Things to come è il nome dato alla retrospettiva della trentatreesima edizione del Torino Film Festival. Uno sguardo rivolto a interi decenni di cinema fantascientifico, quindi a un cinema a sua volta protratto verso il futuro e che riflette sulle sue possibilità. In questo senso dunque The Time Machine (alias L’uomo che visse nel futuro, 1960) di George Pal, tratto dall’omonimo romanzo di H. G. Wells, non può che essere uno dei titoli cardine di questa rassegna.
Pochi giorni dopo l’inizio dell’anno 1900, quasi al tramonto dell’Inghilterra vittoriana, James Filby, assieme a un gruppo di amici, si reca a cena a casa di George Wells, un inventore. Quest’ultimo, che inizialmente pare non essersi presentato, irrompe all’improvviso nella sala da pranzo, sfiancato, coi vestiti strappati e ferito, sostenendo di essere appena ritornato da un viaggio attraverso il tempo, e il racconto di questa avventura costituisce il nucleo fondamentale del film. Egli, nella sua positivistica fede nel progresso, ha intrapreso questo viaggio nel futuro tramite la macchina del tempo da lui stesso costruita, nella vana speranza di riuscire finalmente ad assistere coi propri occhi un’epoca in cui la società umana avesse raggiunto il suo massimo splendore, cancellando definitivamente ogni tipo di violenza e ingiustizia. Purtroppo, egli, attraversando il ventesimo secolo, si è ritrovato a essere testimone non solo di due guerre mondiali ma anche di uno sconvolgente olocausto atomico, per poi piombare infine nell’anno 802701, in cui l’apparente utopia vissuta dal popolo “Eloi” si rivela essere in realtà un disumano meccanismo di crudeltà e oppressione ad opera del popolo sotterraneo dei “Morlock”.
Dunque proprio la Storia dell’umanità si pone al centro del film, in quanto punto di riferimento costante per ogni azione presente dell’uomo, e in tutte le sue ambiguità. Da un lato, quindi, l’opera inneggia al progresso scientifico e all’avvento della modernità che permea lo spirito del Novecento: questo aspetto viene incarnato a livello filmico da un gusto per gli effetti speciali, che valsero al film un premio Oscar. Nelle sequenze dei viaggi attraverso la quarta dimensione vediamo manichini che cambiano i propri abiti in base ai costumi dei vari decenni del Novecento, migliaia di bombe che esplodono in pochi istanti, montagne che si ergono e si erodono in un batter d’occhio; anche a livello scenografico, ricordiamo la stessa macchina del tempo che compare su schermo prima come una curiosa miniatura per poi ripresentarsi in seguito in tutto il suo meraviglioso splendore a dimensione d’uomo. Tuttavia, come altra drammatica faccia della medaglia, la Storia si presenta come un incessante susseguirsi di tragedie causate unicamente dall’ignoranza e dalla crudeltà umana. Ciò che permette all’umanità di riscattarsi sono le “scintille”, ovvero uomini valorosi disposti a dedicare la loro esistenza alla lotta per la verità, unica chiave per il raggiungimento della libertà. George si pone come un Prometeo che porta agli Eloi il fuoco della Conoscenza: costoro infatti hanno disimparato a leggere e di conseguenza hanno perduto un intero patrimonio costituito dalle gesta e dall’esempio delle suddette “scintille”. Il film stesso si pone come un racconto incorniciato da due dissolvenze, in pieno stile hollywoodiano, e tramandato allo spettatore, identificato con Filby, l’unico amico del protagonista a credergli fino in fondo. Allo spettatore viene persino negata la visione del “lieto fine” dell’inventore che decide di rimanere a vivere nel futuro con la ragazza di cui si è innamorato, e diviene quindi un testimone a cui viene affidata la responsabilità di credere e prendere esempio dalla narrazione delle imprese di George.
Come ogni caposaldo del cinema hollywoodiano, The Time Machine riesce quindi non solo a essere un’esperienza visiva notevole e di grande intrattenimento, ma anche e soprattutto a riassumere in sé tutto il complesso dei valori della civiltà occidentale e del cinema stesso, con un linguaggio e dei contenuti sicuramente semplificati e anche un po’ ingenui, ma di indubbia forza e chiarezza; un’occasione per riflettere sul senso della Storia in merito proprio al presente, una riscoperta del passato per proiettarci verso il futuro, verso “le cose che verranno”.
Tommaso Martelli