“Chiunque sa fare il pescatore, di maggio”
Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare
C’è un preciso momento, o sarebbe meglio dire che ci sono due precisi momenti, in cui Mare nostro, viaggio cinematografico di Andrea Gadaleta Caldarola nella “sua” Molfetta e nella sua comunità sempre più risicata di pescatori, riesce a far deflagrare il suo senso più intimo e profondo. Ciò che attira l’obiettivo della macchina da presa del regista pugliese non sono tanto gli intenti puramente documentaristici del mostrare la vita dei pescatori fra battute diurne e notturne, ricordi ormai annebbiati e rimpianti, polpi e pesci spada nelle reti, e forse nemmeno il primo livello di lettura che sfrutta la portata paradigmatica di un paese da sempre fondato sulla pesca e sui mercati del pesce per universalizzarsi e interrogarsi sul rapporto fra l’uomo e il mare, informe e onnipotente amico/nemico pronto a dare e a prendere a seconda della bizza del momento dopo che, da parte sua e in una sorta di doppio cortocircuito di reciproche dipendenza e impotenza, è stato proprio l’uomo a impoverirlo ed è sempre l’uomo che ancora oggi continua a maltrattarlo. E il vero punto di Mare nostro non è nemmeno la contestualizzazione storica, che vede Molfetta alla stregua di un deposito sottomarino di bombe all’iprite inesplose dai tempi della Seconda Guerra Mondiale e che ancora oggi costringe i pescatori a lavorare su una sorta di campo minato acquatico, con gli ordigni ormai troppo deteriorati per essere rimossi e il serio rischio che nelle reti rimanga insieme ai pesci un residuato tossico potenzialmente pronto a dilaniare l’equipaggio. O meglio, c’è (anche) tutto questo, in Mare nostro, sono aspetti che compongono la porzione di realtà che viene portata in maniera più che esauriente sullo schermo, ma quello che più interessa al film presentato nel concorso principale dell’Alessandria Film Festival dopo i passaggi al Festival del Cinema Europeo di Lecce e a Nyon a Visions du Réel, la sua vera e affascinata ossessione, è l’immutabilità.
Il cuore di Mare nostro è infatti da ricercarsi nell’identità più profonda che procede di generazione in generazione, nella necessità di prendere il mare come un destino insito nel diritto di nascita, ma anche in quella malinconia imperscrutabile di chi rammenda le reti ricordando gli amici e i figli inghiottiti dai flutti nel corso degli anni, e nel frattempo si rende conto che ormai quasi nessuno vuole più fare il pescatore. Il senso finale del film di Andrea Gadaleta Caldarola è l’identificazione, pronta a emergere in una purezza che si pone al di là di qualsiasi possibile razionalità, nella tradizione marinaresca e religiosa che va avanti nonostante tutto, anche se le 250 barche di un tempo sono diventate 30, anche se i grossisti non vengono più ai mercati del pesce, anche se l’Adriatico è sempre meno pescoso, anche se la patente nautica e di pesca non è più, come era un tempo, la certezza di un lavoro sicuro giorno dopo giorno semplicemente presentandosi in porto. Sono due, dicevamo, gli istanti in cui Mare nostro arriva al proprio culmine, alla sua riflessione più intima. Sono i momenti in cui, verso il finale, allo sciabordio e al ronzio del motore del peschereccio può finalmente affiancarsi il dolce ticchettio del proiettore, e alle immagini della festa della Madonna del Mare di oggi possono alternarsi quelle della festa patronale di ieri, così eterna nei costumi tradizionali e nelle invocazioni perché il mare sia buono e fecondo con chi lo solca. È ancora una volta il cinema l’unica forma per tentare di razionalizzare l’irrazionalità di uno spirito di appartenenza immutabile nel tempo, semplicemente affiancando i vecchi super8 e i 35mm di repertorio alle immagini di oggi: cambiano gli abiti e i volti di chi sbarca e di chi aspetta il ritorno dei pescherecci, cambiano le auto parcheggiate nei dintorni, cambia la pasta dell’immagine, dalla pellicola al digitale, dal bianco e nero al colore, dai 16fps ancora un po’ scattosi del muto alla perfetta fluidità che inganna l’occhio dai tempi dell’avvento del cinema sonoro. Ma non cambia il mestiere dei pescatori, non cambia il pesce, non cambia il mare, eterno specchio con il quale confrontarsi, dal quale accettare in dono il nutrimento e nel quale, a volte, trovare la morte.
Mare nostro è un ritorno a casa per sviscerarla, è un atto d’amore nei confronti della propria terra, del proprio mare e della propria cultura locale. È un viaggio alla ricerca di testimonianze, alcune in italiano e altre nel dialetto più stretto, alla ricerca di quella forza oscura che da sempre spinge l’uomo a prendere il mare fino a passarci forse più tempo che sulla terraferma. Brillantemente fotografato in un 2,40:1 di (contro)luci e di inquadrature evocative, il film documentario di Andrea Gadaleta Caldarola segue le battute di pesca, incontra uomini, si interroga con loro su che cosa sia il mare per chi lo vive. Perché è il mare che decide se l’uomo può lavorare, ma l’uomo nel frattempo dovrebbe forse imparare dal polpo, l’unico animale con tre cuori, a continuare ad amare quel mare che concede così tanta vita. Dalle microstorie dei singoli pescatori, emerge un racconto universale di fatti storici ed esperienze personali, di degrado e di amenità, cinema del reale che riesce a trovare la propria poetica nel beccheggio di una barca, in una lenza tenuta a mano, nel ritorno dopo una nottata proficua, nelle urla al mercato, in una continuità minata eppure ancora più forte dei cambiamenti imposti dalla società. Molfetta, come molti dei paesi di mare, sul mare ha costruito un intero microcosmo, un’intera economia, un’intera cultura, e soprattutto il proprio profondissimo senso di appartenenza, nel quale oggi naviga a vista Mare nostro. Incorrendo, a dispetto di un minutaggio al di sotto dell’ora e quindi non certo esagerato, anche in qualche passaggio a vuoto, in qualche didascalismo di troppo, in qualche momento di sostanziale aridità nel quale si rigira intorno a concetti già chiari e forse nemmeno illuminanti – e del resto, dopo Rabo de Peixe di Joaquim Pinto e Nuno Leonel, probabilmente sull’uomo dinanzi al mare è davvero già stato detto tutto. Ma, quando il film di Andrea Gadaleta Caldarola arriva finalmente al suo reale punto con i due momenti di footage, ogni possibile riserva si estingue: il cinema porta lo spettatore nell’intimità di una comunità, gli svela i segreti più antichi, gli sussurra direttamente all’anima il senso più intimo del mare. Del Mare nostro, quello di chiunque abbia condiviso questo viaggio.
Marco Romagna