Originariamente pubblicato su paperstreet.it
L’Inconnu du lac, il film scandolo di Cannes, torna a Rotterdam e fa ancora discutere una certa critica perbenista ma viene apprezzato dal pubblico e amato da molti cinephile. Estate, una tranquilla spiaggia in riva al lago frequentata da nudisti gay. Franck, un aitante uomo di 40 anni trascorre i suoi pomeriggi di luglio, dividendo le sue giornate tra qualche piacevole ed esistenziale chiacchierata con lo strambo amico Henry e veloci incontri sessuali fra le mangrovie.
Un paradiso terrestre, dove solo lo splendido e malinconico lago è testimone di questi uomini nudi che vivono con semplicità e naturalezza la loro stagione. Come ogni paradiso che si rispetti anche questo ha il suo frutto proibito. Proprio per ciò la passione non ha confini, né limitazioni, nemmeno quando rischia di diventare fatale, tra la luce e il suo crepuscolo. Paura e desiderio camminano sullo stesso binario, e poi il bivio: scappare o restare?
Il regista francese, al quarto lungometraggio (l’ultimo del 2009, Le Roi de l’evasion, presente nella Quinzaine des Realisateurs), propone un altra opera sulla fascinazione estetica dell’amore e del male. Il confine tra passione e morte, il desiderio come specchio di fondo di qualsiasi azione. Ogni nuovo giorno è scandito dalla stessa prima inquadratura (il parcheggio auto da cui poi si scende in riva al lago). La sessualità è politica, attiva, si sviluppa attraverso rapporti di dialogo, seduzione. L’utopia del luogo è la stessa del tempo, nessuno di noi spettatori può comprendere ciò che stiamo guardando. Quasi primordiale o postatomica. Le giornate scorrono attraverso il sentimento naturale di quello stesso luogo e così finito un giorno ne viene un altro.
Giraudie si perde tra il giorno e la notte, come i suoi amanti teneri quanto inquietanti. Nei loro sguardi come nei continui scarti narrativi che li coinvolgono e che permeano il film. Il cinema così ci mostra la trasgressione dei propri/ nostri limiti, dal tendere all’altro come atto di un erotismo sempre più tragico fino alla conquista. Si cerca l’orizzonte, stavolta chiuso dalle colline. Forse è davvero impossibile scappare da quel posto. Tutto pare fermo e stagnante, a tratti abbandonato, e quel buio diventa non solo impossibilità di vedere ma anche di vivere. Scandaloso per alcuni, convincente per molti; per noi un’opera notevolissima, straordinariamente originale, a tratti sublime.
Erik Negro