MIDNIGHT SPECIAL (2016), di Jeff Nichols
Nove anni dopo il folgorante esordio con Shotgun Stories, Jeff Nichols è tornato alla Berlinale, in concorso, con l’opera quarta Midnight Special, la cui collocazione nella competizione ufficiale di un festival tutto sommato molto conservatore la dice lunga sullo status del regista nel panorama cinematografico contemporaneo, considerando che abbiamo a che fare con un film di genere (per dirne una, quattro anni fa un autore del calibro di Tsui Hark dovette accontentarsi di una collocazione fuori concorso). Ci troviamo infatti di fronte ad un film di fantascienza, ma riconoscibilmente nicholsiano per la sua collocazione nella realtà del Sud degli Stati Uniti e all’interno di un discorso non certo banale sulla famiglia, senza contare la presenza dell’attore-feticcio Michael Shannon di nuovo nei panni di un padre tormentato dopo la sua ottima prova in Take Shelter. Ad accompagnarlo in questa nuova avventura ci sono interpreti del calibro di Kirsten Dunst, Joel Edgerton (protagonista anche del prossimo lungometraggio di Nichols, Loving, attualmente in post-produzione e incentrato sui matrimoni interrazziali), Adam Driver e Sam Shepard, quest’ultimo già visto in Mud.
Questo cast di prim’ordine accompagna Nichols in un viaggio iniziatico, palese metafora della crescita, che omaggia il Carpenter di Starman e lo Spielberg di E.T. e Incontri ravvicinati del terzo tipo, ripetendo l’errore di quest’ultimo, per lo meno dell’edizione speciale uscita dopo la versione cinematografica, per quanto riguarda la rappresentazione degli alieni. Nichols finisce infatti per mostrare troppo, creando di conseguenza una sorta di straniamento dopo tutto ciò che abbiamo visto prima, perfettamente compatibile tuttavia con l’immaginario abituale del regista, profondamente radicato in una realtà rurale dove alla solita centralità del nucleo familiare si aggiunge una componente religiosa che fa sua la componente cristologica dell’iconografia e delle tematiche legate agli extraterrestri. Con l’aggiunta di una ben più presente linea narrativa incentrata sul governo statunitense, la ricerca di libertà nel fumetto, un doppio viaggio che è avvicinamento e separazione con la famiglia. Il bambino ritrova davvero la madre e il padre solo nel momento del saluto, quando è tempo di tornare, come E.T. prima di lui, “a casa”. Il risultato è una struttura quasi perfettamente tripartita (in realtà l’elemento religioso rimane sullo sfondo), che si allinea ai tre atti della sceneggiatura e alle possibili, seppure eccessive, interpretazioni teologiche del film (anche se il concetto della fede come tema dominante è rafforzato dall’ultimo, intenso primo piano di Shannon). Fra la curiosità morbosa di polizia e scienziati, il bambino deve tornare a casa, forte dell’amore di una famiglia che rischia tutto.
Ci troviamo al cospetto di un regista che, arrivato al quarto lungometraggio, e per la prima volta con un’entità cinematografica maggiore a sostenerlo (c’è di mezzo la Warner Bros.), ha forse peccato di ambizione e, per certi versi, superbia autoriale, sbavando in più di un punto nel tentativo di conciliare la sua poetica personale con le esigenze di un genere così particolare e un elemento mainstream – per lo meno a livello finanziario – che in precedenza mancava. Si veda ad esempio l’ambiguità dell’incontro-scontro con il nonno, il ruolo dello state trooper che non si capisce perché sia lì, le architetture come simbolo di mondo-altro, la gestione intermittente dei superpoteri: a tratti il film appare telefonato, ed era inevitabile viste le derivazioni, a tratti invece stranamente forzato nelle scelte narrative, troppi sono i punti che non tornano. Eppure, nel complesso la contaminazione fra intimo ed epico funziona, soprattutto perché Nichols, al di là della cinefilia dichiarata sul piano puramente narrativo, non ha realizzato un film propriamente per i fanboys, anzi: l’elemento più spudoratamente nerd – Shannon, alias il generale Zod, che intimidisce Driver, ossia Kylo Ren – è quasi del tutto fortuito, mentre la presenza di un fumetto di Superman, altro rimando inevitabile per quanto concerne l’evoluzione del giovanissimo protagonista, è una metafora inevitabile ma relativamente sottile. Difatti saranno, verosimilmente, proprio gli amanti di una certa fantascienza, forse tratti in inganno da un titolo che suggerisce ben altre atmosfere, quasi da cinema grindhouse, a rimanere delusi da un’operazione anomala ma sincera, i cui difetti sono compensati da una volontà di esplorare territori familiari con un occhio nuovo e l’innegabile talento. A lungo termine Midnight Special forse non rimarrà nel cuore e nella mente quanto il trittico che l’ha preceduto, ma meriterà di essere ricordato come l’apripista di una nuova fase, ricca di potenziale, nella carriera di Nichols, un “errore di gioventù” che dovrebbe spianare la strada in attesa di nuove sorprese.
Max Borg