9 Agosto 2023 -

LOVANO SUPREME (2023)
di Franco Maresco

«Il jazz, se si vuole chiamarlo così, è un’espressione musicale; e questa musica è per me espressione degli ideali più alti. C’è dunque bisogno di fratellanza, e credo che con la fratellanza non ci sarebbe povertà. E con la fratellanza non ci sarebbe nemmeno la guerra». Così parlava John Coltrane nell’ultimo periodo della sua vita, quello che anticipava di poco il Sessantotto e in cui la coscienza politica del genio di Hamlet (piccolo borgo del Nord Carolina, forse non troppo diverso dal luogo in cui è nato il nonno del protagonista di questo film) si era già spostata verso l’assoluto, la spiritualità, il contatto con qualcosa di superiore. Nella ricerca continua e libera di Franco Maresco, il jazz appare come movimento infinito di ridiscussione di culture e radici, uno spazio assai sentimentale da attraversare per giungere dove forse solo (quella) musica ci può trasportare; se già nell’epopea (quasi odissea) sulla figura di (Io sono) Tony Scott (ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz) tutto ciò era ben presente, qui in Lovano Supreme, presentato fuori concorso a Locarno76, il discorso ancora si amplia arrivando a condensare attraverso il talento e la dolcezza di Joe Lovano tutte le traiettorie del cineasta palermitano, in un romantico ed emozionante affresco esistenziale. Tutto nasce da un’idea, un sogno forse, quello di un concerto in memoria di Coltrane a mezzo secolo dalla sua morte, invitando il grande sassofonista di Cleveland per un viaggio tra i suoi avi siculi. Tutto parte però con un viaggio alla rovescia, sulle tracce newyorkesi di Lovano, tra avenue residenziali e polverosi jazz-club. Eccoci dunque nel tempio del Village Vanguard, locale leggendario quanto malinconico (dove pure i muri paiono aver assorbito scale modali e standard da restituire), mentre compare Ravi (il figlio di John) a conversare con Joe e lo stesso Franco. Eccolo il jazz, una prima sintassi, la comunità che può creare intrecciando storie e ampliandole all’infinito per crearne di nuove ed evolvere ogni linguaggio possibile.

Lovano così atterra a Palermo, nella sua ritardataria atemporalità, prende contato con i profumi e i suoni del mercato, si muove nel paesaggio che pian piano si impossessa di lui prima di salire verso Alcara Li Fusi (e poi Cesarò), dove le sue radici affiorano con il passare del tempo. Incontra, parla, imbraccia il sax e ridefinisce con le sue note quella meravigliosa terra arida e quasi astratta, disegnando una specie di mappatura umana proveniente da lontano. Immerso nelle feste dei paeselli e in un’umanità quasi opposta a quella della Grande Mela si commuove, donando e assorbendo (d)a quello spaccato siculo intrecci verso una lingua emotiva nuova quanto arcaica. Il senso della condivisione, del conoscersi nel conoscere, del portare avanti quel discorso senza fine su cui sempre aleggia l’anima infinita di Coltrane. Nelle prove del concerto così come negli incontri con gli studenti emerge il rigore di Lovano, lo studio, la passione e forse la stessa ossessione che lo porta a ritornare su quei brani per potergli donare una qualche forma di splendore nell’oggi. In tutta questa splendida deriva anche il cinema dell’autore palermitano pare – anche se mai distante dalle sue tematiche – asciugato, minimale, condensato nel restituire parte di quell’esperienza meravigliosa. Ben poco rimane dello pseudo-surrealismo parossistico mareschiano (giusto il servizio del telegiornale locale – difficile pensare abbia una qualche forma di verosimiglianza – quantomeno caricaturale, giusto la parata di famigliari – o presunti tali – presentatisi a salutare il celebre parente americano, giusto il taxista nostalgico – e, forse, non solo – che celebra e rimpiange la grandeur della malavita di un volta); perché tutto appare più limpido, più puro, più intimo nella sua spirituale malinconia quasi scarnificata per essenzialità. Meravigliosa la carrellata a ripercorrere i grandi della musica che come antenati hanno in comune la Trinacria (in un fotogramma spunta anche l’inconfondibile baffo di un altro gigante come Frank Zappa) in cui emerge, ancora una volta, come la musica sia imprescindibile dalla fusione e sincronizzazione di culture e radici per poter puntare a una forma di assolutezza, per poter andare oltre.

Dunque veniamo al titolo, alla splendida crasi che il cognome del nostro Joe vede fondersi con il nome dell’album forse più monumentale del nostro John. «During the year 1957, I experienced, by the grace of God, a spiritual awakening which was to lead me to a richer, fuller, more productive life. At that time, in gratitude, I humbly asked to be given the means and privilege to make others happy through music. I feel this has been granted through His grace. All praise to God». Al di là del bellissimo concerto/omaggio che chiude il film e lo accompagna verso ai titoli di coda, c’è una scena in Lovano Supreme che può, con semplicità, descrivere questa frase di Coltrane a commento proprio di cosa lo porterà verso A Love Supreme, album senza tempo e senza spazio, spartiacque tra il moderno classicismo di Giant Steps e My Favourite Things e la sua terminale evoluzione interstellare. Joe e Franco entrano nella vecchia casa abbandonata di John in un giorno nuvoloso, quasi di pioggia, appena prima che Maresco tornasse verso la Sicilia. Percorrono questa abitazione oramai abbandonata e quasi lugubre, arrivano in una lunga stanza con un’ampia finestra. In quel momento Lovano inizia a improvvisare, un sibilo iniziale, qualcosa di assai intimo. Eccolo Coltrane, eccolo lì evocato e chiamato a loro, a noi. Quasi visualizzato in quella lingua primitiva e primaria che è il jazz, incapsulato nella forma d’immortalità quasi divina che è appunto l’amore supremo, quello dell’assoluto all’assoluto. Quello in cui il suono si fa parola e carne, intensità della materia e del respiro, unica chiave d’accesso per la strenua ricerca verso il senso dello cose, dell’esistere. Su queste immagini giunte a noi – quasi fossero già parte di un archivio ideale – il fragile asse su cui si muovono, appunto, grazia e fratellanza, l’abbraccio sincero e tenero di mondi e culture, si plasmano narrazioni e storie, si contaminano continuamente con estrema naturalità ancestrale. Quello è forse ciò che più rimane di questo piccolo film splendido e commovente, dell’amore di un autore e di un musicista nei confronti di un genio come verso l’umanità tutta. Un qualcosa di inspiegabile forse, di metafisico e imponderabile, di primordiale e pulsante.

Erik Negro

“Lovano Supreme” (2023)
74 min | Music | Italy
Regista Franco Maresco
Sceneggiatori Francesco Guttuso, Germano Maccioni, Franco Maresco
Attori principali Joe Lovano
IMDb Rating N/A

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