NOCTURAMA (2016), di Bertrand Bonello
For what is a man, what has he got?
If not himself, then he has naught.
To say the things he truly feels;
And not the words of one who kneels.
The record shows I took the blows –
And did it my way!
Yes, it was my way.Paul Anka, My Way, portata al successo da Frank Sinatra
Se Nocturama fosse uscito quando è stato ideato e concepito, fra il 2010 e il 2011, sarebbe stato un film tragicamente profetico. Arrivare solo adesso, dopo che Charlie Hebdo, il Bataclan e l’ancor più recente attacco a Nizza hanno, forse per sempre, cambiato la Francia e fatto riflettere il mondo sul momento in cui il terrorismo viene dall’interno, cresciuto in casa come un germe seminale, rende invece l’ultimo parto artistico di Bertrand Bonello un film maledetto, controverso, prima rifiutato da quella Cannes dove il cineasta è normalmente di casa per motivi prettamente politici, poi assente anche a Venezia, e portato in Italia solo adesso, dopo la premiére di Toronto e l’uscita (sporadica) nelle sale francesi, all’undicesima Festa del Cinema di Roma. Il motivo di tale ostracismo è facile da intuire: Nocturama mette in scena quattro attentati simultanei nel cuore di Parigi, orditi da un gruppo di giovani attentatori capace di rappresentare – dal borghese al più umile, passando per chi ha vicine origini nel nord dell’Africa – tutte le anime della Francia di oggi. Ma non è un film sul terrorismo, quello di Bonello, il cui scopo è piuttosto quello di portare sullo schermo la noia e il nichilismo della giovane Francia, quella nel fiore dei vent’anni e senza reali sbocchi futuri, quella che disprezza il capitalismo ma si bea dell’abito firmato, dei trucchi o della vasca da bagno di lusso, quella generazione figlia della stessa borghesia che vorrebbe combattere più per l’impossibilità di farne davvero parte che per reali spinte politiche. Gli attentati colpiscono i simboli, che siano il potere economico o quello politico – gli uffici di un Ministero, alcune auto in strada, gli uffici, una banca – fino a uno dei simulacri della stessa identità storica e culturale della Francia – la statua di Giovanna d’Arco, le cui lacrime e poi le fiamme hanno creato tanti pruriti al Front Nacional. Ma i protagonisti non parlano mai direttamente di politica, né di società dei consumi: l’importante è agire, fare qualcosa, dare un segno, creare un taglio netto con la civiltà. Nessuno si salva dalla spirale di freddezza, narcisismo e disumana solitudine che intrappola i protagonisti, né gli attentatori, rigorosamente giovani e francesi, mossi dalla necessità di colpire il capitalismo ma al contempo profondamente attratti dai suoi simboli e dalle sue derive, né tanto meno lo Stato, le cui teste di cuoio entrano e uccidono anche chi si sta arrendendo, trattando gli esseri umani alla stregua di un mucchietto di polvere da nascondere sotto il tappeto. Per riflettere su questi punti, Bonello mette in scena un dramma perfettamente suddiviso in due atti – l’attacco e la macchia –, nei quali il pubblico non può che parteggiare – e soffrire – insieme agli attentatori, ritrovandosi nella loro gioventù, nelle loro sottovalutazioni dei gesti, nel loro male di vivere, nella loro esuberanza e nella loro tragedia intestina e sociale mentre vedono sugli schermi giganti in esposizione come il loro nascondiglio sia stato individuato.
Sin dall’apertura – folgorante – in medias res, con i protagonisti già impegnati nell’attuazione del piano bombarolo che si incontrano per strada fingendo di non conoscersi mentre giungono alle proprie posizioni predefinite, Bonello costruisce Nocturama sui frammenti, per arrivare a ritroso attraverso una serie di flashback a mostrare il momento della pianificazione e la sostanziale mancanza di motivazioni. Certo, gli obiettivi scelti denotano una presa di posizione anti-capitalista, ma la scelta di non esplicitarla, lasciando piuttosto spazio al senso ancestrale di vuoto interiore che i giovani protagonisti vivono quotidianamente, è la via che Bonello decide di percorrere per tracciare la propria metafora di un consumismo divenuto ormai simulacro, feticismo non tanto per gli oggetti in sé, ma per il simbolo di opulenza e felicità che gli stessi oggetti rappresentano, e la cui mancanza porta al più nero nichilismo. Nocturama in questo senso, ben più dello split screen che mostra il fuoco contemporaneo nei quattro punti di Parigi, è il vagare per i corridoi del grande magazzino indossando una maschera senza lineamenti, rinunciando ai propri vestiti casual per mettersi indosso l’eleganza firmata, piazzando le ultime cariche di esplosivo plastico per poi rendersi conto di non avere più detonatori: è il fallimento di una generazione che, nell’impossibilità di emergere, esplicita nella violenza e nel narcisismo più infantile, ma armato, il proprio bisogno di farsi notare. “Sono uno schianto, sono proprio io”, dice uno dei ragazzi agghindato con una ricca vestaglia e con il rossetto, prima di accoppiarsi selvaggiamente con un provocante manichino. Ma è proprio in questo utilizzo nel nichilismo, sfruttato da Bonello più che realmente penetrato in profondità, che il film trova anche i suoi maggiori limiti, in bilico fra la potenza della metafora e di più d’una sequenza e la mancanza di una vera e propria consapevolezza politica da parte dei suoi protagonisti, né – parrebbe – dell’autore che li ha messi in scena. La composizione trasversale e generazionale degli attentatori, portata sullo schermo in questo modo e in questo momento, in cui le ferite in Francia sanguinano ancora e la situazione è bollente, sembra in questo senso un po’ troppo attenta a non prendere posizioni, risultando in sostanza asettica, fredda, pretestuosa – in una parola: furbetta. Bonello avrebbe forse dovuto, alla luce di quel che è successo nel 2015, rimettere mano al film, scegliere un punto di vista, portare avanti un’opinione fino in fondo, quale che fosse, senza rifugiarsi sotto la coperta del “tanto fa tutto schifo e non ci sono più valori”. Non lo ha fatto, ed è questa la nostra principale perplessità riguardo Nocturama, al quale non avremmo per il resto alcun problema a lasciar correre le piccole mancanze di sceneggiatura – la questione dell’hotel prenotato e poi abbandonato, il complice rimasto fuori che appare solo nel sogno di un manichino che prende vita e fattezze dell’amico, oppure come le autorità abbiano fatto a individuare il nascondiglio degli attentatori –, perché la tenuta narrativa è nonostante tutto ai limiti dell’inattaccabile, con le due ore e un quarto che letteralmente volano nello scorrere dei due atti della tragedia, e di sicuro non manca un nobile apporto umano nel comprendere e nel porsi dalla parte dei ragazzi di fronte al più tragico errore della loro vita.
Nocturama, fra nichilismo giovanile, flashback che tornano allo stesso momento cambiando punto di vista e il gigantesco centro commerciale di lusso dove nascondersi nella seconda parte, cedendo per l’ultima volta alle lusinghe di quel consumismo che si dice di voler combattere per poi trovare dentro la sua cristallizzazione l'(inevitabile) epilogo, è il Gus Van Sant di Elephant che incontra il Romero di Zombi, fra musiche di stampo carpenteriano e attacchi distruttivi ai simboli che quasi ricordano il Ferreri di Dillinger è morto mentre la steadycam vola per i corridoi fra i negozi. Metafora politica e sociale di una solitudine annoiata che viene declinata fra un playback disperato di My way e i racconti di bambini che continuavano a sminare quei campi che ormai perfino gli asini si rifiutavano di calcare, il film di Bonello mette in scena un gruppo eterogeneo di protagonisti che, perfettamente organizzati e sincronizzati, compiono gli attentati forse senza nemmeno sapere il perché di un simile gesto, ma poi, nel supermercato, torneranno alla propria adolescenza nei giochi che il centro commerciale/“paese dei balocchi” fornisce – riportando alla mente le sortite nelle case vip in Bling Ring di Sofia Coppola – e nel chiedersi come giustificare ai genitori la notte fuori casa. Nella loro testa, gli attentati sono una piccola follia giovanile, sono una marachella, sono un qualcosa che, come dirà Adèle Haenel nel piccolo cameo che le viene riservato, era nell’aria e che si rende semplicemente necessario, e dopo i quali la Francia non sarà più la stessa. Sono giovanissimi, ed è per ingenuità e narcisismo che decidono di dare un taglio netto alla civiltà piazzando le bombe e uccidendo a sangue freddo, senza rimpianti, chiunque si trovi sulla loro strada. Gli attentati non hanno una vera e propria matrice, non sono né dichiaratamente politici né religiosi, sono un semplice atto di follia non tanto dei giovani che materialmente li progettano e compiono, quanto di una società ormai incapace di dare reale rifugio e certezze ai propri cittadini, con un’intera generazione costretta ad arrivare al gesto estremo, omicida e distruttivo, per far sentire in qualche modo il proprio grido di rabbia. I protagonisti sono un gruppo di ragazzi, ma sono soli, ognuno con il suo compito ben definito negli attentati e pronto a lasciare indietro qualsiasi compagno colpito, ognuno con le proprie frustrazioni e con la propria noia, ognuno con il proprio autocompiacimento e con le proprie contraddizioni, fra un abito di lusso e un ombretto nuovo, fra una corsa in kart per i corridoi del centro commerciale e un anello da mettere al dito dell’amata come ultima promessa subito prima della ormai sicura morte. Non è certo un caso che i ragazzi in fuga dalla civiltà si rifugino proprio in un grande magazzino – dove la civiltà e il consumismo sono all’apice del potere – per ritrovarsi a giocare a “fare i ricchi” indossando vestiti firmati e gioielli, e ascoltando le ultime hit pop con l’impianto più potente al mondo senza nemmeno rendersi conto di quanto sia ambigua la loro scelta del “covo”. I protagonisti si sentono potenti, si sentono eroici, ritengono il loro gesto estremo una presa di posizione popolare, un atto di bontà che è invece l’apice della loro ὕβϱις, e che culminerà nel dare ospitalità nel ricco banchetto “offerto” dai negozi chiusi durante la notte a una coppia di barboni incontrata per strada – poter concedere il rifugio e un pasto caldo, per una volta tanto, sentendosi alla stregua di un semidio misericordioso. Nocturama è un film volutamente controverso, tragico, dal quale emergono ancora una volta i pregi – di messa in scena, di umanità e di organizzazione della narrazione – e i difetti – la mancanza di una vera e propria idea politica da portare avanti a testa alta, l’equilibrio forzato – di Bonello. È un film senza dubbio interessante, da vedere e su cui rimuginare a lungo, nei suoi barlumi di potenza e nelle sue piccole cadute. Un film che, quale che sia l’opinione e nella necessità di equilibrio per valutarlo fra entusiasmi e riserve, rimane a lungo in fondo agli occhi, nella testa e nel cuore. E questo, nei pochi alti e molti bassi del cinema francese contemporaneo, non è certo un merito da poco.
Marco Romagna