Faccio una doverosa premessa: lo scritto che seguirà conterrà molto (forse troppo) della mia vita e non sarà in alcun modo una recensione del nuovo film di Wang Bing. In questo momento, nello stato emotivo nel quale mi trovo, non potrei mai avere la lucidità necessaria per approcciarmi in maniera critica o analitica a un film del genere, ma probabilmente proprio per questo sono io, all’interno della redazione, la persona più indicata per scrivere a cuore aperto di Mrs Fang, per interiorizzarlo, per personalizzarlo. Per lasciarmi dilaniare senza opporre resistenze, soffrendo fino in fondo tutto il suo dolore di una sincerità quasi insostenibile, sovrapponendo le immagini di Wang Bing a quelle del mio passato e del mio presente, sentendomi in colpa per il solo fatto di essere qui. Altra premessa è che sono partito per Locarno con un nonno, l’unico che mi sia rimasto, in costante aggravamento su un letto d’ospedale. Sono sempre (stato), senza fare nulla per meritarmelo, la sua gioia per quasi trent’anni, sono sempre stato una luce diversa nei suoi occhi ogni volta che mi ha visto e riconosciuto. E sono partito per due settimane, amaramente conscio che il saluto e il bacio che gli ho dato lunedì, probabilmente senza che nemmeno se ne rendesse conto nel suo sostanziale coma, potrebbero essere gli ultimi. Non so se farò in tempo a rivederlo vivo, lo spero, ma ogni giorno potrebbe essere quello buono, quello della fine della sua agonia, e le notizie che mi arrivano da Genova, da mia madre figlia unica, parlano di estreme unzioni e di vestiti già dolorosamente scelti e preparati. Dopo una cardiopatia più che ventennale e un crollo psicofisico che negli ultimi due anni lo ha progressivamente consumato fra paralisi, Alzheimer, Parkinson e mille altri guai, siamo stati costretti a farlo ricoverare per una polmonite che con ogni probabilità sarà il suo colpo di grazia. Nel suo ultimo momento di lucidità, risalente ormai a quasi un mese fa, ha detto chiaro e tondo “Voglio andare via”, e questa volta, parrebbe, lo sta facendo per davvero. È a lui, al nonno Annibale, che voglio dedicare questo sfogo, questo flusso di coscienza, questa confessione post-visione scritta proprio con il suo computer che ancora – e per sempre – ha una foto della nonna come sfondo del desktop. Non so esattamente, tutt’al più, perché io la stia affidando a una rivista regolarmente registrata, da me fondata ma sulla quale, in condizioni normali, mai scriverei qualcosa di così personale e del resto quasi mai scrivo in prima persona, ma forse è giusto così, perché guardare con distacco e obiettività a Mrs Fang vorrebbe dire limitarlo, vederlo e magari capirlo molto meglio di quanto io non possa fare in questo momento, ma non viverlo con la stessa intensità.
Non so se, guardandolo proprio in questi giorni, ho davvero visto Mrs Fang. Certo, per il nuovo lavoro di Wang Bing in concorso a Locarno sono corso in sala alla prima proiezione disponibile, mi sono messo pazientemente in coda per entrare, ho preso posto nella “mia” consueta prima fila laterale, e mai, se non per asciugarmi di quando in quando le continue e copiose lacrime, ho chiuso gli occhi o distolto lo sguardo dallo schermo. Ma, nonostante questo, non sono sicuro di averlo visto. Non so (più) dove finisse il film di Wang Bing e iniziasse il mio, non so più se il volto contrito e sofferente davanti ai miei occhi fosse quello di Mrs Fang o quello del mio amato nonno, non so più dove finissero la mani e l’amore dei parenti dell’anziana cinese e dove iniziassero le mie mani, quelle dei miei genitori, quelle della zia di straordinaria bontà che ormai da tempo, da quando non c’è più la nonna, si prende cura del fratello. La mia è stata una visione personalissima e straziata, che agli ultimi giorni di vita di Mrs Fang non ha potuto che sovrapporre gli ultimi giorni di vita, proprio questi, che il nonno sta passando mentre io sono lontano, colpevole d’assenza, sporco. È stata una visione di rimpianti, di cose che avrei voluto dire e fare e che non ho mai detto e fatto, senza rendermi conto che nel frattempo la clessidra della vita girava, e che da un giorno all’altro sarebbe stato troppo tardi. Ed è stata una visione di tenerezza, con il ritorno della mia mente alla viva gioia di quel giorno alle elementari quando a sorpresa si presentò proprio il nonno a prendermi, ai miei giochi spensierati da bambino nel corridoio dei nonni, ai pranzi a casa loro d’ordinanza fino agli anni del liceo, e soprattutto a quella vecchia foto, da sempre incorniciata in cucina, nella quale siamo tutti e tre felici in quel teatrino di marionette con il quale tanto mi divertivo. La mia è una visione forse sbagliata del film di Wang Bing, forse poco professionale, ma è il modo in cui proprio in questi giorni, sempre con il telefono acceso in attesa del temuto sms per il quale dovrei tornare immediatamente a Genova, non ho potuto fare a meno di guardare Mrs Fang. Mi ha tirato fuori tutte le lacrime represse in oltre due anni di “facciamoci forza” e di accettazione tutto sommato serena dei percorsi della vita, mi ha emotivamente annichilito, annientato, devastato, parlandomi direttamente all’anima.
Fino all’ultimo momento, con il cartello esplicativo che giunge dopo la fine, non abbiamo idea di chi sia/fosse Mrs Fang, e tutto sommato poco importa: è un essere umano, è una donna che vive, ama, è amata e soffre come tutte le altre, una donna che Wang Bing mostra apparentemente sana e nemmeno troppo anziana, in piedi e lucida, nel 2015, e subito dopo, quando è passato solo un anno ma sembra un secolo, inferma sul letto di casa in attesa della morte, ormai incapace di parlare, con la bocca semiaperta, con lo sguardo appannato dal morbo di Alzheimer, avanzato fino al tracollo. Intorno a lei, i parenti, che la guardano e la supportano mentre va lentamente alla deriva, pronti all’estrema resistenza di chi si convince di essere stato riconosciuto nonostante tutto, di chi rimane fino alla fine al suo capezzale alla ricerca disperata di un sorriso abbozzato che possa emergere dalla paresi, di uno sguardo, di un occhio che si apra dal suo torpore. Wang Bing, nella sua carriera, non ha mai filmato per pietà, ma sempre per puro e sincero amore nei confronti delle persone che si sono, negli anni, trovate davanti all’obiettivo della sua videocamera. Il suo è un cinema unico, di un’intensità emotiva senza eguali, di una sensibilità magnifica e annichilente, in genere raggiunta con lunghi e immersivi preamboli ma questa volta pronta a deflagrare subito, già nei primissimi minuti, sullo schermo. Quello del regista cinese è lo stesso sguardo amorevole di un padre, di una madre, di un marito fedele, di un figlio. Anche Wang Bing sta al capezzale di Mrs Fang, mai e poi mai pornografico nel mostrare suo dolore ma intimamente preoccupato, commosso, primo fra i dilaniati per la sofferenza della donna, per il farsi strada della sua morte, del suo lungo addio. Mrs Fang è un percorso immersivo e pudico nel lutto, quello di chi muore e quello di chi resterà, e che forse soffre ancora di più, perché dovrà convivere tutta la vita con i ricordi, con la mancanza, con i piccoli e grandi rimorsi per i momenti insieme rimandati troppo a lungo. Mrs Fang è uno sconquasso emotivo fatto di mani che si stringono, di dettagli sulla pelle ormai rugosa delle braccia, di uno sguardo ormai opaco che chiede aiuto, chiede comprensione, ringrazia per l’affetto ricevuto, come se fosse una richiesta di libertà da questo dolore e da questa invalidità, come se fosse una richiesta al Tristo Mietitore di andarla a prendere e portarla via, sulla sua barca, proprio come dalla barca i parenti di Mrs Fang sperimentano creative modalità di pesca/elettroshock con una rete elettrificata e una batteria.
Sono quegli stessi parenti che, nell’avanzare dell’agonia, diventano progressivamente più vicini alla donna morente, si stringono intorno a chi sta lasciando questo mondo, e sempre di più amano disinteressatamente. Anche quando, proprio come ci stiamo trovando costretti a farlo pure noi in questi giorni, si deve necessariamente iniziare a parlare degli sforzi economici e umani per assistenza e funerali, si deve iniziare a pensare al dopo, si deve iniziare a metabolizzare e nel frattempo stringersi intorno a chi si sta salutando per le ultimissime volte. E vorrei ancora una volta essere a Genova, vicino al nonno, vicino a mia madre che sta per rimanere orfana, ma al contempo so perfettamente che non avrebbe alcun senso essere lì, non posso fare nulla. Mrs Fang, da buon capolavoro fra i capolavori del documentarista cinese, ha anche molto altro oltre al cuore: ha, per esempio, una lettura estremamente interessante dei ruoli all’interno della famiglia anche e soprattutto nell’elaborazione del lutto; riflette, semplicemente mostrandolo, sul culto dei morti in quella porzione di mondo; riporta al centro la Cina di oggi, fatta di ingiustizie sociali e di povertà estrema, ma anche di matto e disperatissimo trasporto. Vedrei però come una forzatura nei confronti di me stesso, in questo momento, come una sorta di inutile esercizio semiotico, provare a riflettere su Mrs Fang in questi termini. Perché il film che (non so se) ho visto, ben al di là dei contenuti, straborda istanti di un’umanità quasi insostenibile, straziante, della quale gli occhi non vogliono perdere nemmeno un fotogramma per quanto il resto del corpo soffra, identificandosi al punto di vedersi accanto a quel letto di morte. Forse è necessario che tutto questo avvenga, che al film di Wang Bing ognuno sovrapponga quello della propria vita, che all’agonia, alla tenerezza e alla liberazione di Mrs Fang ognuno sovrapponga quella di un proprio nonno, di un proprio genitore, di un proprio amico perduto. Wang Bing riesce a mostrare gli occhi di una donna che muore senza mai essere invasivo: la inquadra con amore, con il pudore di chi sa avvicinarsi ma anche fare un passo indietro, con l’umanità e il rispetto di chi sa soffrire ed essere presente, ma anche, quando serve, lasciare a ognuno il suo spazio. Il suo un cinema che, più che mai, diventa esperienza personale, caleidoscopio di emozioni e di amarezza, sublime letterario, quello che atterrisce eppure non si può fare a meno di guardare e di vivere, come immobilizzati di fronte alla sua magnificenza. Mrs Fang, più ancora del morettiano Mia madre, è cinema purissimo e liquido, pronto a mutare forma, ad adattarsi sui percorsi personali, ad annullare la sua stessa sostanza di film per diventare altro, la mia storia, quella del nonno, gli istanti (sempre troppo pochi) passati insieme. È emozione purissima, cuore e malessere. È un atto d’amore. È un capolavoro straordinario e abissale, da vivere e piangere con affetto dal primo all’ultimo fotogramma.
Marco Romagna