità di Shinkai in maniera così sfacciata da mostrare esplicitamente le sue debolezze. È il suo lungometraggio d’esordio, eppure si nota già un’enorme ambizione, superiore probabilmente a quella di tutti i suoi film successivi eccetto Il giardino delle parole, la cui cura estetica rimane la cosa più bella della sua intera filmografia. Il problema di base di Oltre le nuvole consiste in una confusione di struttura che supera l’ingenuità da opera prima e anche gli ovvi problemi linguistici che bisogna tenere in considerazione con ogni adattamento curato da Cannarsi o da chiunque applichi le sue medesime scelte lessicologiche: Oltre le nuvole è un insieme di due film diversissimi. Da una parte c’è una distopia ucronica a metà tra le serie Fullmetal Alchimist e Evangelion, dall’altra un triangolo amoroso dalle vicissitudini pacchiane, prevedibili e melense. Shinkai prova disperatamente a coniugare insieme questi due mondi, ma raramente c’è una vera osmosi stilistica: la freddezza del mondo fantascientifico, scientificamente assurdo e pieno di retorica insensata («Tu vuoi scoprire che sogni fa Dio?»), raramente va d’accordo con l’estetizzante storia romantica mostrata paragonando la bellezza con l’amore e con la bellezza di immagini e simboli che poi sarebbero diventati riconoscibili e diffusi in tutti i suoi film. I lens flare a centro inquadratura di Your Name., il soffermarsi sui particolari del paesaggio urbano e naturalistico di 5cm per second, il surrealismo onirico di Viaggio verso Agartha sono solo alcuni esempi di scelte estetiche precedute da Oltre le nuvole ma poi meglio organizzate in sforzi successivi. La scelta poi di ambientare il film in un universo impossibile in cui mezzo Giappone è parte dell’URSS sicuramente rende l’operazione interessante perlomeno da un punto di vista politico, cosa rara nei film di Shinkai se non in sottofondo; ma tutto ciò viene soffocato dalla musica strappalacrime e dall’estetica leccata di un mondo-Giappone superficiale. Shinkai, insomma, sembra un po’ il John Green degli anime: pronto a sommergere in una poetica scialba le ossessioni romantiche di un cuore spezzato da un paese deludente, il regista costruisce immagini con un respiro di adolescenza eterna, rese stolte e apatiche da una ricerca estetica che priva il film di un vero nucleo emotivo, legandosi più al romanticismo dei drammoni sentimentali statunitensi che all’umanità di Ozu. Gli spazi non sono quadrati, spogli e dolci, ma ampissimi, massimalisti, fuori dal mondo. I dubbi sempre avuti su Shinkai, insomma, guardando questo primo film sicuramente immaturo ma già chiave per la comprensione della sua opera omnia, finiscono per essere completamente confermati.
E poi giunge un finale in cui l’inserimento della storia d’amore nel contesto fantascientifico sembra ottenere uno scopo completamente allegorico e retorico, un amore salvifico che sconfigge la guerra, il conflitto, i limiti scientifici di una storia sempre indecisa tra la favola cupa e la critica al Giappone dei fantasmi del capitalismo. Ma la crudeltà morale del film sta anche nell’evitare la problematica vera e propria del capitalismo, costruendo città, torri e spazi sublimi e trascendenti che rimangono come sottofondo al continuo monologo ampolloso dei tre protagonisti. Tra assoli di violino e voli in aerei steampunk sulla scia dei capolavori fantascientifici di Miyazaki, Oltre le nuvole non ha una vera e propria direzione e annaspa in un’indecisione tragica, atta perfettamente a descrivere l’assenza di verso di un intero genere, spaventosamente a metà tra la necessità di una distribuzione commerciale in un pubblico chiuso e antiquato e quella dell’importanza storica del procedere di un genere arduo da rivoluzionare. Chiaramente essendo il film d’esordio di Shinkai, le cui abilità tecniche sono indubbie nonostante in ogni suo film vi siano svariate discutibili scelte stilistiche ed estetiche/estetizzanti (con annesso ripetersi spesso poco sopportabile degli stessi stilemi), è impossibile non pensare di poter perdonare l’autore, che poi successivamente è riuscito comunque a comporre degli importanti tasselli del genere – nonostante il sentimentalismo pacchiano di ogni sua opera sia difficile da sottovalutare appunto da un punto di vista commerciale/distributivo. Oltre le nuvole più che un film brutto è un film ingenuo che coniuga due mondi che non dovrebbero essere connessi, più che altro perché uno dei due ha molte potenzialità nonostante la parziale banalità dell’operazione (i danni delle serie fantascientifiche giapponesi anni ’90 si fanno sentire) mentre l’altro è soltanto una prolissa rappresentazione di una tristezza amorosa, futile. Shinkai è figlio indipendente di troppi mondi etici ed estetici, ma il suo successo commerciale e di critica rende palese comunque la sua influenza sul panorama cinematografico contemporaneo. Ma a volte ci è davvero difficile capire perché.
Nicola Settis