Manoel De Oliveira, 11.12.1908 – 2.4.2015
Il mio undici dicembre. Da quando seguo il cinema (e un po’ di anni ahimè ne sono passati), ho sempre pensato al mio anniversario di nascita in maniera traslata. Mi alzavo magari tardi e un po’ assonnato la mattina e, mentre tutti si felicitavano della mia vecchiaia, correvo a fare gli auguri a De Oliveira. L’avevo incontrato a Cannes per la sua Palma d’Oro alla carriera e da allora ogni dodici mesi gli scrivevo, per parlare di me, del cinema, del mondo. Suggestioni. Era una specie di oracolo, qualcosa che va oltre l’essere autore e oltre la stessa Storia. Un nonno che, anche quando si sforza di fare (solamente) cinema, si trova sempre ad esserlo direttamente. Una vita passata a rimuovere i consueti e precisi riferimenti temporali, a raccontare parabole sulla vita e sull’amore. Un cinema parlato, in un ottica del sogno e nel segno dell’illuminismo, dove ogni fatto è sottoponibile al dubbio e suscettibile di interpretazione; De Oliveira costruisce il suo ‘specchio magico’, insinuando, come enigma, una luce in un mare di buio. Un cinema fino alla fine del mondo, ad amare quell’immagine esistita solo in quel fotogramma (o forse no). Il mondo un vortice ininterrotto di sguardi (im)personali, nell’incommensurabilità del punto di vista tra gesti semplici e diretti, che rimette in discussione tutto, soprattutto noi stessi. In quelle lettere non ho mai parlato di qualche film, e ancora meno senso avrebbe ora che Manoel non c’è più. Rimangono le sue linee invisibili che uniscono e dividono i corpi e la Storia, dove l’anima letteralmente si immagina, e diventa cinema. Allora il senso dell’universo e delle sue immagini sembra sempre più legato a quella memoria ancestrale, di colui che ha guardato ed ascoltato il Novecento dietro alla macchina da presa e che ora sarà già a conversare su quella panchina tra Camoes e Don Chichotte. Così la distanza si amplia, il secolo breve si comprime e noi siamo sempre più soli. Questo undici dicembre resteranno solo i miei venticinque anni che avanzano e poco altro. P.s. Da Fernando Pessoa: “Beato chi riesce ad essere “egoista” come lo sono i fiumi ed i fiori, che hanno come unico fine al mondo quello di esistere, senza dover capire come farlo. Beato chi affronta quell’infinito mistero che è la vita senza porsi troppe domande.” Buon viaggio Manoel, quelle domande ora restano a noi, come un libro che galleggia, affonda e riaffiora nell’oceano dei nostri tempi. Sempre più inquinato.
Erik Negro