IL GIOCO DELLE COPPIE (DOUBLES VIES/NON-FICTION) (2018), di Olivier Assayas

Basterebbe la scelta di girare in un resistente 35mm Kodak dalla grana viva e materica un film sulla rivoluzione digitale, oppure quella di traslare sulla letteratura i discorsi teorici e critici sul cinema fra la lettura/visione sugli schermi degli smartphone e il progressivo appiattimento qualitativo in nome delle ragioni del mercato. È l’editore Alain, uno dei tanti protagonisti di questo racconto corale e dialogatissimo, a dirlo già nella prima conversazione con lo scrittore Leonard: quello che conta nei libri non è tanto la parola, ma «ciò che va oltre i libri», le riflessioni che suscitano, i significati impliciti che si celano sotto l’esplicito dei significanti. Allo stesso modo, quello che conta in Non-Fiction, spiazzante quanto coerente ritorno alla regia di Olivier Assayas a due anni da Personal Shopper – con in mezzo la scrittura per e con Roman Polanski del buonissimo D’après une histoire vraie qui in Italia massacrato da un titolo per lo meno inspiegabile , è l’unico punto che in un’inarrestabile quanto spassosa marea di parole non viene esplicitamente verbalizzato. Nella sua ostentata e ininterrotta verbosità, fatta di «autobiografie romanzate» e di dispositivi elettronici, di tradimenti e di desideri, di invasività e di dematerializzazioni dell’arte, di sfiducia nella politica e di attacchi dal web, di mediocrità culturale e di pregiudizi, Non-Fiction è infatti una sorta di Giano Bifronte intertestuale e metaforico, che nel suo continuo conversare letterario parla di cinema travestendosi da cinema che parla di letteratura, o forse viceversa, perché la realtà non può esistere senza finzione, la finzione non può esistere senza realtà e, ancor più in generale, nessun percorso nel tema del doppio può essere di sola andata.
Sin dal suo titolo francese Doubles Vies, letteralmente le “Doppie vite” di quattro dei cinque protagonisti, il nuovo e straordinario lavoro di Assayas presentato in concorso a Venezia75 lavora di specchiature e di stratificazioni, di riferimenti e di frecciate, innestando (e quasi dissimulando) nei toni solo apparentemente leggeri e scanzonati di una commedia satirica antiborghese ambientata nel mondo dell’editoria, e nell’intreccio dialogatissimo di coppie che vicendevolmente si cornificano e si ritrovano, una delle opere più dense e complesse del cineasta e critico cinematografico transalpino. Fra realtà, finzione, attrici, serialità, doppiezze, dispositivi elettronici, citazioni edotte e il procedere inesorabile (o forse no) della digitalizzazione che dematerializza l’arte, Assayas si muove fra sottotesti e incastri, irresistibile ironia caustica e riferimenti interni a tutta la sua opera della quale nelle esplicite verbalizzazioni e negli eventi messi in scena questo film ricalca buona parte delle ossessioni, trovando una perfetta intertestualità fra cinema e letteratura, fra implicito ed esplicito, fra sesso per desiderio e rapporti umani, fra maschere e menzogne, fra editoria e politica, fra arte ed economia, mentre inesorabile procede una modernizzazione digitale che è al contempo trasformazione e distruzione, imbarbarimento e svilimento, ma in un qualche modo sarà anche poi passo indietro, pacificazione, impossibile che diventa possibile, «miracolo».

Perché alla base, come spesso in Assayas, è la realtà ciò che non può esistere in una società sempre più filtrata dalla rete e dagli schermi, dalla quotidiana menzogna e dagli istinti, dall’immaterialità che circonda la carne e dal digitale che porta informazioni e trasforma i corpi come la pellicola in pixel (o i libri nelle sequenze numeriche di un documento di testo), e solo una sorta di nuova e laica Immacolata Concezione fra geni dati per sterili o per lo meno incompatibili in una vita sessuale tutto fuorché frenetica potrà chiudere il cerchio con una nuova fisicità ancora inafferrabile, grande solo pochi millimetri e ben protetta dal caldo di un ventre. «Tutto deve cambiare perché tutto resti come prima», diceva Tomasi di Lampedusa nel finale del “Gattopardo”, e allo stesso modo tutto deve (non) cambiare perché i protagonisti di Non-Fiction possano trovare il loro nuovo equilibrio o per lo meno una nuova consapevolezza. Fosse anche l’impossibilità di mantenere una promessa, come per Leonard che non può fare a meno di scrivere partendo dalla propria vita e trasformando le proprie donne e i loro corpi in libri, e non ha altra strada che il silenzio per tentare pietosamente di dissimulare il tradimento della fiducia, ben più grave di qualsiasi infedeltà fisica. Del resto l’arte, che sia questa narrazione o cinema, specialmente in tempi di moltiplicazione digitale e internautica di produzione di fruizione, è spesso un «violare» gli altri con i propri ricordi, e le «autobiografie romanzate» di Leonard, una volta accettate dagli editori e pubblicate, non possono che finire per stabilire un valore anche commerciale alle vite altrui, quelle da cui trae i personaggi dei suoi romanzi. Finendo magari sotto la gogna mediatica del web, la più spietata, la più crudele, la più cieca. La più diretta.
Fatti di un intrecciarsi di coppie amorose o lavorative che si fanno e si disfano nei tradimenti, nelle collaborazioni, negli abbandoni, nei desideri, negli avvicinamenti, nei cambiamenti (della società, della tecnologia, dell’editoria, delle necessità economiche, degli equilibri di convenienza), i rapporti umani del multiforme Non-Fiction sono a volte filtrati da un cellulare, e sempre e necessariamente mediati da maschere e menzogne. Quelle che, probabilmente, la società e il potere comunicativo ai tempi della digitalizzazione non possono fare a meno di portare in dote. Ci sono Alain (Guillaume Canet) e Leonard (Vincent Macaigne) editore e scrittore, ci sono Alain e Selena (una splendida Juliette Binoche) marito e moglie, e ufficialmente sposati ci sono anche Leonard e Valérie (Nora Hamzawi). Ma ci sono pure Alain e Laure (la raggiante Christa Théret), giovane e bionda collaboratrice nel passaggio della casa editrice alle indigeste (ma al contempo seducenti così come per il cinema sono seducenti i costi ridotti del video) versioni digitali, a sua volta traditrice – di certo nelle doppiezze e nelle attrazioni così care ad Assayas non poteva mancare la bisessualità – della propria donna, e parimenti adulterini ci sono Leonard e Selena nei loro sei anni di relazione e negli interi libri dedicati alle loro performance sessuali senza che il marito editore si rendesse conto che la donna ritratta con tale sconfinato erotismo era proprio sua moglie, la stessa che ora spinge perché il nuovo libro di Leonard venga pubblicato nonostante i forti dubbi del marito. Mentre Selena, attrice in serie televisive di per lo meno dubbio valore, è anche una delle chiavi della metafora intertestuale fra letteratura e cinema, con il suo essere giunta al successo solo abbassando il livello e passando alla serialità, al piccolo schermo, alla ripetitività di schemi collaudati puntata dopo puntata e stagione dopo stagione adagiandosi sui gusti piatti del pubblico. Mentre la critica, della quale il critico Assayas amaramente rivela la progressiva inutilità in un mondo sempre più superficiale e ormai fatto di profili di utenti a cui vendere direttamente e senza intermediazioni sulla base di un algoritmo in grado di capire i gusti del target e proporgli tramite annunci pubblicitari ciò che probabilmente gli piacerà, applaude anche (e a volte soprattutto) alla peggior televisione.

Il personaggio dello scrittore è l’unico che, pur nell’impossibilità di una reale evoluzione, affronta un vero e proprio percorso, iniziato con il nuovo libro rifiutato da Alain, proseguito con l’inaspettato abbandono da parte di Selena e concluso qualche anno dopo con la gravidanza di una moglie ritrovata iniziando a giocare a carte scoperte, allontanando almeno parte dell’ipocrisia per confessarle apertamente l’adulterio, mentre di quel libro, alla fine pubblicato sotto le intercessioni della donna-oggetto Selena, iniziano ad arrivare le royalties. Del digitale come del cartaceo, in attesa dell’audiolibro (simbolo del decadimento completo, di molto al di là dei blog e della cultura regalata da Google per vendere i dati relativi agli utenti), che i protagonisti, di fronte a Juliette Binoche, auspicano possa essere «letto da Juliette Binoche». Perché ovviamente, nella sua sagace ironia e nelle sue forme di pura commedia dialogica, Non-Fiction è anche un divertissement, con cui Assayas ha riversato su carta e poi su schermo tutto il suo umorismo. Ma sarebbe profondamente ingiusto considerarlo solo questo, perché anche nei momenti più spassosi e sardonici c’è sempre carne al fuoco, c’è sempre un discorso in atto, c’è sempre qualcosa da dire. A partire dalle performance sessuali raccontate da Leonard nel suo libro, con una lussuriosa sessione di sesso orale praticatagli da Selena a cavallo fra Star Wars episodio 7 e Il nastro bianco di Haneke, regista apertamente detestato dal critico Assayas che non perde l’occasione di metterne in ridicolo una delle opere più note e rigorose prima trasformandola nel titolo scelto da Leonard per darsi un tono radical chic con l’unica modifica rispetto alla realtà autobiografica, e poi, con una graffiante e irresistibile battuta durante l’intervista radiofonica allo scrittore, facendo notare che il celebre e letterario pompino narrato con dovizia di particolari in una delle pagine più scabrose e contestate (da quasi chiunque tranne che dall’autrice della fellatio) si sarebbe consumato «guardando un film sull’ascesa del nazismo». Così come fa ridere, ma non perde per questo nemmeno un briciolo di densità o di serietà, la parte in cui Valérie, unica costante nella sua capacità di organizzazione e di controllarsi, di capire le necessità implicite e di mantenere i necessari segreti sul lavoro di Leonard (non certo a caso è la principale assistente di un importante politico, per lo meno fino a quando questo non si farà beccare a puttane finendo per legittimare quel sentimento popolare che, per pregiudizio, non si fida più a prescindere di chi detiene i poteri legislativi ed esecutivi), raccoglie dal tavolo su cui sono in carica i suoi innumerevoli cellulari e tablet, strumenti di lavoro e di intromissione, di libertà e di controllo, di menzogna e di desiderio, un po’ come a continuare i discorsi impostati dall’ultimo Assayas prima con l’incostante Sils Maria e poi, molto meglio, con il folgorante Personal Shopper.
Il tweet viene paragonato a un haiku moderno, i blog superano di gran lunga i lettori paganti di un libro, e l’editoria, per quanto scettica, è perfettamente conscia di avere bisogno del tanto demonizzato digitale per sopravvivere perché «i tempi sono cambiati». Frattanto, in ogni tempo è anche in questi di crisi, la borghesia continua a guardarsi allo specchio fra un brindisi e un sms, e ad andare avanti nei suoi continui discorsi e nella loro ripetitività fra l'(auto)assoluzione per un tradimento che implica in un certo senso vicinanza per paura di perdere il partner ufficiale e le idee (ovvero digitale da ritrasformare in materia) in cui credere anche contro ogni prova contraria, fra la necessità di costruire un’immagine con la quale vincere e le citazioni post-coito del bergmaniano Luci d’inverno con cui riflettere sulla solitudine e sul sogno. Si parla, nei salotti e nei bar, di fake news come costruzioni ad hoc di realtà non vere per plasmare e indirizzare le coscienze seguendo un processo al contempo uguale e opposto rispetto a quello della finzione, si parla del disprezzo dei cittadini nei confronti della politica e della sfiducia nei confronti della comunicazione, si parla di leggi economiche e di generi letterari, si parla di riflessioni e di algoritmi, si parla di analogico e di dematerializzato, si parla di sdoppiato e di riflesso, e si parla della progressiva mancanza di competenze in una società che sempre più glorifica se stessa e la propria mediocrità. Quella società di Amazon e Wikipedia nella quale brillano il pregiudizio e il pressapochismo, quella società alla quale non interessa più riflettere e capire, ma semplicemente fruire e dire la propria, quasi autocompiacendosi di come la propria percezione e la propria centralità di (pre)giudizi non coincida più con la realtà, o peggio ancora non rendendosi nemmeno conto di far parte di quella stessa umanità protesa verso il viale del tramonto culturale, ma per lo meno mai privata della speranza di potersi rinnovare in un nuovo miracolo generazionale: l’unico scampo è sempre e solo il ritorno al corpo, croce e delizia, seduzione e ricatto, passione e mancanza, cambiamento e fisicità, passato e futuro. Ma soprattutto, fra le righe dei lunghi e straordinariamente interessanti dialoghi, si parla di cinema, di linguaggio, di costruzione di una storia e di un messaggio fra vero e falso, fra materico e fantasmatico, fra seduzione e doppiezza. Ovvero le tematiche che Assayas ha affrontato in maniera più o meno implicita nel corso di un’intera carriera, e che qui vengono esplicitate nei dialoghi mentre al di sotto, «oltre i libri», Non-Fiction trova nelle sue ambizioni teoriche i suoi sensi ancor più profondi e i suoi assunti ancor più acuti. Dimostrando ancora una volta come Olivier Assayas, con la sua scrittura perfettamente calibrata nelle tematiche, con il suo apparente caos in realtà perfettamente controllato e con la sua indiscutibile capacità di dirigere gli attori, sia uno degli autori più interessanti e preziosi della contemporaneità, fine studioso di cinema e grande umanista, cineasta e sceneggiatore denso e stratificato anche nella levità multiforme e necessariamente iperverbalizzata della commedia corale. Ma soprattutto persona profondamente intelligente. E le persone profondamente intelligenti non bastano mai.

Marco Romagna

Roma, 05 dicembre 2018
Si comunica che il film “IL GIOCO DELLE COPPIE” di Olivier Assayas
distribuito da I Wonder Pictures Distribuzione,
è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI.
Motivazione:
Acuto narratore della contemporaneità, stavolta Assayas ci porta con la sua brillante scrittura dentro un confronto serrato tra analogico e digitale, realtà e finzione, vita e letteratura, in una giostra, apparentemente leggera e scanzonata, dove anche tradimenti e segreti rappresentano un segnale evidente di questi tempi controversi.
(uscita 3 gennaio 2019)