MATRIOSKA (2018), di Samuele Sestieri

Una Matrioska di immagini, una dentro l’altra e una sopra l’altra, sempre più piccole, sempre più minimali, sempre più impercettibili, sempre più imperscrutabili, sempre più ipnotiche, costantemente modificate in un’interazione potenzialmente infinita. Del resto a Samuele (Sestieri, ma fa sempre strano chiamare un caro e ormai pluriennale amico per cognome) le dissolvenze e le sovrapposizioni sono sempre piaciute, dai primi esperimenti di montaggio in gioventù e nella scuola di cinema fino al lungo addormentamento della bambina che, fra le palpebre che si fanno pesanti e i rami che scorrono ai lati dell’auto, faceva da cornice alla fiaba onirica de I racconti dell’orso. Ora, a ormai quasi tre anni dal libero e folgorante lungometraggio d’esordio autoprodotto e realizzato in co-regia con Olmo (Amato, e sul cognome fra parentesi vale grossomodo lo stesso discorso fatto per Samuele) e da poco meno tempo impegnato nella scrittura del prossimo e profondamente diverso lavoro che, questa volta prodotto da VivoFilm e auspicabilmente distribuito su larga scala, dovrebbe secondo programmi essere girato il prossimo anno, serviva un ponte, serviva una transizione, serviva un momento – anche breve – di sospensione nelle immagini. Samuele, da troppo tempo fermo, sentiva bruciante il bisogno di tornare a filmare e montare, e di farlo in completa e totale libertà, in autonomia, senza alcun vincolo, senza alcun obbligo, senza alcun compromesso, senza alcuna pressione. Magari girando con il cellulare, magari riaprendo quelle cartelle sul pc di materiale raccolto e mai utilizzato, e magari semplicemente lavorando, fra la teoria di un breve film-saggio su una delle potenzialità date del tavolo di montaggio e più che un sospiro alla videoarte, su un’idea visiva, su un’intuizione, sui colori, sui pixel dell’immagine zoomata e rallentata, sul ritmo (non) musicale, sul movimento che dalla strada giunge alla rotaia.
Selezionati in prima mondiale a Pesaro 2018 nella sezione Satellite, i cinque minuti di Matrioska sono una continua stratificazione visiva, o meglio sono la messa su schermo dei processi mentali di Samuele, il suo ragionare da sempre e con forza per immagini. Il montaggio le obbliga a dialogare e a (con)fondersi, a interagire, a variarsi, mentre si interroga con coerenza e innegabile classe sulla visione sovrapposta procedendo per analogie e differenze, per accostamenti e suggestioni, per inscatolamenti e per spirali, per impressioni e percezioni. Si parte dall’asfalto, si parte dall’immagine digitale ritagliata e allargata, si parte dai fotogrammi strisciati di luci nel buio che diventano altro, e si arriva potenzialmente ovunque, perché le immagini sembrano quasi cercarsi e trovarsi da sole, sembrano quasi chiamarsi per sovrapporsi e diventare nuova e inedita immagine (im)possibile, dissolta in mille altre immagini fra la città e gli elementi naturali, fra la coscienza e l'(auto)ipnosi, fra l’atto della visione e la sperimentazione formale e linguistica, fra il fascino e la ragione, fra la personalità e il sentimento di un autore.

L’occasione scatenante di Matrioska è stata la recente e copiosa nevicata di questo inverno a Roma, dove ogni fiocco, per la sua rarità, è sempre visto come un evento. Samuele era al volante della sua Matiz con Carlotta (Velda Mei), la sua compagna, la sua musa, la sua Beatrice, la sua – e questo è il film stesso a suggerirlo in una dichiarazione d’amore e appartenenza finale di intimità e misticismo straordinari – personale Madonna, seduta al suo fianco. Ed è proprio quella di Carlotta la mano che, in una quasi perfetta unità di sguardo con quello di Samuele, filma con il cellulare mentre la neve cade sul parabrezza, spalmando sul vetro il rosso del semaforo in attesa che i tergicristalli riportino l’obiettivo alla realtà, o per lo meno alla porzione di realtà che l’immagine permette di vedere fra le altre immagini (in)visibili. Quello del semaforo è lo stesso rosso del sipario che, (im)percettibile, rimarrà quasi sempre di sfondo a modificare il cromatismo di ogni immagine sovrapposta nella Matrioska di Samuele, mentre il film ragiona, ben al di là dell’estetica, sulla stessa struttura delle percezioni e delle idee visive, sull’inganno delle immagini elaborabili, e più in generale sulle potenzialità del mezzo cinema. Facendo, con intuizione coerente e acuta, una Matrioska anche dell’audio, con una continua variazione del Der Monde: Ach, Da Hängt Ja Der Mond! di Carl Orff preso, spezzato, destrutturato, rallentato, velocizzato, spostato, a costruire una nuova sinfonia musicale non semplicemente a supporto, ma strettamente correlata alle immagini che scorrono e alle loro interazioni.
Le luci diventano stelle, l’acqua del mare quasi sembra fuoco, i fari appaiono come gigantesche lucciole sul mondo, al movimento dell’automobile si sovrappone quello del treno, alla sostanziale carrellata in avanti del camera car quella laterale della strada ferrata, al paesaggio urbano la campagna e poi la natura, ai fiocchi le gocce, e poi il sole, la luce, l’acqua, il fuoco. Dall’asfalto al mare, dai semafori ai rami, dalle luci artificiali al tramonto, passando per il volo, nella magnifica illusione di un Infinito leopardiano in cui naufragare. Insieme a Carlotta, ovviamente, l’alfa e l’omega di Matrioska, l’alfa e l’omega di Samuele. Una Carlotta che apre e chiude il cortometraggio, prima mano/occhio e poi volto, e che è sempre centro dei pensieri e dei sentimenti di Samuele, regista giovane ma vero, formato, già maturo, e al contempo eterno ragazzo, profondamente sincero nella sua umanità, nel suo rapporto con le immagini, nella sua consapevolezza che mai scalfisce la necessaria umiltà, e ancor di più nel suo sviscerare se stesso sempre e apertamente, anche in un’idea visiva semplice, girata con il cellulare quasi per caso e ancor più per caso portata a un Festival. Perché nella sua idea di cinema, nel suo sguardo, nel suo talento, nella sua (s)composizione delle immagini, nella sua vita e nel suo essere amico, il centro è sempre l’essere umano, e non ci può essere umanità senza amore. Nei confronti di Carlotta, nei confronti delle immagini, nei confronti del cinema, nei confronti di chi lo guarda ed è ben felice di ricambiare tanto cuore.

Marco Romagna