MARTIN EDEN (2019), di Pietro Marcello

Pietro Marcello ha deciso, con quest’opera che nella sua filmografia è inedita per ambizioni narrative, di contemplare con uno sguardo alternativo il Martin Eden di Jack London, romanzo di inizio ‘900 sulla formazione artistico-letteraria di un “disgraziato” che dall’ignoranza analfabeta della sua esistenza proletaria aspira, con una progressiva intellettualizzazione, a divenire scrittore. Il socialista London ha scritto il personaggio di Martin pensando a un proprio alter-ego individualista, sfruttando questo espediente narrativo per decostruire il linguaggio del panorama politico dei suoi tempi, il sorgere del capitalismo americano anni prima della crisi economica del 1929, ove il conflitto tra socialismo e individualismo costituiva lo scarto capace di far capire la differenza d’approccio tra visioni del mondo cominciando a costruire quella crisi di pensiero che da lì si protrae drammaticamente fino ai nostri giorni. Marcello, documentarista con ambizioni da sempre poetiche, riporta questo conflitto in auge in un racconto complesso e atemporale, flusso melodrammatico e intenso che fa da parabola a un neo-Martin Eden portavoce di un conflitto di classe che diventa interiore. Girando in 16mm con un’attenta cura per una ricostruzione storica ucronica (come a dire che è il pensiero a fare la Storia, e non il mero scorrere del tempo), con movimenti di macchina a mano caotici alternati a scene rilassate, e dialoghi poetico-astratti misti ad aperte dichiarazioni politiche.

Come nel romanzo, il pensiero di Spencer è alla base dell’evoluzione/involuzione personale di Martin, in quanto capace di sensibilizzare, in un modo che si rivela delirante e sofferente, la parte del Martin “ignorante” che necessita del Martin “colto” e viceversa. La lotta smette quasi di essere di classe (difatti i dialoghi politici sono probabilmente la parte “scritta peggio” della trama, superfluamente verbosi più che inutili o vuoti) e si fa appunto totalmente interiore, in un’isteria polemica e autodistruttiva che verso la fine, con un prodigioso movimento di macchina, piega ulteriormente la linearità temporale: il Martin corrotto dall’overdose culturale e creativa rivede il se stesso del passato e si insegue, dopo aver tradito l’amore assoluto. La seconda parte del film è prettamente politica, o per lo meno fa capire il processo interno di Martin mediante la politica e aprendo con parole forse antiquate un tipo di dibattito di cui avrebbe bisogno anche l’oggi (basti pensare alle battute finali di Santiago, Italia di Nanni Moretti, che dimostrano il ruolo inequivocabile del pensiero individualista nelle politiche destrorse odierne), ma la prima ora esplode di romanticismo, con primi piani irreali, quasi godardiani da una parte, e primi baci strazianti dall’altra. E se la prima ora è il Martin sognatore, la seconda è il Martin che vuole sognare: montaggio, regia e fotografia si sforzano a farlo rientrare in quello spazio onirico-poetico che lui richiede per sopravvivere, quella vita astratta-interiore, rinforzata dalla cultura, che giustifica e rende profonda e interessante la sua condizione materiale nel sistema sociopolitico. Forse preferiamo la prima parte, ma dopo la razionalizzazione disperata e deprimente a cui Martin decide di sottoporsi, il finale mistico ci porta a volare o a nuotare (o a morire, che poi è lo stesso) con lui, verso un infinito impossibile da capire fino in fondo, termine ultimo di un viaggio verso la comprensione e l’accettazione dell’incoerenza umana che è spaventosa e commovente.

Il  Martin Eden di Pietro Marcello arriva dirompente e spariglia le carte di questa Mostra, film senza tempo, fiammeggiante, emozionante, politico, storico, intellettuale, autobiografico. Dopo aver salvato da un pestaggio un giovane rampollo della borghesia industriale, Martin (un Luca Marinelli sempre più impressionante) viene ricevuto nella casa della famiglia del ragazzo. Qui conosce Elena (Jessica Cressy), la bella sorella di Arturo, di cui si innamora al primo sguardo. La giovane donna, colta e raffinata, diventa non solo un’ossessione amorosa ma il simbolo dello status sociale cui Martin aspira a elevarsi. A costo di enormi fatiche e affrontando gli ostacoli della propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e, influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden detto “Briss” (Carlo Cecchi), si avvicina ai circoli socialisti entrando per questo in conflitto con Elena e il suo mondo borghese. Martin Eden è un film totale, uno di quei film che raccontano la nostra storia, la storia di chi si è formato non nella famiglia o nella scuola, ma attraverso la cultura incontrata lungo la strada. È il romanzo degli autodidatti, di chi ha creduto nella cultura come strumento di emancipazione e ne è stato poi deluso. È un film che nasce dall’omonimo romanzo di Jack London, libro di grande attualità politica ancora oggi, che faceva già intravedere a inizio ‘900 le fosche tinte del futuro, le perversioni e i tormenti del ventesimo secolo. Ed è magnifico per come tocca senza troppo impegno le corde del cuore, non solo per la dolce storia d’amore, meno importante nell’organismo sovrastrutturale del film da un punto di vista poetico o politico, ma per tutti gli strati di racconto che sono sottostanti. Ci si crede, ci si entra, per il modo in cui è spostato il romanzo, ambientato in California nei primi anni del ‘900, in una Napoli senza un tempo preciso, sospesa vagamente tra gli anni ’30 e gli anni ’60, una Napoli portuale universale che può essere qualsiasi città del mondo.

Marcello ha realizzato un film dove Martin attraversa tutta la violenza del Novecento senza coordinate temporali, solo interiorizzandola in un modo astratto che Martin tenta di descrivere a parole con un razionalismo decadente e individualista. I dialoghi ci rimandano all’inizio del secolo scorso; si parla di una guerra imminente ma intanto vediamo la Napoli del dopoguerra, la televisione, le automobili e un’inizio di ricostruzione. In un film pieno di ellissi, che violenta una continuità narrativa che non importa a nessuno, è lo spettatore che deve riempire i buchi con la propria storia, con la propria intelligenza, con il proprio cuore. In una storia raccontata anche e soprattutto attraverso l’archivio: incredibile la quantità di repertorio inserita nella narrazione che si fonde perfettamente con le riprese di oggi, in cui vediamo anche le ossessioni di Marcello che erano presenti nei suoi film precedenti, dal mare e dai vicoli genovesi della Bocca del Lupo, ai film russi che tanto ama, alla bufala di Bella e perduta, e ovviamente ai treni del suo esordio Il passaggio della linea. Probabile anche che sia un film autobiografico: Martin Eden è un po’ Pietro Marcello, un regista del sud, audace e coraggioso, sempre più alla ricerca di ambizioni intellettuali, ostinato ai limiti della perversione perfezionista, spesso poco a suo agio nel mondo del cinema italiano. Ma ormai, con Martin Eden, Marcello è probabilmente approdato in un mondo in cui può sentirsi più consono e meno fuori posto, in una costruzione cinematografica che ha un senso, una sua potenza ideologica, un suo ruolo che non si può non tenere in considerazione.

Claudio Casazza, Nicola Settis

Si comunica che il film “MARTIN EDEN” di Pietro Marcello distribuito dalla 01 Distribution –Rai Cinema Spa, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani SNCCI.
Motivazione:
“Alla ricerca del tempo perduto della Storia, Pietro Marcello costruisce il suo Novecento letterario, di finzione e di repertorio, adattando il romanzo di Jack London in una Napoli temporalmente fuori sincrono. Il risultato è un intenso e personalissimo melodramma sul desiderio di ascesa sociale di un marinaio, combattuto fra gli impulsi di affermazione individualista e l’adesione conflittuale alle ideologie socialiste nello scenario di un secolo in rivolta.”