MADAME HYDE (2017), di Serge Bozon

La gabbia di Faraday è una rete di protezione contro qualsiasi campo magnetico. Basata sulla legge della fisica secondo cui le cariche elettriche di segno uguale si respingono, la gabbia, carica in egual misura di protoni ed elettroni in modo da equilibrare e quindi annullare il loro potenziale, tiene all’esterno qualsiasi scarica, salvaguardando chiunque si trovi al suo interno persino dai fulmini. È il principio che sta alla base, appunto, del parafulmine, ed è il motivo per il quale, all’opposto, il forno a microonde non cuoce ciò che rimane al sicuro al suo esterno. Tuttavia la gabbia di Faraday, pur ponendosi come una protezione che può salvare la vita, rimane pur sempre una gabbia, una costrizione, un qualcosa che tiene prigioniero e dal quale non si può uscire, ed è proprio in questa ambiguità fra protezione e coercizione, passando per l’elettricità come energia vitale, che è già possibile leggere tutta la potente metafora di Madame Hyde, nuovo lavoro del francese Serge Bozon presentato in Concorso Internazionale a Locarno 2017, rilettura del tema del doppio e della mutazione ne Lo strano caso del dottor Jekyll e Mister Hyde ambientata nel mondo della scuola, più precisamente nella classe più “difficile” dell’Istituto Tecnico che raccoglie i figli più “problematici” delle banlieue.
Sin dalla traslitterazione francesizzata in Géquil del cognome della protagonista, Bozon vira il racconto di Stevenson in un grottesco che dalla verve comica iniziale non potrà che procedere verso una progressiva tragicità asfissiante, mettendo in scena un film estremamente complesso e stratificato che ragiona per contrasti, preferendo di gran lunga le domande alle risposte, preferendo di gran lunga l’ambiguità alle tesi precostituite. Riflettendo, da ex-insegnante, su un mondo a lui vicino, Bozon affronta i temi della della pedagogia, dell’educazione, del rapporto docente-alunno, del conflitto generazionale e della realtà delle banlieue parigine ai tempi dell’Isis, innestandoli in una narrazione che guarda al fantastico come metafora della realtà di una scuola/gabbia la cui funzione è proprio quella di proteggere e stimolare le potenzialità dei suoi alunni, ma che al contempo si pone anche come un carcere di disprezzo e di mancanza di rispetto, nel quale a rimanere invischiati fra le sue sbarre sono non solo gli studenti ma anche gli insegnanti. Specialmente se si tratta di una “donna delicata” come il personaggio che è valso qui a Locarno il meritatissimo premio come migliore attrice per una straordinaria, sublime, Isabelle Huppert, dalle parti del Jeremy Irons del cronenberghiano Inseparabili nell’affrontare il suo doppio ruolo di Jekyll/Hyde lavorando sull’impercettibile, sulle minime differenze nella postura, nei movimenti, nello sguardo, nel modo di aprire la bocca per parlare.

Madame Géquil è una professoressa di fisica seria e preparata, eppure fragile, priva di qualsiasi pugno di ferro, puntualmente ignorata e derisa dai suoi alunni che schiamazzano e che la schizzano di inchiostro nero come se fosse una ragnatela, magari mentre canticchiano la sigla di Spiderman e le gridano in faccia, con il parlare a sincrono delle due insopportabili rappresentanti di classe uniche femmine e uniche bianche, la paura di diventare come lei. È sottoposta quotidianamente a un branco di alunni “da recuperare”, nel quale – come in ogni buon branco – comanda chi è più sprezzante, più aggressivo, più sfacciatamente incurante dell’autorità. Pure i suoi colleghi la disprezzano e non perdono occasione per darle contro, mentre il macchiettistico preside da balera, pressoché impresentabile nelle sue polo sgargianti e caricaturale nelle sue cravatte esattamente degli stessi colori, non la considera e nient’altro fa che umiliarla e rimproverarla.
A partire dalle soluzioni di messa in scena, il tono scelto da Bozon come necessario contrappunto per tratteggiare la realtà che bene analizza è volutamente lontano dal credibile, esacerbato, fuori controllo proprio come un’esplosione di energia elettrica, e proprio come un’esplosione di energia elettrica dotato di tutte e due le polarità, al contempo positivo e negativo. Quando Madame Géquil verrà colpita da un fulmine nel suo laboratorio nel quale cerca di trasformare il calore in elettricità, si trasformerà lei stessa in una creatura di fuoco, in una fonte di calore in grado di sciogliere il ghiaccio e quasi di cucinare il pesce direttamente sul banco della pescheria. Del resto la stessa scienza, fino al momento in cui le sue leggi non vengono dimostrate, nient’altro è che incertezza, esperimento, tentativo che può andare bene e portare alla soluzione, ma può anche esplodere come in ogni slapstick che si rispetti oppure, proprio come quando già nel 1986 La mosca di Cronenberg entrava per sbaglio insieme all’uomo nel bussolotto del teletrasporto fondendo i due DNA, generare creature mostruose. La trasmutazione della soave Madame Géquil nell’aggressiva Madame Hyde non potrà quindi che aprire ad altre ambiguità, fra la polarità positiva di un’insegnante capace di tenere, stimolare e interessare quella stessa classe che la rifiutava a partire dal “terribile” Malik, giovanotto franco-algerino vittima dalla nascita di una menomazione alle gambe che lo obbliga a spostarsi con l’ausilio del girello e probabilmente per questo ancora più inacidito e bullo degli altri, e quella negativa che la porta a uccidere, per combustione, uomini e cani, fino alla definitiva perdita del controllo sulla sua doppiezza, fino al suo “Statemi lontani”, fino al suo “Madame Géquil nemmeno esiste”.
Quelle della protagonista del film di Bozon, mai così libero ed efficace nel dosare le sue incursioni ipercinefile (i riferimenti al gotico classico fra l’eclissi di luna e le passeggiate notturne, ma anche istanti di melodramma fra sorrisi e fiori) con una sostanza assolutamente originale e necessariamente “folle”, sono due fasi che, a differenza della giustapposizione Jekyll/Hyde di Stevenson, non sono perfettamente scisse, ma sono destinate a dover convivere, a doversi sovrapporre, a dover cercare costantemente un impossibile equilibrio. Madame Géquil, quando Madame Hyde inizia a farsi largo nel suo corpo, migliora la sua vita: ha finalmente soddisfazioni al lavoro tanto da meritare il passaggio al ruolo quando l’ispettore la dovrà valutare, alimenterà la libido all’interno del suo matrimonio, imparerà a farsi rispettare, riuscirà finalmente a toccare le corde giuste fra i suoi studenti disagiati; anche a costo di uccidere, ma probabilmente senza nemmeno rendersene conto, o per lo meno senza provare un vero e proprio rimorso fino al momento in cui le sue colpe non le verranno sbattute sulla faccia toccando direttamente i suoi affetti, e distruggendo quel suo “nuovo” mondo così faticosamente costruito.

Madame Géquil/Madame Hyde diventa elettrica, “raggiante”, e con la sua elettricità cambieranno radicalmente i suoi rapporti umani, con la classe a cui propone la costruzione della gabbia di Faraday come con i colleghi, in testa il giovane in periodo di affiancamento che cerca di carpirle qualche segreto, con il marito musicista che non potrà fare altro che svenire incredulo di fronte alla sua trasformazione e soprattutto con Malik, al quale darà le chiavi del laboratorio di giorno e al quale salverà la vita, bruciando il suo aggressore, di notte. Con lei, Malik capirà le sue potenzialità e la sua intelligenza, fino a cambiare radicalmente idea sull’importanza dell’istruzione anche di fronte all’ostentata ignoranza di suo padre. Il loro è un rapporto che nasce e si sviluppa in un laboratorio prefabbricato, fra ultimi ritrovati della tecnica e sgangherati macchinari artigianali che sembrano fare il paio con quelli di Frankenstein jr, e che non potrà che sfociare e finire nella nuova tragedia di un’ustione cutanea sul volto, con un ulteriore handicap con il quale convivere, con la consapevolezza di essere pericolosa, con eterni sensi di colpa, ma anche con un profondo ringraziamento per avere radicalmente svoltato la vita e la mentalità di un ragazzo facendolo, forse per la prima volta, sentire non solo “normale”, ma brillante, ambizioso, capace di fare progetti e di portarli a termine. Magari proprio il progetto rimasto incompiuto a Madame Géquil, la trasformazione di calore in elettricità, con la progettazione di una nuova e rivoluzionaria turbina.
Nelle accelerazioni di particelle e nella ricerca di equilibrio, Bozon innesta istanti di cinema purissimo, sfuggevole come una piccola saetta di fuoco che inizia a disegnarsi su una guancia, eppure ben conscio della funzione dell’istruzione, della pedagogia, e anche della necessità di essere prima di tutto umani, comprensivi, pazienti, e quando necessario il giusto aggressivi. L’incidente di laboratorio dal quale nasce Madame Hyde nient’altro è che il morso del ragno radioattivo che ha trasformato lo schivo Peter Parker in supereroe, e l’elettricità della donna nient’altro è che la stessa che infonde la vita a Frankenstein (senior o Junior che sia) tramite i fulmini. È quella stessa energia archetipica e irrefrenabile, positiva e negativa, che Madame Géquil avrebbe voluto imbrigliare e controllare, ma che ora si ritrova a vivere e a subire impotente, perdendo progressivamente il controllo su se stessa, sulla sua doppiezza, sul suo equilibrio fra il bene e il male. Non rimane che consegnarsi alla polizia, non rimane che agonizzare per l’ultima volta di fronte alla classe fra materiali isolanti e leggi fisiche alle quali nemmeno più si crede, non rimane che farsi portare via, farsi mettere in sicurezza, mentre a fianco allo scorrere dei titoli di coda la scuola è avvolta dalle fiamme. Non c’è più alcuna gabbia di Faraday a proteggerla, e forse non c’è mai stata: la scarica elettrica questa volta la distrugge, la incenerisce, e non basterà certo la logica del saper trovare la distanza più breve fra due punti per ricostruirla.

Marco Romagna