7 Agosto 2022 - e

NAÇAO VALENTE (TOMMY GUNS) (2022)
di Carlos Conceição

Negli occhi azzurri di un giovane soldato che scruta, intimorito e affascinato, il paesaggio angolano, in una sorta d’immagine-madre che si imprime indelebile nella memoria, risiedono gli elementi fondativi di Naçao Valente di Carlos Conceição, in concorso al 75° Locarno Film Festival: il miscuglio di fascino e senso di colpa cristiano, di sguardo interno e sguardo coloniale, che corrisponde, sul piano della biografia dell’autore, alla sua doppia nazionalità, o al mancato riconoscimento di averne una, diviso com’è tra l’Angola dove è nato e cresciuto, e il Portogallo dove si è trasferito per studiare cinema. Questa contraddizione, già alla base tre anni fa del suo esordio Serpentàrio, ritorna con forza in un’altra scena nella prima mezz’ora del film (che funge da sorta di prologo “staccato” dal resto), quando lo stesso soldato incontra nella foresta una ragazza indigena con cui intrattiene un rapporto amoroso. Una volta finito, si inginocchia e si mette a pregare, per poi alzarsi e spararle senza apparente motivo. Serpeggia da subito un sottotesto religioso, che nella scena è simboleggiato da un simulacro, un medaglione della “Nostra Signora della Concezione” regalato da una suora alla giovane, che il soldato ingoia immediatamente dopo l’omicidio, come in un gesto ritualistico, esoterico, cannibale: una cultura che ne mangia, ne possiede un’altra, in un atto morboso che ha dell’illogico. E difatti la cultura indigena, libera da ogni religione dogmatica e monoteista, si scontra con la cultura retrograda e conservatrice del soldato portoghese e della sua ideologia. Nella prima parte del film, Conceição mette in scena una sorta di peccato originale del colonialismo portoghese in Angola, chiamando il cinema a sciogliere un nodo irrisolto del passato senza l’uso della cronaca o del documentarismo, ma servendosi al contrario di un’immagine mitica, trattando la Storia come un ricordo o un sogno: così quell’amplesso seguito da un omicidio, quel momento intenso in cui si incontrano Eros e Thanatos all’insegna di un mistero tra il politico e lo spiritico, diventa anch’essa un simulacro, un’immagine insanguinata del sangue dei vincitori e dei vinti, dei colonizzatori e dei colonizzati. Nel mito e nel passato affonda il senso di colpa cristiano, riscattabile soltanto con un atto scardinante nel presente, in uno stacco di montaggio quasi invisibile che fa da punto d’accesso per avverare la dialettica personale e storica dell’autore. Le gambe del soldato diventano le gambe del colonnello, e il soldato in fuga si trasforma in un carceriere del tempo e di un gruppo di giovanissimi soldati – che dopo questo prologo diventano gli effettivi protagonisti di questa ambiziosa ‘ghost story’ sospesa tra registri diversi.

Il tempo in Naçao Valente viene sfalsato: partendo con una didascalia iniziale che connota la storia nel 1974, anno precedente l’indipendenza dell’Angola dalla dittatura militare di Salazar nonché anno della caduta dell’Estado Novo, il regista sbalza lo spettatore tramite un movimento di macchina continuato che mima l’ininterrotto e ciclico flusso della Storia concepito nel film, da un passato precisato a un presente (o un passato recente?) ambiguo ed extra-temporale, che invera, illumina e contestualizza l’altro. C’è da chiedersi allora di che presente parli Naçao Valente: il verso dell’inno portoghese, patriottico e nazionalista, a cui si ispira il titolo, potrebbe indicare qualsiasi nazione, qualsiasi nazionalismo, qualsiasi deriva tirannica e fascista. La Naçao Valente (“nazione valorosa”) è sì il Portogallo, ma parla di una condizione contemporanea fin troppo vera, e che solo grazie ai riverberi e alla lezione del passato può rivelarsi: ecco la metafisica del fascismo che Conceição, con successo, tenta di far vedere nel territorio senza tempo di una casa di campagna, trasformata in caserma militare. Qui ogni soldato è convinto di combattere contro un nemico invisibile in una guerriglia illusoria e permanente, dove ogni corpo è disciplinato all’obbedienza e all’ossequio verso l’autorità, similmente ai braccianti di Lazzaro felice di Alice Rohrwacher intrappolati inconsapevolmente nella contemporaneità in condizioni di lavoro servili, o al mondo sospeso del Village di Shyamalan dove la paura del mondo reale ha il potere di segregare, emarginare le genti tenute nell’oscurità e nell’ignoranza. In questo la regia e la scrittura di Conceição sono davvero brillanti: alternando un registro autoriale a uno ‘thriller’, la macchina da presa fissa e contemplativa a movimenti a seguire o a precedere, rivelando un pezzo alla volta un mondo tutto da scoprire. Passo dopo passo e minuto dopo minuto, lo spettatore è coinvolto in un incubo misterioso che progressivamente si apre sempre più, svelando l’uno dopo l’altro meccanismi e trovate. Si pensi solo, tra le varie idee, alla geniale soluzione secondo la quale, tra i soldati, uno solo (di nome Zé) è il vero protagonista, l’unico davvero caratterizzato psicologicamente, ma in ogni scena Conceição decide di usare un soldato diverso (o più di uno) per i piani di reazione, presentandoli uno dopo l’altro in un modo che sembra intimo, solo tramite le loro espressioni facciali, aprendo il film all’umanità che contiene piuttosto che ai simboli allegorici che ne fanno da calligrafia.

Per Zé e per i suoi compagni di camerata il tempo si è cristallizzato. Come nella dimensione mitica, sono personaggi-archetipo congelati in movimenti stilizzati e cadaverici. Sono ossessionati dal ritornello di un sogno d’amore (il Liebestraum, Notturno No. 3 di Franz Liszt, eseguito dal regista stesso), che proietta nei ricordi falsati del manipolo di soldati una vaga immagine materna – che loro incontrano in un grosso quadro di Brigitte Bardot, sbucato da un buco sott’acqua del muro che divide il mondo esterno dal mondo della finta guerra, il nemico che è fuori dal nemico che è dentro. Non a caso la donna grazie a cui Zé e compagni troveranno una sorta di prigionia sarà il suo opposto, una donna bruna, una prostituta, Apolónia: ultimo archetipo femminile, dopo la suora e la vergine, che scandisce il racconto. Dopo la Santa, la Puttana; che tuttavia mette in crisi la chiarezza di questa dicotomia stereotipata, immagine chiara e idiota nella testa dei soldati maschi alienati dal sesso e dal mondo. Il suo spogliarello, scandito dalle note degli Aphrodite’s Child, è una cascata di erotismo che i soldati ricevono senza sbattere ciglio, e senza sapere che cosa sia. Zé, quando si trova a fare l’amore con lei, non sa cosa fare perché non è stato educato alla sessualità, e si attacca ai suoi capezzoli come cercando un placebo per l’assenza della madre: è solo un neonato nel corpo di un guerriero micidiale. Ma la liberazione, pure dalle forme di racconto tradizionali, avviene anche in un altro modo, in un lavoro di decostruzione interno al genere cinematografico/letterario.
Conceição trova un punto d’ingresso poco esplorato per mostrare (e narrare in metafora, in linguaggio cinematografico) la sua personale elaborazione della storiografia post-coloniale: lo zombie-movie. Qui, tuttavia, non sono mostri cannibali che perseguitano i protagonisti, ma zombie/fantasma dei rivoluzionari ammazzati durante la guerra coloniale che reclamano giustizia, pedine dagli occhi glaciali che si fanno portatrici di una verità. Capitanati dall’anziano Prata (che i soldati e il colonnello ammazzano mentre cerca di fuggire dalla casa all’inizio della storia), i rivoluzionari angolani ritornano in vita per affermare che ogni guerra finisce e che un’altra ne inizia; che usciti dal muro, dall’isolamento, è necessario portarsi dietro il peso del passato e le sue conseguenze, le sue tracce sul presente, guardare negli occhi i carnefici. La Storia ritorna, il tempo si riavvolge, ma qualcosa può spezzare le catene di violenza e colpa. «Il più distrutto destino è libertà», avrebbe detto Franco Fortini. In qualche modo è il messaggio che la prostituta trasmette a Zé consegnandogli il medaglione appartenuto un tempo a Tchissola e poi al colonello, ed è anche il messaggio più strettamente politico che Conceição lascia con Naçao Valente, con i versi di Como um sonho acordado di uno dei più grandi cantautori portoghesi, Fausto. «Tenho medo ó medo / leva tudo è tudo teu / mas deixa-me ir» (“ho paura, oh paura / prendi tutto, è tutto tuo / ma lasciami andare”).

Luca Mannella, Nicola Settis

“Nação Valente” (2022)
120 min | N/A | Portugal / France / Angola
Regista Carlos Conceição
Sceneggiatori Carlos Conceição
Attori principali João Arrais, Anabela Moreira, Gustavo Sumpta
IMDb Rating N/A

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