Nei titoli di coda della sua ultima fatica, Wilkerson scrive “istigato da Chris Marker e Steve Albini”. L’autore così informa lo spettatore del fatto che la necessità da cui è nato il film è una necessità talmente viscerale da essere partorita da un’istigazione, e non da una semplice ispirazione, partita da due grandi artisti novecenteschi, il regista/fotografo saggista francese per eccellenza Marker e il chitarrista punk/noise Albini, noto per essere stato membro dei Big Black. Si possono notare le influenze di entrambi, tra il montaggio statico che può echeggiare La Jetee e l’atmosfera rabbiosa e aliena degna dei brani più incisivi di Atomizer, ma soprattutto si nota la forza arrabbiata interiore dell’autore che ha portato alla concezione del film stesso.
Un uomo entra in una rete radiofonica pirata e la usa per inviare in tutta Los Angeles una richiesta di aiuto per poter ricontattare il suo amore perduto, una sorta di femme fatale invisibile che abusa di droghe e non riesce a dimostrare il proprio amore in maniera tradizionale. Mentre lui descrive a pochi ascoltatori la loro relazione, a L.A. imperversa una strana guerra. Inquadrature che delimitano unità spaziali vuote, contenitori plastici pieni di sangue trivellati, mappe di Los Angeles e animazioni di simboli radiofonici e nucleari: in questo consiste ‘Machine Gun or Typewriter?’, saggio nichilista sull’amore, sul disamore e sul conflitto tra le idee (typewriter) e la violenza (machine gun) nella risoluzione dei conflitti, interiori e armati. Il mondo descritto da Wilkerson è un mondo disperato, in cui sopravvive solo un vago sentore di romanticismo disperato tra le macerie plastiche di un passato industriale e fantasmico. Ma Wilkerson non esprime depressione apocalittica: il suo disagio esistenziale è mosso da un’emozione vitale, un innamoramento puro per l’immagine usato con grande consapevolezza del mezzo per far trasparire nella maniera più naturale possibile una concezione pessimista del futuro.
Il regista crea quello che potrebbe già essere una specie di testamento capsulare per l’avvenire, un film intenso e alieno senza una sfumatura sbagliata. Il delirio suicida è quasi concreto, il desiderio ribelle e rabbioso si fa morboso e tutto è un malato concentrato di rumore visivo mosso dalla più primitiva delle necessità. Il film di Wilkerson è tra le più sorprendenti scoperte di Locarno68, un film anarchico e minimale di grande potenza sottocutanea. Una visione molto politica da portare nel cuore.
Nicola Settis